La sfida che ci attende
Rivincita digitale
Il mercato delle telecomunicazioni può rappresentare una vera opportunità per l'intero sistema-paesedi Davide Giacalone - 09 settembre 2013
Il mercato delle comunicazioni sta cambiando, nel mondo. Per l’Italia è una grande occasione, se saremo capaci di mettere a frutto i nostri punti di forza, ponendo rimedio ai colossali errori fin qui commessi. La competizione è aperta fra chi fornisce le reti (le società di telecomunicazioni) e chi fornisce le piattaforme che gestiscono i servizi (sempre più integrato con i costruttori di terminali mobili). Da questo conflitto può uscirne un vantaggio per il sistema-paese che sappia correttamente interpretarlo. L’Italia può essere il laboratorio e il mercato del contenuto più prezioso: la cittadinanza.
Un tempo la danza era condotta da chi stendeva i cavi e allacciava i telefoni di casa, perché il solo contenuto scambiato era fornito gratis dai clienti: le loro conversazioni. Le norme che regolano il mercato sono state concepite per evitare che il dominio di tale funzione si traducesse troppo brutalmente in dominanza di mercato. Il passato di prima erano i monopoli, il passato che viviamo ha regole che impediscono a una Telecom di considerare in eterno il signor Rossi un proprio cliente esclusivo, consentendogli di passare da un gestore all’altro. In questo passato potevi comprare il telefono che ti piaceva di più, ma restavi un cliente della Telecom. Con il digitale la musica è cambiata, perché Apple ha scoperto che il telefono è solo marginalmente uno strumento per parlare e più massicciamente un terminale con cui interagire e socializzare, subito dopo viene l’uso per i pagamenti. Altri hanno capito e si sono messi su quella strada (da ultimo l’acquisizione di Nokia da parte di Microsoft), talché oggi è chi ti fornisce il telefono a considerarti un suo cliente esclusivo, indipendentemente da chi ti fornisce la rete, da chi ti dà la sim che ci metti dentro.
Mentre fino a poco tempo addietro era importante impedire che un fornitore di rete divenisse troppo grosso e dominante, oggi la frittata si gira: se non sono grossi non investono più nelle reti e va a finire come il quel Paese in cui a tutti si vende una vettura, ma non s’investe abbastanza nelle autostrade. Indovinate quale. Che gli operatori siano grandi, multinazionali e finanziariamente capaci d’investire puntando a ritorni lontani nel tempo è la condizione necessaria affinché lo sviluppo continui. Ecco perché non ha alcun senso che la Cassa depositi e prestiti butti i soldi dei cittadini nella rete di Telecom Italia, facendo un piacere esclusivamente alle banche che hanno prestato troppi soldi ai soggetti sbagliati. Ed ecco perché chi, come me, si batté contro il monopolio oggi prende atto che gli operatori telefonici sono troppi. Dovranno concentrarsi. Dall’altro lato, del resto, il fatto che cominci seriamente la concorrenza nella fornitura di piattaforme per i servizi è un bene, perché altrimenti si sarebbe passati dal monopolio delle reti, garantito per legge, al monopolio della piattaforma, autogarantito dalla propria forza e globalità. Quindi peggiore. I primi a festeggiare l’acquisto di Microsoft dovrebbero essere proprio le Telecom.
E noi? Eravamo all’avanguardia delle reti, ma abbiamo dato il vantaggio in pasto a qualche profittatore. Ci siamo auto-affondati nei terminali, con il conflitto fra Italtel (partecipazioni statali) e Telettra (Fiat). Sembriamo fuori dai giochi. E lo siamo. Ma, c’è un ma: se rompiamo il monopolio della demenzialità burocratica ci riposizioniamo alla grande. La sim garantisce certezza e unicità d’identità, tanto che da qualsiasi rete vi connettiate le piattaforme vi riconoscono e smistano messaggi e servizi. Invece l’Agenzia delle entrate mi considera un suo cliente esclusivo, così anche l’anagrafe, la sanità, la motorizzazione, le municipalizzate, il sistema scolastico e così via. Ciascuno mi chiede d’identificarmi. In questo modo si moltiplicano gli oneri della digitalizzazione e si annullano le sinergie. Si buttano soldi e si rimane sudditi delle mezzemaniche. Ribaltando questo approccio si crea un mercato ricchissimo, nel quale mettere a punto prodotti Made in Italy, da esportarsi (per questo creammo un centro di scambio e-government con la Cina, poi colpevolmente abbandonato). La rivoluzione consiste nel considerare il cittadino proprietario unico dei suoi dati e le amministrazioni come fornitrici di servizi. Con un solo documento, un solo accesso e una sola identità devono potere fare tutto, da qualsiasi terminale connesso e tramite qualsiasi rete. Questo concetto ci proietta sulla frontiera dello sviluppo, oltre a rendere possibile la drastica riduzione della spesa pubblica.
Ho terminato lo spazio. Certe premesse erano necessarie, perché non tutti si orientano in questo mondo. Ma il succo è: nelle rivoluzioni culturali e umanistiche noi abbiamo dato il meglio, nella storia, e abbia saputo farci ricchi e potenti: questo è uno di quei momenti. Questa è un’occasione preziosa. Per questo non tollero le corbellerie di chi vuol buttare soldi nel secolo scorso, non sopporto i ministri ignoranti che credono “digitalizzare” sia “fare un sito”, e considero uno scandalo indicibile il crollo del portale per le startup. Nessuno può garantirci che ci sia in giro un Leonardo o un Raffaello, ma di sicuro non è ammissibile che debbano far la fila fuori dalla porta di un imbianchino guercio. Che paghiamo noi.
Un tempo la danza era condotta da chi stendeva i cavi e allacciava i telefoni di casa, perché il solo contenuto scambiato era fornito gratis dai clienti: le loro conversazioni. Le norme che regolano il mercato sono state concepite per evitare che il dominio di tale funzione si traducesse troppo brutalmente in dominanza di mercato. Il passato di prima erano i monopoli, il passato che viviamo ha regole che impediscono a una Telecom di considerare in eterno il signor Rossi un proprio cliente esclusivo, consentendogli di passare da un gestore all’altro. In questo passato potevi comprare il telefono che ti piaceva di più, ma restavi un cliente della Telecom. Con il digitale la musica è cambiata, perché Apple ha scoperto che il telefono è solo marginalmente uno strumento per parlare e più massicciamente un terminale con cui interagire e socializzare, subito dopo viene l’uso per i pagamenti. Altri hanno capito e si sono messi su quella strada (da ultimo l’acquisizione di Nokia da parte di Microsoft), talché oggi è chi ti fornisce il telefono a considerarti un suo cliente esclusivo, indipendentemente da chi ti fornisce la rete, da chi ti dà la sim che ci metti dentro.
Mentre fino a poco tempo addietro era importante impedire che un fornitore di rete divenisse troppo grosso e dominante, oggi la frittata si gira: se non sono grossi non investono più nelle reti e va a finire come il quel Paese in cui a tutti si vende una vettura, ma non s’investe abbastanza nelle autostrade. Indovinate quale. Che gli operatori siano grandi, multinazionali e finanziariamente capaci d’investire puntando a ritorni lontani nel tempo è la condizione necessaria affinché lo sviluppo continui. Ecco perché non ha alcun senso che la Cassa depositi e prestiti butti i soldi dei cittadini nella rete di Telecom Italia, facendo un piacere esclusivamente alle banche che hanno prestato troppi soldi ai soggetti sbagliati. Ed ecco perché chi, come me, si batté contro il monopolio oggi prende atto che gli operatori telefonici sono troppi. Dovranno concentrarsi. Dall’altro lato, del resto, il fatto che cominci seriamente la concorrenza nella fornitura di piattaforme per i servizi è un bene, perché altrimenti si sarebbe passati dal monopolio delle reti, garantito per legge, al monopolio della piattaforma, autogarantito dalla propria forza e globalità. Quindi peggiore. I primi a festeggiare l’acquisto di Microsoft dovrebbero essere proprio le Telecom.
E noi? Eravamo all’avanguardia delle reti, ma abbiamo dato il vantaggio in pasto a qualche profittatore. Ci siamo auto-affondati nei terminali, con il conflitto fra Italtel (partecipazioni statali) e Telettra (Fiat). Sembriamo fuori dai giochi. E lo siamo. Ma, c’è un ma: se rompiamo il monopolio della demenzialità burocratica ci riposizioniamo alla grande. La sim garantisce certezza e unicità d’identità, tanto che da qualsiasi rete vi connettiate le piattaforme vi riconoscono e smistano messaggi e servizi. Invece l’Agenzia delle entrate mi considera un suo cliente esclusivo, così anche l’anagrafe, la sanità, la motorizzazione, le municipalizzate, il sistema scolastico e così via. Ciascuno mi chiede d’identificarmi. In questo modo si moltiplicano gli oneri della digitalizzazione e si annullano le sinergie. Si buttano soldi e si rimane sudditi delle mezzemaniche. Ribaltando questo approccio si crea un mercato ricchissimo, nel quale mettere a punto prodotti Made in Italy, da esportarsi (per questo creammo un centro di scambio e-government con la Cina, poi colpevolmente abbandonato). La rivoluzione consiste nel considerare il cittadino proprietario unico dei suoi dati e le amministrazioni come fornitrici di servizi. Con un solo documento, un solo accesso e una sola identità devono potere fare tutto, da qualsiasi terminale connesso e tramite qualsiasi rete. Questo concetto ci proietta sulla frontiera dello sviluppo, oltre a rendere possibile la drastica riduzione della spesa pubblica.
Ho terminato lo spazio. Certe premesse erano necessarie, perché non tutti si orientano in questo mondo. Ma il succo è: nelle rivoluzioni culturali e umanistiche noi abbiamo dato il meglio, nella storia, e abbia saputo farci ricchi e potenti: questo è uno di quei momenti. Questa è un’occasione preziosa. Per questo non tollero le corbellerie di chi vuol buttare soldi nel secolo scorso, non sopporto i ministri ignoranti che credono “digitalizzare” sia “fare un sito”, e considero uno scandalo indicibile il crollo del portale per le startup. Nessuno può garantirci che ci sia in giro un Leonardo o un Raffaello, ma di sicuro non è ammissibile che debbano far la fila fuori dalla porta di un imbianchino guercio. Che paghiamo noi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.