Quattro suggerimenti indispensabili
Rigore e sviluppo: binomio vincente
Troviamo il coraggio per fare le grandi riforme strutturalidi Enrico Cisnetto - 02 luglio 2010
Presi dalle miserie di casa nostra, in Italia ai più è sfuggito quanto denso di significato sia stato lo scontro che si è consumato – ma certo non esaurito – al G20 di Toronto tra coloro, Germania in testa, che vogliono immediate e decise politiche di contenimento dei deficit correnti e degli stock di debito pubblici, e chi invece, come gli Stati Uniti, considera ancora troppo fragile l’uscita dalla recessione e dalla stessa crisi finanziaria mondiale che l’ha generata, teme che misure restrittive possano tagliare le gambe alla già fin troppo modesta ripresa in atto, e di conseguenza vuole che non vengano meno le politiche di sostegno alla crescita adottate negli ultimi tempi. Scontro che si è concluso con un compromissorio pareggio, visto che nel comunicato finale del summit l’appello a “programmi di risanamento dei bilanci pubblici che favoriscono la crescita” è definizione che accontenta tutti. E se è vero che la Merkel ha strappato due scadenze temporali precise – il 2013 per l’azzeramento dei deficit e il 2016 per la riduzione dei debiti – è altrettanto che vero che esse appaiono semplici e non impegnativi auspici dato che nulla si dice sulle ben più importanti modalità con cui questi obiettivi dovrebbero essere perseguiti.
Ma, soprattutto, si tace sul se sia possibile, e come, far coesistere due politiche almeno apparentemente contraddittorie, visto che una presuppone l’uso del freno e l’altra quello dell’acceleratore. Tema che, a ben vedere, riguarda l’Italia più di ogni altro paese occidentale, considerato che noi deteniamo il primato sia della crescita più bassa (nei 15 anni dal 1992 in poi) e della recessione più alta (2008-2009), sia del maggiore debito accumulato (secondo solo a quello del Giappone). Il che dovrebbe indurci a far nostro il “compromesso di Toronto” e realizzare contemporaneamente sia politiche contenitive che espansive.
Già, ma è possibile frenare e accelerare allo stesso tempo? Non è una contraddizione in termini? Domanda difficile, risposta ardua. E il dibattito cui finora abbiamo assistito certo non facilita, visto che si va da Paul Krugman che parla addirittura di Terza Depressione mondiale dopo quelle del 1873 e del 1929-31 ai sostenitori della linea tedesca che ricordano come la speculazione finanziaria sull’euro si sia solo momentaneamente fermata in attesa di capire se Eurolandia farà sul serio o sbracherà per la pressione delle opinioni pubbliche disabituate ai sacrifici, passando per chi, come Martin Wolf, definisce impossibile che le misure di risanamento della finanza pubblica siano compatibili, almeno in questo momento, con quelle di sostegno allo sviluppo. Per non parlare degli estremisti alla Serge Latouche, il teorico della “decrescita”, che ha l’ardire di definire “una fortuna” la crisi globale.
Tuttavia, a mio avviso una risposta positiva alla contraddizione “risanamento-sviluppo” c’è. E vale tanto per il mondo quanto, seppure con tutte le differenze del caso, per l’Italia. Provo ad articolarla. Primo: bisogna aggredire non i deficit ma i debiti, e questo lo si può fare privatizzando servizi e vendendo beni mobili e immobili pubblici. Siccome una parte rilevante (specie per l’Italia) dei deficit è costituita da interessi passivi sul debito, ecco che ridurre con operazioni una-tantum gli stock significa anche ridurre i deficit, seppure non quelli correnti.
Secondo: a parità di deficit, bisogna trasformare quote importanti di spesa pubblica corrente in spesa per investimenti. Anzi, si potrebbe stabilire che le quote di spesa e quindi di deficit così trasformate escono dal conteggio dei parametri (dai “tetti” europei ma anche da quelli che i paesi del G20 dovrebbero concordare). Terzo: gli investimenti resi possibili dovrebbero essere concordati in sede europea e globale, sia perché andrebbero prioritariamente indirizzati verso infrastrutture sovranazionali, sia per fare in modo che le politiche industriali e di sviluppo siano il più possibile concordate (se non omogenee). Quarto: le voci di spesa corrente da toccare variano da paese a paese, ma in generale non c’è dubbio che in Europa la voce da rivedere è quella dei capitoli di spesa riferibili al welfare, previdenza. sanità e pubbliche amministrazioni in testa. Nel caso delle pensioni si fa aumentando in modo deciso l’età di quiescenza, nel caso della spesa sanitaria privatizzando alcune prestazioni e introducendo ticket, mentre per la burocrazia il grosso deve derivare dallo snellimento delle strutture di decentramento. Sì, avete capito bene: rigore e sviluppo si possono perseguire insieme facendo le grandi riforme strutturali. Per le quali occorrono solo due requisiti: intelligenza e “palle”. Materie prime che scarseggiano, ahinoi.
Ma, soprattutto, si tace sul se sia possibile, e come, far coesistere due politiche almeno apparentemente contraddittorie, visto che una presuppone l’uso del freno e l’altra quello dell’acceleratore. Tema che, a ben vedere, riguarda l’Italia più di ogni altro paese occidentale, considerato che noi deteniamo il primato sia della crescita più bassa (nei 15 anni dal 1992 in poi) e della recessione più alta (2008-2009), sia del maggiore debito accumulato (secondo solo a quello del Giappone). Il che dovrebbe indurci a far nostro il “compromesso di Toronto” e realizzare contemporaneamente sia politiche contenitive che espansive.
Già, ma è possibile frenare e accelerare allo stesso tempo? Non è una contraddizione in termini? Domanda difficile, risposta ardua. E il dibattito cui finora abbiamo assistito certo non facilita, visto che si va da Paul Krugman che parla addirittura di Terza Depressione mondiale dopo quelle del 1873 e del 1929-31 ai sostenitori della linea tedesca che ricordano come la speculazione finanziaria sull’euro si sia solo momentaneamente fermata in attesa di capire se Eurolandia farà sul serio o sbracherà per la pressione delle opinioni pubbliche disabituate ai sacrifici, passando per chi, come Martin Wolf, definisce impossibile che le misure di risanamento della finanza pubblica siano compatibili, almeno in questo momento, con quelle di sostegno allo sviluppo. Per non parlare degli estremisti alla Serge Latouche, il teorico della “decrescita”, che ha l’ardire di definire “una fortuna” la crisi globale.
Tuttavia, a mio avviso una risposta positiva alla contraddizione “risanamento-sviluppo” c’è. E vale tanto per il mondo quanto, seppure con tutte le differenze del caso, per l’Italia. Provo ad articolarla. Primo: bisogna aggredire non i deficit ma i debiti, e questo lo si può fare privatizzando servizi e vendendo beni mobili e immobili pubblici. Siccome una parte rilevante (specie per l’Italia) dei deficit è costituita da interessi passivi sul debito, ecco che ridurre con operazioni una-tantum gli stock significa anche ridurre i deficit, seppure non quelli correnti.
Secondo: a parità di deficit, bisogna trasformare quote importanti di spesa pubblica corrente in spesa per investimenti. Anzi, si potrebbe stabilire che le quote di spesa e quindi di deficit così trasformate escono dal conteggio dei parametri (dai “tetti” europei ma anche da quelli che i paesi del G20 dovrebbero concordare). Terzo: gli investimenti resi possibili dovrebbero essere concordati in sede europea e globale, sia perché andrebbero prioritariamente indirizzati verso infrastrutture sovranazionali, sia per fare in modo che le politiche industriali e di sviluppo siano il più possibile concordate (se non omogenee). Quarto: le voci di spesa corrente da toccare variano da paese a paese, ma in generale non c’è dubbio che in Europa la voce da rivedere è quella dei capitoli di spesa riferibili al welfare, previdenza. sanità e pubbliche amministrazioni in testa. Nel caso delle pensioni si fa aumentando in modo deciso l’età di quiescenza, nel caso della spesa sanitaria privatizzando alcune prestazioni e introducendo ticket, mentre per la burocrazia il grosso deve derivare dallo snellimento delle strutture di decentramento. Sì, avete capito bene: rigore e sviluppo si possono perseguire insieme facendo le grandi riforme strutturali. Per le quali occorrono solo due requisiti: intelligenza e “palle”. Materie prime che scarseggiano, ahinoi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.