Panebianco sulla revisione costituzionale
Riformare la Costituzione? Che noia!
Ancora nessuna soluzione per sbloccare un sistema imballato: l’indifferenza del politologodi Elio Di Caprio - 05 marzo 2007
Nulla può oggi annoiare di più il pubblico dell"ennesima discussione sulla riforma della Costituzione (se ne parla infatti da un trentennio). E" quanto sostiene Angelo Panebianco sul Corriere della Sera. Ma poi riconosce che, al di là delle varie bicamerali regolarmente fallite, qualcosa si è mosso negli ultimi anni, a partire dalla “sciagurata”- come egli dice - riforma del titolo V, varata dal centrosinistra, riguardante la distribuzione dei poteri fra Stato centrale e poteri periferici. Per finire poi con il tentativo fallito di riforma organica della Costituzione voluta dal centrodestra e bocciato via referendum.
Ci troviamo dunque in questa situazione assurda: da una parte una riforma parziale già in atto che ha aggravato gli inconvenienti precedenti e dall"altra una renitenza complessiva e disillusa ad ogni forma di revisione costituzionale, globale o parziale che sia. Anche se lo volessimo non si può fare punto e a capo, ci sarebbe comunque il problema di rivedere e correggere la “sciagurata” riforma del centrosinistra. Tutti lo ammettono, ma poi la soluzione viene rimandata ad un improbabile accordo bipartisan al di là da venire.
Il referendum sulla legge elettorale è alle porte. Ammesso che si tenga ed abbia successo, potrà sì porre qualche rimedio all"ingovernabilità bipolare, ma non basta in sé ad aggiornare e modernizzare le principali regole di funzionamento delle istituzioni fino a quando non si raggiungerà un vero equilibrio tra potere legislativo e potere esecutivo o tra poteri locali e centrali. Se ne è accorto persino il Capo dello Stato quando, sia pur cautamente, parla della necessità di modifiche costituzionali ( anche per il Titolo V?). Nessuno potrebbe rimproverare Giorgio Napolitano di muoversi, nelle sue ultime esternazioni, per interessi di parte e di fazione. Sta sperimentando sulla sua pelle come sia difficile governare un sistema bloccato. Dunque il problema c"è ed è ineludibile.
A nulla vale alzare o cambiare il tiro, come fa Panebianco, e chiedere di mettersi il cuore in pace sulle modifiche istituzionali e pensare piuttosto a riformare la prima parte della Costituzione, quella economica-sociale, che ancora risentirebbe di un mix di compromesso tra economia di mercato, principii corporativi e idee di socialismo reale. Può essere vero : sappiamo bene che molti dei ritardi e delle insufficienze della Costituzione sono dovuti sia ai faticosi e contrastati compromessi dell"Assemblea incaricata di redigerla che allo spirito del tempo, di quel tempo (parliamo di 60 anni fa). Di limiti sociali alla proprietà privata non si parla solo nella prima parte della nostra Costituzione che Panebianco vorrebbe riformare, ma anche nell"altra Costituzione coeva, quella della Germania del dopoguerra, che ribadendo che “ la proprietà impone dei doveri, il suo uso deve anche servire il bene pubblico”, non stabilisce certo un principio liberal. Eppure ciò non ha impedito alla Germania di progredire più di noi con la sua “economia sociale” di mercato e di conservare un sostanziale equilibrio senza i conflitti sociali dirompenti che hanno contrassegnato la nostra storia recente. Certo ognuno si porta dietro la propria storia. Persino l"ex gerontocratica Cina, ora a capitalismo avanzato, in questi giorni si accinge a dare rilevanza costituzionale, dopo mezzo secolo di comunismo, alla proprietà privata. Noi per fortuna non siamo a questo punto, ma dopo 60 anni dovremmo essere pur capaci di qualche aggiornamento.
La parziale o totale riscrittura della nostra Costituzione appare, a torto, un argomento rituale ed astratto che interessa a pochi. In tempi di perenne campagna elettorale avrebbe più successo un referendum popolare pro o contro Silvio Berlusconi o pro o contro Romano Prodi che non uno sulla Costituzione e le sue regole. Ce ne rendiamo perfettamente conto, dopo che si parla di riforme della Costituzione da più di un trentennio, come dice Panebianco, e non se ne fa nulla. Ora siamo ai tentativi dei “riformisti” dei DS ( ma c"è pure l"area “liberal” del partito distratta da altri problemi) di ricercare un minimo di convergenza bipartisan per la rimodifica dell"attuale legge elettorale che ha ingolfato il sistema più di prima.
Vanno segnalate ed apprezzate anche le proposte dirette a superare il doppione del bicameralismo Camera-Senato che ormai rappresenta più se stesso che interessi diffusi di categoria o territoriali. Anche se non basta è già qualcosa che può rimettere in moto, con qualche saggezza in più, un meccanismo di riordino complessivo delle regole purchè non sopravvenga il solito teatrino della politica a cui siamo abituati. Quella della revisione costituzionale è una materia troppo seria ( e forse noiosa) per affidarla alla cura esclusiva dei costituzionalisti alla Sartori o alla Barbera, nè può basarsi su un"operazione ingegneristica che sia tecnica e neutrale. Per passare dalle parole ai fatti ci sarebbe bisogno di una nuova spinta politica, bipartisan o unipartisan che sia, che però stenta a farsi strada fino a quando prevalgono gli interessi spiccioli di schieramento. Ma una domanda è d"obbligo : abbiamo una classe dirigente all"altezza di tale compito? O anche questa volta sentiremo di estenuanti “confronti” tra le forze politiche che si aprono e non si chiudono mai?
Ci troviamo dunque in questa situazione assurda: da una parte una riforma parziale già in atto che ha aggravato gli inconvenienti precedenti e dall"altra una renitenza complessiva e disillusa ad ogni forma di revisione costituzionale, globale o parziale che sia. Anche se lo volessimo non si può fare punto e a capo, ci sarebbe comunque il problema di rivedere e correggere la “sciagurata” riforma del centrosinistra. Tutti lo ammettono, ma poi la soluzione viene rimandata ad un improbabile accordo bipartisan al di là da venire.
Il referendum sulla legge elettorale è alle porte. Ammesso che si tenga ed abbia successo, potrà sì porre qualche rimedio all"ingovernabilità bipolare, ma non basta in sé ad aggiornare e modernizzare le principali regole di funzionamento delle istituzioni fino a quando non si raggiungerà un vero equilibrio tra potere legislativo e potere esecutivo o tra poteri locali e centrali. Se ne è accorto persino il Capo dello Stato quando, sia pur cautamente, parla della necessità di modifiche costituzionali ( anche per il Titolo V?). Nessuno potrebbe rimproverare Giorgio Napolitano di muoversi, nelle sue ultime esternazioni, per interessi di parte e di fazione. Sta sperimentando sulla sua pelle come sia difficile governare un sistema bloccato. Dunque il problema c"è ed è ineludibile.
A nulla vale alzare o cambiare il tiro, come fa Panebianco, e chiedere di mettersi il cuore in pace sulle modifiche istituzionali e pensare piuttosto a riformare la prima parte della Costituzione, quella economica-sociale, che ancora risentirebbe di un mix di compromesso tra economia di mercato, principii corporativi e idee di socialismo reale. Può essere vero : sappiamo bene che molti dei ritardi e delle insufficienze della Costituzione sono dovuti sia ai faticosi e contrastati compromessi dell"Assemblea incaricata di redigerla che allo spirito del tempo, di quel tempo (parliamo di 60 anni fa). Di limiti sociali alla proprietà privata non si parla solo nella prima parte della nostra Costituzione che Panebianco vorrebbe riformare, ma anche nell"altra Costituzione coeva, quella della Germania del dopoguerra, che ribadendo che “ la proprietà impone dei doveri, il suo uso deve anche servire il bene pubblico”, non stabilisce certo un principio liberal. Eppure ciò non ha impedito alla Germania di progredire più di noi con la sua “economia sociale” di mercato e di conservare un sostanziale equilibrio senza i conflitti sociali dirompenti che hanno contrassegnato la nostra storia recente. Certo ognuno si porta dietro la propria storia. Persino l"ex gerontocratica Cina, ora a capitalismo avanzato, in questi giorni si accinge a dare rilevanza costituzionale, dopo mezzo secolo di comunismo, alla proprietà privata. Noi per fortuna non siamo a questo punto, ma dopo 60 anni dovremmo essere pur capaci di qualche aggiornamento.
La parziale o totale riscrittura della nostra Costituzione appare, a torto, un argomento rituale ed astratto che interessa a pochi. In tempi di perenne campagna elettorale avrebbe più successo un referendum popolare pro o contro Silvio Berlusconi o pro o contro Romano Prodi che non uno sulla Costituzione e le sue regole. Ce ne rendiamo perfettamente conto, dopo che si parla di riforme della Costituzione da più di un trentennio, come dice Panebianco, e non se ne fa nulla. Ora siamo ai tentativi dei “riformisti” dei DS ( ma c"è pure l"area “liberal” del partito distratta da altri problemi) di ricercare un minimo di convergenza bipartisan per la rimodifica dell"attuale legge elettorale che ha ingolfato il sistema più di prima.
Vanno segnalate ed apprezzate anche le proposte dirette a superare il doppione del bicameralismo Camera-Senato che ormai rappresenta più se stesso che interessi diffusi di categoria o territoriali. Anche se non basta è già qualcosa che può rimettere in moto, con qualche saggezza in più, un meccanismo di riordino complessivo delle regole purchè non sopravvenga il solito teatrino della politica a cui siamo abituati. Quella della revisione costituzionale è una materia troppo seria ( e forse noiosa) per affidarla alla cura esclusiva dei costituzionalisti alla Sartori o alla Barbera, nè può basarsi su un"operazione ingegneristica che sia tecnica e neutrale. Per passare dalle parole ai fatti ci sarebbe bisogno di una nuova spinta politica, bipartisan o unipartisan che sia, che però stenta a farsi strada fino a quando prevalgono gli interessi spiccioli di schieramento. Ma una domanda è d"obbligo : abbiamo una classe dirigente all"altezza di tale compito? O anche questa volta sentiremo di estenuanti “confronti” tra le forze politiche che si aprono e non si chiudono mai?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.