Le riforme non si fanno cominciando dalle punizioni
Riequilibrare il carico fiscale
Lotta all’evasione fiscale: tanto giusta quanto pericolosadi Davide Giacalone - 03 giugno 2010
La lotta all’evasione fiscale è tanto giusta quanto pericolosa, con lo Stato che oscilla fra la resa e l’abuso, debole nell’amministrazione e prepotente nella sanzione. Anche le novità, contenute nel decreto, destano preoccupazione. Riguardano, pensano gli ottimisti, solo quanti non sono stati leali con il fisco. Magari! Le cose non stanno proprio così, anche perché, in Italia, sono tutti contro l’evasione fiscale, anche gli evasori fiscali, i quali, nella gran parte, ritengono scusabile la propria condotta (non rilasciare ricevuta, non pagare interamente i contributi dovuti ai collaboratori domestici, accordarsi con il dentista e così via), ma altamente esecrabile quella altrui.
Mi preoccupa, oggi, il modo trionfale con cui i funzionari dell’Agenzia delle Entrate festeggiano il rinvigorimento dell’antico costume: solve et repete. Prima paghi e poi reclami. Dicono che trattasi di grande modernizzazione, ma il latino appena citato indurrebbe a vedere le cose in una prospettiva storica meno affrettata. Essi, difatti, stimano di racimolale ben 20 miliardi in tre anni, grazie alla semplice soppressione della procedura attualmente in vigore, di cui lamentano, a ragione, la lunghezza e incertezza. Anche i processi sono lunghi ed incerti, il che dovrebbe sollecitare la riforma della giustizia, ma non è un buon motivo per far emettere le sentenze direttamente ai questurini.
Ad oggi, riassumendo brutalmente, le cose stanno così: a. il fisco fa dei controlli e deduce che i conti non tornano; b. a questo punto manda al contribuente un avviso d’accertamento; c. nel corso dello stesso è possbile che le due parti, fisco e cittadino, s’accordino, e la cosa finisce lì; d. in caso contrario l’accertamento è iscritto a ruolo, il che avviene entro un anno; e. successivamente il ruolo è caricato dalla società di riscossione, che entro nove mesi notifica una cartella esattoriale; e. il contribuente, a quel punto, ha sessanta giorni entro i quali pagare o chiedere ad un giudice d’essere liberato da una persecuzione ingiusta e immotivata. Diciamo che, a quel punto, sono passati un paio d’anni dall’inizio. Il cittadino onesto sarà stato torturato e messo in agitazione, mentre quello disonesto avrà fatto sparire i soldi. Non funziona, è solare.
Questa la riforma: rendiamo esecutivo l’avviso d’accertamento e costringiamo il cittadino a scucire tutti i soldi entro 90 giorni. Poi potrà rivolgersi al giudice, o per fare ricorso o per rispondere d’omicidio. Signori, non mi pare affatto una bella pensata. Anzi, mi sembra una carognata.
Anche perché il cittadino è vittima, talora, di vere e proprie estorsioni. Ci sono intere categorie di lavoratori che ricevono l’intimazione di pagare l’Irap, salvo il fatto che la Cassazione continua a dare loro ragione (dopo anni), perché quella tassa non è dovuta in assenza di stabile organizzazione (oltre a essere dissennata in sé).
Per non parlare dei milioni d’italiani che ricevono lettere minatorie dalla Rai e dall’Agenzia delle Entrate, reclamanti canoni non dovuti (sia che si considerino famiglie distinte quelle di due coniugi residenti in due diverse case, sia che si considerino gli studi professionali alla stregua di bar). E, diciamolo senza peli sulla lingua, se la giustizia tributaria è lenta nel dar ragione allo Stato che deve incassare, diventerà lentissima nel darla al cittadino che deve avere indietro soldi che gli sono stati portati via.
Non si tratta di una modernizzazione, quindi, ma di una regressione. Diverso, e innovativo, sarebbe favorire i pagamenti elettronici, capaci di rendere tracciabili anche le piccole spese. Conosco l’obiezione: gli italiani sono abituati a pagare in contanti. Ora, a parte il fatto che chi va al supermercato sa che già moltissimi pagano con la carta di credito o il bancomat, e che non tutti hanno il problema che affligge spacciatori di droga e contrabbandieri, ovvero sbolognare le mazzette, le buone abitudini possono essere incoraggiate. Ad esempio rendendo più conveniente l’uso della moneta elettronica (i privati già lo fanno, premiandomi, lo faccia anche lo Stato).
Ad aumentare la preoccupazione contribuisce un"altra novità: non sarà più possibile compensare crediti e debiti fiscali se c’è, iscritto a ruolo, un debito non riconosciuto. Detto in modo diverso: non si potrà compensare se prima non si pagano tutte le cartelle esattoriali, anche quelle ritenute non dovute. Preoccupa perché è un disincentivo a far funzionare la giustizia, dato che in assenza di verdetto si sterilizza la compensazione, quindi si consolida (illegittimamente e a spese del contribuente) una parte del debito pubblico.
Dal governo ripetono che è già molto non avere aumentato le tasse. A me pare che si sarebbe potuto fare di più, ovvero riformare la macchina fiscale, renderla più evoluta e, al tempo stesso, riequilibrare il carico, in modo da evitare che, come oggi, sia così sperequato, talché una parte dei cittadini se lo porti sulle spalle e un’altra parte passi accanto fischiettando. Le riforme, però, non si fanno cominciando dalle punizioni. E se è bene (grazie) che non siano messe le mani nelle tasche dei cittadini, già molto provate, non per questo si è autorizzati a mettere loro un dito colà ove non batte sole.
Pubblicato da Libero
Mi preoccupa, oggi, il modo trionfale con cui i funzionari dell’Agenzia delle Entrate festeggiano il rinvigorimento dell’antico costume: solve et repete. Prima paghi e poi reclami. Dicono che trattasi di grande modernizzazione, ma il latino appena citato indurrebbe a vedere le cose in una prospettiva storica meno affrettata. Essi, difatti, stimano di racimolale ben 20 miliardi in tre anni, grazie alla semplice soppressione della procedura attualmente in vigore, di cui lamentano, a ragione, la lunghezza e incertezza. Anche i processi sono lunghi ed incerti, il che dovrebbe sollecitare la riforma della giustizia, ma non è un buon motivo per far emettere le sentenze direttamente ai questurini.
Ad oggi, riassumendo brutalmente, le cose stanno così: a. il fisco fa dei controlli e deduce che i conti non tornano; b. a questo punto manda al contribuente un avviso d’accertamento; c. nel corso dello stesso è possbile che le due parti, fisco e cittadino, s’accordino, e la cosa finisce lì; d. in caso contrario l’accertamento è iscritto a ruolo, il che avviene entro un anno; e. successivamente il ruolo è caricato dalla società di riscossione, che entro nove mesi notifica una cartella esattoriale; e. il contribuente, a quel punto, ha sessanta giorni entro i quali pagare o chiedere ad un giudice d’essere liberato da una persecuzione ingiusta e immotivata. Diciamo che, a quel punto, sono passati un paio d’anni dall’inizio. Il cittadino onesto sarà stato torturato e messo in agitazione, mentre quello disonesto avrà fatto sparire i soldi. Non funziona, è solare.
Questa la riforma: rendiamo esecutivo l’avviso d’accertamento e costringiamo il cittadino a scucire tutti i soldi entro 90 giorni. Poi potrà rivolgersi al giudice, o per fare ricorso o per rispondere d’omicidio. Signori, non mi pare affatto una bella pensata. Anzi, mi sembra una carognata.
Anche perché il cittadino è vittima, talora, di vere e proprie estorsioni. Ci sono intere categorie di lavoratori che ricevono l’intimazione di pagare l’Irap, salvo il fatto che la Cassazione continua a dare loro ragione (dopo anni), perché quella tassa non è dovuta in assenza di stabile organizzazione (oltre a essere dissennata in sé).
Per non parlare dei milioni d’italiani che ricevono lettere minatorie dalla Rai e dall’Agenzia delle Entrate, reclamanti canoni non dovuti (sia che si considerino famiglie distinte quelle di due coniugi residenti in due diverse case, sia che si considerino gli studi professionali alla stregua di bar). E, diciamolo senza peli sulla lingua, se la giustizia tributaria è lenta nel dar ragione allo Stato che deve incassare, diventerà lentissima nel darla al cittadino che deve avere indietro soldi che gli sono stati portati via.
Non si tratta di una modernizzazione, quindi, ma di una regressione. Diverso, e innovativo, sarebbe favorire i pagamenti elettronici, capaci di rendere tracciabili anche le piccole spese. Conosco l’obiezione: gli italiani sono abituati a pagare in contanti. Ora, a parte il fatto che chi va al supermercato sa che già moltissimi pagano con la carta di credito o il bancomat, e che non tutti hanno il problema che affligge spacciatori di droga e contrabbandieri, ovvero sbolognare le mazzette, le buone abitudini possono essere incoraggiate. Ad esempio rendendo più conveniente l’uso della moneta elettronica (i privati già lo fanno, premiandomi, lo faccia anche lo Stato).
Ad aumentare la preoccupazione contribuisce un"altra novità: non sarà più possibile compensare crediti e debiti fiscali se c’è, iscritto a ruolo, un debito non riconosciuto. Detto in modo diverso: non si potrà compensare se prima non si pagano tutte le cartelle esattoriali, anche quelle ritenute non dovute. Preoccupa perché è un disincentivo a far funzionare la giustizia, dato che in assenza di verdetto si sterilizza la compensazione, quindi si consolida (illegittimamente e a spese del contribuente) una parte del debito pubblico.
Dal governo ripetono che è già molto non avere aumentato le tasse. A me pare che si sarebbe potuto fare di più, ovvero riformare la macchina fiscale, renderla più evoluta e, al tempo stesso, riequilibrare il carico, in modo da evitare che, come oggi, sia così sperequato, talché una parte dei cittadini se lo porti sulle spalle e un’altra parte passi accanto fischiettando. Le riforme, però, non si fanno cominciando dalle punizioni. E se è bene (grazie) che non siano messe le mani nelle tasche dei cittadini, già molto provate, non per questo si è autorizzati a mettere loro un dito colà ove non batte sole.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.