Deve rinascere la voglia di competere e produrre
Ricchi, sfiduciati e patrimonializzati
E’ questo il ritratto degli italiani che viene fuori dai dati Istat e Censis degli ultimi mesidi Davide Giacalone - 24 giugno 2005
I numeri dell’economia, che ieri mettevo in evidenza, oggi sono all’attenzione della grande stampa. Ma come è possibile, ci si domanda, che i consumi siano cresciuti, negli ultimi cinque anni, per più del venti per cento, il reddito disponibile, nelle tasche degli italiani, non è diminuito, addirittura (ed è un dato che non conoscevo) la propensione al risparmio è aumentata, però ci troviamo in recessione e, nell’ultimo mese, calano i consumi? Siamo ricchi e sfiduciati, insomma. Non ci mancano i soldi in tasca, ma temiamo che presto saranno vuote.
Certo, questo è un modo di leggere le cose, ed è la chiave che proponevo ieri. Ma proviamo a guardare più nel dettaglio, giacché le statistiche, anche ai tempi di Trilussa, fotografano un insieme ma non raccontano le tante storie. Partiamo dai consumi: i numeri ci dicono che sono cresciuti, ma sono i numeri della spesa. Domanda: all’incremento della spesa è corrisposto un aumento delle merci acquistate? Perché se così non fosse ci troveremmo di fronte ad un caso di inflazione non rilevata, o, meglio, ad uno degli effetti negativi del passaggio dalla lira all’euro. Seconda domanda: quanto si è modificato il paniere degli italiani? Perché parte della spinta all’aumento dei consumi potrebbe venire da prodotti che prima non venivano acquistati perché troppo cari, della serie: la scarpa cinese è scelta rispetto a quella italiana perché costa di meno, ma l’elettronica di consumo piazza oggi oggetti che ieri neanche erano presi in considerazione.
Sono dell’idea che, nell’andamento degli ultimi cinque anni, c’è un po’ di tutto questo. Starei bene attento, inoltre, sul fronte del patrimonio edilizio. Il Censis avverte che la grandissima maggioranza degli italiani possiede la casa dove abita (il che non aiuta certo la mobilità), e molti ne hanno una seconda. Negli ultimi anni, poi, grazie all’euro ed ai bassi tassi dei mutui, il settore ha avuto un rilancio ed il numero dei proprietari è cresciuto. Ma teniamo presenti due cose: intanto che la ricchezza si è concentrata, il che significa che poche persone fanno confluire nel mattone somme sempre più alte di denaro, e questo, di certo, non è un segno di ricchezza diffusa e non propizia i consumi; e, poi, è vero che con i mutui bassi si comperano più case, ma è anche vero che si contraggono più debiti e, a fronte di un mercato del lavoro che offre più posti ma meno sicurezze, ecco che molti vengono spinti, in via cautelativa, a contenere i consumi ed aumentare il risparmio (e vale lo stesso ragionamento per il credito al consumo, che da una parte ha spinto a spendere quel che non si aveva, dall’altro presenta il rischio della bancarotta familiare).
Se quest’analisi non è del tutto errata, quella che abbiamo di fronte è una società che si patrimonializza perdendo capacità di spesa nei consumi e non provando più nemmeno ad aumentare la produzione. La ricetta, insomma, delle baronie meridionali, destinate al declino prima ed alla perdizione poi. Rompere questo circuito, far tornare il patrimonio ad essere attivo, sarebbe il compito della politica. Se solo esistesse.
Certo, questo è un modo di leggere le cose, ed è la chiave che proponevo ieri. Ma proviamo a guardare più nel dettaglio, giacché le statistiche, anche ai tempi di Trilussa, fotografano un insieme ma non raccontano le tante storie. Partiamo dai consumi: i numeri ci dicono che sono cresciuti, ma sono i numeri della spesa. Domanda: all’incremento della spesa è corrisposto un aumento delle merci acquistate? Perché se così non fosse ci troveremmo di fronte ad un caso di inflazione non rilevata, o, meglio, ad uno degli effetti negativi del passaggio dalla lira all’euro. Seconda domanda: quanto si è modificato il paniere degli italiani? Perché parte della spinta all’aumento dei consumi potrebbe venire da prodotti che prima non venivano acquistati perché troppo cari, della serie: la scarpa cinese è scelta rispetto a quella italiana perché costa di meno, ma l’elettronica di consumo piazza oggi oggetti che ieri neanche erano presi in considerazione.
Sono dell’idea che, nell’andamento degli ultimi cinque anni, c’è un po’ di tutto questo. Starei bene attento, inoltre, sul fronte del patrimonio edilizio. Il Censis avverte che la grandissima maggioranza degli italiani possiede la casa dove abita (il che non aiuta certo la mobilità), e molti ne hanno una seconda. Negli ultimi anni, poi, grazie all’euro ed ai bassi tassi dei mutui, il settore ha avuto un rilancio ed il numero dei proprietari è cresciuto. Ma teniamo presenti due cose: intanto che la ricchezza si è concentrata, il che significa che poche persone fanno confluire nel mattone somme sempre più alte di denaro, e questo, di certo, non è un segno di ricchezza diffusa e non propizia i consumi; e, poi, è vero che con i mutui bassi si comperano più case, ma è anche vero che si contraggono più debiti e, a fronte di un mercato del lavoro che offre più posti ma meno sicurezze, ecco che molti vengono spinti, in via cautelativa, a contenere i consumi ed aumentare il risparmio (e vale lo stesso ragionamento per il credito al consumo, che da una parte ha spinto a spendere quel che non si aveva, dall’altro presenta il rischio della bancarotta familiare).
Se quest’analisi non è del tutto errata, quella che abbiamo di fronte è una società che si patrimonializza perdendo capacità di spesa nei consumi e non provando più nemmeno ad aumentare la produzione. La ricetta, insomma, delle baronie meridionali, destinate al declino prima ed alla perdizione poi. Rompere questo circuito, far tornare il patrimonio ad essere attivo, sarebbe il compito della politica. Se solo esistesse.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.