Rifiuto della federazione politica
(Ri)Mozione
La crisi é la somma del debito pubblico, della bassa produttività e delle debolezze politiche e istituzionali dell'eurodi Davide Giacalone - 26 gennaio 2012
Si votano mozioni congiunte per dare più forza al governo italiano in sede europea, ma si dovrebbe fare il congiunto sforzo della chiarezza (che nella mozione manca), denunciando che con la strada intrapresa, senza una modifica profonda della governance europea, ci troviamo e resteremo in troppo grande difficoltà. La politica non si adagi sull’errore dei nostri giornali, concordi nell’occultare o minimizzare quel che il Fondo monetario internazionale ha affermato: non esistono misure italiane che possano, da sole, salvare l’Italia. Che sta succedendo? Perché l’aggressività della speculazione s’è acquietata? Succede che si sta provando a temporeggiare, allontanare il problema, scaricarlo altrove. Tutto meno che risolverlo. Mentre in casa nostra riforme limitate s’ingigantiscono grazie a fragorose proteste, lasciando d’un canto il crollo del sistema bancario. Come fosse un dettaglio.
Standard and Poor’s e il Fmi hanno ben analizzato le manovre del nostro governo, si sono complimentati e hanno pubblicato le deduzioni: non basta. La procura di Trani può anche indagare per turbative di mercato, ma quel che turba veramente è che si faccia finta di non capire: noi abbiamo una crisi interna, provocata da un troppo alto debito pubblico e troppo bassa produttività, ma quel che ci porta a fondo è la seconda crisi, montata in groppa alla prima e provocata dalle debolezze politiche e istituzionali dell’euro. Le medicine utili a curare i sintomi della prima crisi, tasse & tagli, aggravano quelli della seconda. Le terapie che aggrediscono le cause della prima, privatizzazioni & liberalizzazioni, tornerebbero utili per fronteggiare anche la seconda, se non fosse che il loro effetto è previsto per dopo il funerale. Noi possiamo pure accapigliarci sulle minchionerie, fingendo che i camionisti siano agnelli sacrificali o serpenti biforcuti, i tassisti lavoratori tartassati o lobbisti spietati, ma lo scenario descritto rende il resto largamente secondario. Se il problema è europeo la soluzione non può che essere europea. Se la soluzione non si trova, salta prima l’euro e poi l’Unione europea. E’ una tragedia sufficientemente grossa da mettere paura, ma non abbastanza razionalizzabile da far cambiare atteggiamento alle (misere) classi politiche. Quindi si prova ad aggirare il problema. Si usa la furbizia al posto dell’intelligenza. Condotta che, per una volta, non è una nostra eclusiva, ma diviene continentale.
Si rifiuta l’unica idea risolutiva: federalizzazione dei debiti sovrani, quindi nascita di una federazione politica. La si rifiuta per motivi elettorali, ma si sa che quella è la via. Allora si passa dai vicoli paralleli: no ad una vera banca centrale, ma sì ai prestiti fatti dalla Bce alle banche, ad un tasso basso, in modo che quei soldi finiscano in acquisti dei titoli dei debiti pubblici. No ad una politica fiscale comune, ma via libera al maggiore finanziamento del fondo salva stati. Monti ha ragione: si può supporre che molti atteggiamenti cambieranno, dopo l’approvazione del “fiscal compact”, quindi dopo la revisione dei trattati, in salsa tedesca. Ma sarà tardi e ne nascerà un’Europa produttivamente asfittica. I soldi della Bce sono finiti ai governi, per poi essere ridepositati presso la Bce, sotto forma di titoli. Il mercato è restato a secco, il credito alle imprese si va spegnendo. In queste condizioni puoi varare tutte le birbonate propagandistiche che ti vengono in mente, il mercato non riparte lo stesso. I firewall eretti con il fondo salva stati non fermeranno alcuna fiamma, perché sono fatti di materiale combustibile, non presupponendo l’uso della sovranità monetaria, ma solo l’ammasso di masserizie. Rallentano la corsa, non placano l’incendio.
Se la percezione è diversa, in questi giorni, lo si deve al fatto che si lavora al default pilotato della Grecia, per evitarne l’uscita dall’euro. Ma quando lo si sarà fatto i mercati sapranno o che esiste una breccia per la quale si esce dalla moneta unica, o che esiste un buco, nel quale possono cadere i titoli dei debiti sovrani, cessando d’essere rimborsati. In tutti e due i casi ripartirà la speculazione. Non si scappa: l’Europa non può sperare di non fare i conti con la storia e i mercati, anche perché l’Atlantico s’è rimpicciolito e il Pacifico allargato. Gli europei, nel globo odierno, sono una forza di prima classe, ma ciascun Paese europeo, da solo, è un nano pretenzioso e viziato. Poi, per carità, si può anche continuare a far campagne elettorali solleticando il complesso di superiorità del bavarese, la prosopopea del provenzale o la paura del bauscia che liscia il sobrio, sperando d’essere il solo a godere dell’alticcio, ma siamo nel campo dell’inutilmente provinciale.
Standard and Poor’s e il Fmi hanno ben analizzato le manovre del nostro governo, si sono complimentati e hanno pubblicato le deduzioni: non basta. La procura di Trani può anche indagare per turbative di mercato, ma quel che turba veramente è che si faccia finta di non capire: noi abbiamo una crisi interna, provocata da un troppo alto debito pubblico e troppo bassa produttività, ma quel che ci porta a fondo è la seconda crisi, montata in groppa alla prima e provocata dalle debolezze politiche e istituzionali dell’euro. Le medicine utili a curare i sintomi della prima crisi, tasse & tagli, aggravano quelli della seconda. Le terapie che aggrediscono le cause della prima, privatizzazioni & liberalizzazioni, tornerebbero utili per fronteggiare anche la seconda, se non fosse che il loro effetto è previsto per dopo il funerale. Noi possiamo pure accapigliarci sulle minchionerie, fingendo che i camionisti siano agnelli sacrificali o serpenti biforcuti, i tassisti lavoratori tartassati o lobbisti spietati, ma lo scenario descritto rende il resto largamente secondario. Se il problema è europeo la soluzione non può che essere europea. Se la soluzione non si trova, salta prima l’euro e poi l’Unione europea. E’ una tragedia sufficientemente grossa da mettere paura, ma non abbastanza razionalizzabile da far cambiare atteggiamento alle (misere) classi politiche. Quindi si prova ad aggirare il problema. Si usa la furbizia al posto dell’intelligenza. Condotta che, per una volta, non è una nostra eclusiva, ma diviene continentale.
Si rifiuta l’unica idea risolutiva: federalizzazione dei debiti sovrani, quindi nascita di una federazione politica. La si rifiuta per motivi elettorali, ma si sa che quella è la via. Allora si passa dai vicoli paralleli: no ad una vera banca centrale, ma sì ai prestiti fatti dalla Bce alle banche, ad un tasso basso, in modo che quei soldi finiscano in acquisti dei titoli dei debiti pubblici. No ad una politica fiscale comune, ma via libera al maggiore finanziamento del fondo salva stati. Monti ha ragione: si può supporre che molti atteggiamenti cambieranno, dopo l’approvazione del “fiscal compact”, quindi dopo la revisione dei trattati, in salsa tedesca. Ma sarà tardi e ne nascerà un’Europa produttivamente asfittica. I soldi della Bce sono finiti ai governi, per poi essere ridepositati presso la Bce, sotto forma di titoli. Il mercato è restato a secco, il credito alle imprese si va spegnendo. In queste condizioni puoi varare tutte le birbonate propagandistiche che ti vengono in mente, il mercato non riparte lo stesso. I firewall eretti con il fondo salva stati non fermeranno alcuna fiamma, perché sono fatti di materiale combustibile, non presupponendo l’uso della sovranità monetaria, ma solo l’ammasso di masserizie. Rallentano la corsa, non placano l’incendio.
Se la percezione è diversa, in questi giorni, lo si deve al fatto che si lavora al default pilotato della Grecia, per evitarne l’uscita dall’euro. Ma quando lo si sarà fatto i mercati sapranno o che esiste una breccia per la quale si esce dalla moneta unica, o che esiste un buco, nel quale possono cadere i titoli dei debiti sovrani, cessando d’essere rimborsati. In tutti e due i casi ripartirà la speculazione. Non si scappa: l’Europa non può sperare di non fare i conti con la storia e i mercati, anche perché l’Atlantico s’è rimpicciolito e il Pacifico allargato. Gli europei, nel globo odierno, sono una forza di prima classe, ma ciascun Paese europeo, da solo, è un nano pretenzioso e viziato. Poi, per carità, si può anche continuare a far campagne elettorali solleticando il complesso di superiorità del bavarese, la prosopopea del provenzale o la paura del bauscia che liscia il sobrio, sperando d’essere il solo a godere dell’alticcio, ma siamo nel campo dell’inutilmente provinciale.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.