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Alla vigilia delle primarie Pd

Renzi per arrivare al governo deve passare dal Quirinale

Le elezioni anticipate non risolvono nulla, ma tirare a campare è peggio. Ecco le prossime mosse del Sindaco di Firenze

di Davide Giacalone - 26 novembre 2013

Tutti guardano all’ambo, supponendolo decisivo: 27 (novembre) voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi e 8 (dicembre) data della vittoria di Mattero Renzi, nella corsa verso il nulla, ovvero la segreteria del partito democratico. Tanti dicono che quei due numeri saranno determinanti per la sopravvivenza del governo, invece credo che li passerà con qualche trambusto, ma li passerà. Sarà il terno a presentare qualche complicazione. Sarà il terzo numero, ancora da estrarre, quello oltre il quale il governo cambierà natura, ammesso che sopravviva. Si tratta del giorno, verso la metà di dicembre, in cui il Senato discuterà la mozione di sfiducia nei confronti del ministro Annamaria Cancellieri. Non sarà un film già visto, perché entro quel giorno tutto sarà cambiato, talché le possibilità sono tre: a. la Cancellieri si dimette prima, segnando uno sfregio sul volto del Quirinale e innescando il rimpasto destabilizzante; b. il governo cade, perché il ministro viene sfiduciato; c. il governo regge, il ministro resta al suo posto e Renzi ne esce tritato, a una settimana da trionfo.

Ecco cosa succederà. Prima tappa: per tirare fuori le gambe dalle sabbie mobili della legge di stabilità, che resterà vuota, e contraddicendo le reiterate dichiarazioni circa la disponibilità al dialogo parlamentare, il governo porrà la fiducia. Come qui ampiamente previsto. Era scontato, ma lo negavano. Seconda tappa: nello stesso istante Forza Italia diventa forza d’opposizione, perché tutti i pasticci sulla questione fiscale, tutti i rinvii delle coperture e tutte le bandiere prive del vento della credibilità, tutto passa in cavalleria e la questione diventa solo quella della fiducia. Terza tappa: la decadenza di Berlusconi, a quel punto, diventerà la decadenza di un leader dell’opposizione, contro cui voterà anche una componente della maggioranza, a sua volta dotata di molti ministri.

Quarta tappa: Renzi diventa segretario del Pd, riesumando la dottrina democristiana del “governo amico” (presieduto, del resto, da un collega Dc), ergo intimerà all’amico, che poi era il vice segretario del medesimo partito, di attenersi ai programmi e ai desideri del Pd. Quinta tappa: gliecché il medesimo Renzi ha detto, ridetto e strillato che se il capo del partito fosse stato lui i seguaci non avrebbero votato la fiducia alla Cancellieri, e, al prossimo giro, sarà proprio lui il capo da cui prendere ordini, con una complicazione: i forzuti incacchiati, con il loro capo decaduto, avranno gioco facile a dire che avrebbero votato a favore della Cancellieri, se non fosse che Letta ha spiegato che il voto lo si dà al governo, non a un ministro, quindi votano contro (se non lo fanno è meglio si nascondano). A quel punto Renzi è decisivo: sia che muova l’intero gruppo parlamentare, come si conviene a un capo, sia che muova solo i suoi sodali, la Cancellieri cade. Se non muove nessuno e soggiace, allora smuoverà il riso degli astanti.

Democristianamente parlando, le dimissioni del ministro sono la soluzione più ragionevole. Ma quirinalescamente ragionando, sarebbe un’umiliazione. Aggravata dall’avere trascinato inutilmente la questione.

Se anziché discettare di politica politicante, quest’oggi, fossi tornato sui prediletti numeri della nostra forza economica, come su quelli maledetti delle nostre colpe e del perdurante immobilismo, gira e rigira sarei finito nel medesimo punto: è evidente che le elezioni anticipate non risolvono nulla, ma è non meno evidente che tirare a campare porta a tirare le cuoia. La dannazione è che si sa benissimo cosa si dovrebbe fare, ma non si fa.

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