Il resto d’Europa lascia i cittadini nel buio
Referendum sul Trattato di Lisbona
L’Irlanda è l’unico paese ad aver affidato a un verdetto popolare il futuro dell’Uedi Davide Giacalone - 11 giugno 2008
Domani tocca a poco più di quattro milioni d’irlandesi decidere su un trattato riguardante l’Europa, quindi altri ventisei Paesi e quasi cinquecento milioni di cittadini. Almeno, però, in Irlanda si parla del Trattato di Lisbona, che per gli altri europei è un oggetto sconosciuto. L’elettorato sembra diviso in tre parti, più o meno uguali: una favorevole, una contraria e la terza che non sa che pensare. Ciò dimostra che neanche parlandone si riesce a rendere entusiasmante l’Unione Europea, che in questo modo si va costruendo.
Il primo tentativo di dare un assetto normativo unico all’Unione fu lanciato con squilli di fanfare e denominato con l’altisonante termine di “costituzione”. Provvidero, nel 2005, gli elettori francesi ed olandesi a farla fuori. Il 13 dicembre 2007 si firmò, a Lisbona, un trattato meno ambizioso, teso ad assegnare un ruolo meno parolaio al Parlamento Europeo, a dare la possibilità di decidere a maggioranza qualificata nel Consiglio Europeo ed a creare il duplice incarico di presidente e ministro degli esteri europei, talché ci siano degli umani in cui l’Unione possa riconoscersi. Gli irlandesi sono stati gli unici a convocare un referendum popolare, gli altri provvedono con ratifiche parlamentari e lasciando nel buio i cittadini.
L’indecisione del verdetto popolare, ed i riflessi che avrà sull’intero processo, la dice lunga sull’animo odierno di molti europei. Se c’è un Paese, difatti, che s’è giovato dell’apertura, della deregulation, dell’abbattimento fiscale, questo è l’Irlanda. Non solo ha fatto passi da gigante in economia, ma ha anche suturato antiche e dolorose ferite interne. Eppure, oggi, la campagna referendaria si fa sventolando i fantasmi della globalizzazione e facendo pesare il timore della effettivamente gigantesca e costosa burocrazia europea. Il governo sostiene le ragioni del Sì al trattato, e c’è da sperare che vinca, ma per convincere deve puntare sulla paura del ritorno al passato. In pratica si scontrano due paure, due modi opposti di proporre la conservazione del presente. In tutta Europa la politica non riesce ad usare il tempo futuro in chiave positiva e propositiva, mancando idee che lo presentino migliore del passato. Questa è la debolezza di tutti, che i soli irlandesi, quasi gattopardi gaelici, dovranno votare.
Pubblicato su Libero di mercoledì 11 giugno
Il primo tentativo di dare un assetto normativo unico all’Unione fu lanciato con squilli di fanfare e denominato con l’altisonante termine di “costituzione”. Provvidero, nel 2005, gli elettori francesi ed olandesi a farla fuori. Il 13 dicembre 2007 si firmò, a Lisbona, un trattato meno ambizioso, teso ad assegnare un ruolo meno parolaio al Parlamento Europeo, a dare la possibilità di decidere a maggioranza qualificata nel Consiglio Europeo ed a creare il duplice incarico di presidente e ministro degli esteri europei, talché ci siano degli umani in cui l’Unione possa riconoscersi. Gli irlandesi sono stati gli unici a convocare un referendum popolare, gli altri provvedono con ratifiche parlamentari e lasciando nel buio i cittadini.
L’indecisione del verdetto popolare, ed i riflessi che avrà sull’intero processo, la dice lunga sull’animo odierno di molti europei. Se c’è un Paese, difatti, che s’è giovato dell’apertura, della deregulation, dell’abbattimento fiscale, questo è l’Irlanda. Non solo ha fatto passi da gigante in economia, ma ha anche suturato antiche e dolorose ferite interne. Eppure, oggi, la campagna referendaria si fa sventolando i fantasmi della globalizzazione e facendo pesare il timore della effettivamente gigantesca e costosa burocrazia europea. Il governo sostiene le ragioni del Sì al trattato, e c’è da sperare che vinca, ma per convincere deve puntare sulla paura del ritorno al passato. In pratica si scontrano due paure, due modi opposti di proporre la conservazione del presente. In tutta Europa la politica non riesce ad usare il tempo futuro in chiave positiva e propositiva, mancando idee che lo presentino migliore del passato. Questa è la debolezza di tutti, che i soli irlandesi, quasi gattopardi gaelici, dovranno votare.
Pubblicato su Libero di mercoledì 11 giugno
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.