Malagiustizia di un Paese che non ha memoria
Quando socialdemocratico era un insulto
Antonio Cariglia è stato assolto dopo dodici anni. Ma ormai gli ex nemici hanno il suo nomedi Davide Giacalone - 07 giugno 2005
Quando le cronache hanno restituito la notizia dell’assoluzione per Antonio Cariglia è sembrato quasi che si parlasse di storia. Come dire: Bixio non si mosse da Palermo. Cariglia? Perché era ancora sotto processo, e per quale ipotesi di reato? Dodici anni sono passati, e sembra si parli di un’Italia per archeologi.
Nel frattempo abbiamo potuto sentire, durante un congresso dei Ds, ex Pds, ex Pci, che nella sinistra democratica di oggi confluisce anche l’eredità di Giuseppe Saragat. Sì, proprio il Saragat che la sinistra comunista (e che ci posso fare, io, se si chiamavano così, ed erano gli stessi, ma proprio gli stessi che oggi, quasi quasi, considerano il comunismo una fissazione maniacale delle destre) descrisse come un venduto agli americani, un traditore che con la scissione di Palazzo Barberini aveva rotto il fronte delle sinistre e lo aveva fatto per inconfessabili motivi. Non solo venduto all’atlantismo guerrafondaio, nemico di quella straordinaria patria della libertà e della nuova economia che era l’Unione sovietica, ma anche ubriacone. Ecco, quello stesso Saragat ora pare abbia un’eredità che è lecito rivendicare. Si può solo aggiungere che a cambiare idea non è stato certo Saragat.
Non solo per queste ragioni storiche, ma anche per ragioni “dottrinali”, socialdemocratico era un insulto. Essere socialdemocratici significava essere riformisti, il che significava avere smarrito il piglio rivoluzionario che solo avrebbe offerto un avvenire dignitoso alle masse oppresse. Essere socialdemocratici significava credere nella riformabilità del capitalismo, quindi non aver capito un accidente del socialismo scientifico che, appunto scientificamente, escludeva tale ipotesi. Lo so, lo so, a sentir queste cose si crede che siano state contemporanee di Mameli, anzi, che fossero già vecchie a quei tempi. Invece, incredibile ma vero, c’era gente che ci campava ancor qualche settimana dopo che l’Unione sovietica era collassata. Ieri. Anzi, stamattina.
Comunque sia, dal passato remotissimo dell’appena ieri riemerge un tale che si chiama Antonio Cariglia, che era il segretario nazionale del Psdi (Partito socialista democratico italiano), erede vero e legittimo del socialismo turatiano e saragattiano, il quale dice: mi hanno assolto. Durante l’era del giustizialismo manipulitista (quanti lustri son passati?) era stato accusato di concussione, ricettazione, finanziamenti illeciti, insomma, tutto il normale rosario del rito politico-giudiziario. Ci ha messo dodici anni, la giustizia italiana, ma alla fine ce l’ha fatta: Cariglia è innocente.
Cariglia stesso ci mette del suo, facendo anche tenerezza: ho rifiutato la prescrizione, dice, perché volevo essere assolto. Benedetto uomo che ancora si ribella all’infamia degli avvisi di garanzia che suonavano condanne, che ancora s’indigna per un giornalismo che faceva la canizza del fuciliere, ma non s’è accorto che nell’Italia d’oggi, quella risanata e ripulita dalle grandi inchieste, quella dei valori analfabetici, neanche essere condannati ha più alcun valore? E lui lì, a dire: mi hanno assolto.
Nel frattempo abbiamo potuto sentire, durante un congresso dei Ds, ex Pds, ex Pci, che nella sinistra democratica di oggi confluisce anche l’eredità di Giuseppe Saragat. Sì, proprio il Saragat che la sinistra comunista (e che ci posso fare, io, se si chiamavano così, ed erano gli stessi, ma proprio gli stessi che oggi, quasi quasi, considerano il comunismo una fissazione maniacale delle destre) descrisse come un venduto agli americani, un traditore che con la scissione di Palazzo Barberini aveva rotto il fronte delle sinistre e lo aveva fatto per inconfessabili motivi. Non solo venduto all’atlantismo guerrafondaio, nemico di quella straordinaria patria della libertà e della nuova economia che era l’Unione sovietica, ma anche ubriacone. Ecco, quello stesso Saragat ora pare abbia un’eredità che è lecito rivendicare. Si può solo aggiungere che a cambiare idea non è stato certo Saragat.
Non solo per queste ragioni storiche, ma anche per ragioni “dottrinali”, socialdemocratico era un insulto. Essere socialdemocratici significava essere riformisti, il che significava avere smarrito il piglio rivoluzionario che solo avrebbe offerto un avvenire dignitoso alle masse oppresse. Essere socialdemocratici significava credere nella riformabilità del capitalismo, quindi non aver capito un accidente del socialismo scientifico che, appunto scientificamente, escludeva tale ipotesi. Lo so, lo so, a sentir queste cose si crede che siano state contemporanee di Mameli, anzi, che fossero già vecchie a quei tempi. Invece, incredibile ma vero, c’era gente che ci campava ancor qualche settimana dopo che l’Unione sovietica era collassata. Ieri. Anzi, stamattina.
Comunque sia, dal passato remotissimo dell’appena ieri riemerge un tale che si chiama Antonio Cariglia, che era il segretario nazionale del Psdi (Partito socialista democratico italiano), erede vero e legittimo del socialismo turatiano e saragattiano, il quale dice: mi hanno assolto. Durante l’era del giustizialismo manipulitista (quanti lustri son passati?) era stato accusato di concussione, ricettazione, finanziamenti illeciti, insomma, tutto il normale rosario del rito politico-giudiziario. Ci ha messo dodici anni, la giustizia italiana, ma alla fine ce l’ha fatta: Cariglia è innocente.
Cariglia stesso ci mette del suo, facendo anche tenerezza: ho rifiutato la prescrizione, dice, perché volevo essere assolto. Benedetto uomo che ancora si ribella all’infamia degli avvisi di garanzia che suonavano condanne, che ancora s’indigna per un giornalismo che faceva la canizza del fuciliere, ma non s’è accorto che nell’Italia d’oggi, quella risanata e ripulita dalle grandi inchieste, quella dei valori analfabetici, neanche essere condannati ha più alcun valore? E lui lì, a dire: mi hanno assolto.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.