Dalla deterrenza nucleare ai ricatti energetici
Putin e la sua nuova Armata rossa
I tanti indici positivi non bastano per dare alla Russia una parvenza di democraziadi Antonio Picasso - 03 febbraio 2006
Dalla Piazza rossa di Mosca alle fredde steppe dell’Ucraina. Quando l’Unione Sovietica era una delle due uniche superpotenze mondiali, durante la Guerra fredda, al governo del Cremlino piaceva mettere in mostra i propri muscoli, facendo sfilare armi e soldati per le strade della capitale. Le parate militari erano un chiaro messaggio di forza rivolto al mondo occidentale.
Oggi il presidente russo, Vladimir Putin, ha adottato un altro sistema di intimidazione. Il ricatto, imposto a Georgia, Moldavia, Ucraina e, in modo tangenziale, all’Europa occidentale, per gli approvvigionamenti di gas ha la stessa finalità: far capire al mondo che la Russia ha chiuso il suo più che decennale periodo di declino ed è tornata grande.
È di questa settimana, la conferenza stampa di tre ore che Putin ha convocato a Mosca, per presentare gli impegni russi nel 2006. Una sorta di discorso sullo Stato, in cui è stata presentata l’agenda del Cremlino. La presidenza del G8, strettamente connessa con il buon andamento dell’economia – la crescita russa nel 2005 ha registrato un aumento del 6,4% – la critica diretta agli Stati Uniti, perché ostacolano l’ingresso della Russia nel Wto e la conclusione formale dell’offensiva terroristica in Cecenia. Putin, inoltre, ha definito burattinai gli stranieri che controllano le ong presenti nel suo Paese. Ha difeso dalle accuse di autocrazia la Bielorussia e l’Uzbekistan. E ha negato che il processo di nazionalizzazione dei settori chiave dell’economia farebbe da tappo alla crescita economica del Paese. L’incontro tra il leader russo e la stampa è stato, insomma, l’occasione per lanciare un’offensiva ad ampio raggio. Con una non poi nuova strategia, fondata sulla dissimulazione e le giustificazioni aggressive a qualunque accusa straniera. Memore delle esperienze dei leader sovietici, infatti, Putin ha negato l’evidenza, dicendo che l’energia non potrebbe mai essere uno strumento di dissuasione o di pressione verso i Pesi vicini, o i competitor occidentali. Questo perché la Russia è dotata di uno sterminato arsenale nucleare, già di per sé sufficiente per intimorire il mondo.
Tuttavia, la situazione è lievemente diversa da quella così ottimisticamente presentata da Putin. Perché è vero che il Paese è stato raggiunto da un benessere che, sotto il regime sovietico, non aveva mai conosciuto. Dal 2000 a oggi, infatti, ha accumulato 173 miliardi di dollari in riserve auree e valutarie. Il debito estero si è ridotto dell’80% nel 2000 al 30% l’anno passato. E anche i redditi reali hanno subito un evidente miglioramento. Tuttavia, l’inflazione resta pericolosamente stabile al 23%. Mentre il gap tra una minoranza ricca e una sterminata fascia della popolazione alla fame è sempre più ampio.
A queste evidenti crepe economiche, devono essere aggiunti un sistema giudiziario e mediatico sempre più piegati alle volontà del governo. E di conseguenza, un contrattura di tutto il processo democratico.
Di fronte a questo stato di cose, è naturale che Mosca incontri delle difficoltà per entrare nell’Organizzazione internazionale del commercio. Ancora gli accordi di Bretton Woods nel 1944, prevedevano la creazione di un mercato internazionale fondato sul libero scambio e il progressivo abbattimento delle dogane per la circolazione di merci e valute. Ma è dai primi passi del liberismo, che gli economisti sostengono che un mercato è rimunerativo per la società solo se è libero. E la libertà di mercato implica quella politica. Entrare a far parte del Wto significa accettare le regole della libertà economica e politica. Le grandi istituzioni internazionali, nate alla fine della Seconda guerra mondiale e ispirate ai principi di libertà e democrazia, manifestano già vistose e difficilmente sormontabili contraddizioni. La Cina non è una democrazia, ma è menbro del Wto e dell’Onu, per esempio. E se la Russia entrasse nel Wto, da un punto di vista statistico non cambierebbe molto. Sarebbe un altro regime autoritario che partecipa ai lavori di un’organizzazione internazionale democratica. Tuttavia, da un punto di vista strutturale della stessa istituzione, si avrebbe a che fare con una nuova e pericolosa contraddizione.
Infine, in termini più generali, bisogna sottolineare come quella di Putin sia una strategia tutt’altro che propensa alla collaborazione con gli altri Paesi. Certo, a una nazione tanto vasta e ricca come la Russia non si possono negare ambizioni da superpotenza o addirittura egemoniche. Tuttavia, è sull’aggressività e non sul dialogo – come invece sta facendo la Cina – che Mosca ha concentrato la propria linea. E se le parate dell’Urss erano il lato esteriore di una politica di equilibrio e di deterrenza – la Guerra fredda non degenerò proprio grazie allo sterminato arsenale nucleare a disposizione dei due blocchi – i ricatti energetici di Putin oggi, invece, sono mosse destabilizzatici, alle quali l’Occidente deve pensare come reagire.
Oggi il presidente russo, Vladimir Putin, ha adottato un altro sistema di intimidazione. Il ricatto, imposto a Georgia, Moldavia, Ucraina e, in modo tangenziale, all’Europa occidentale, per gli approvvigionamenti di gas ha la stessa finalità: far capire al mondo che la Russia ha chiuso il suo più che decennale periodo di declino ed è tornata grande.
È di questa settimana, la conferenza stampa di tre ore che Putin ha convocato a Mosca, per presentare gli impegni russi nel 2006. Una sorta di discorso sullo Stato, in cui è stata presentata l’agenda del Cremlino. La presidenza del G8, strettamente connessa con il buon andamento dell’economia – la crescita russa nel 2005 ha registrato un aumento del 6,4% – la critica diretta agli Stati Uniti, perché ostacolano l’ingresso della Russia nel Wto e la conclusione formale dell’offensiva terroristica in Cecenia. Putin, inoltre, ha definito burattinai gli stranieri che controllano le ong presenti nel suo Paese. Ha difeso dalle accuse di autocrazia la Bielorussia e l’Uzbekistan. E ha negato che il processo di nazionalizzazione dei settori chiave dell’economia farebbe da tappo alla crescita economica del Paese. L’incontro tra il leader russo e la stampa è stato, insomma, l’occasione per lanciare un’offensiva ad ampio raggio. Con una non poi nuova strategia, fondata sulla dissimulazione e le giustificazioni aggressive a qualunque accusa straniera. Memore delle esperienze dei leader sovietici, infatti, Putin ha negato l’evidenza, dicendo che l’energia non potrebbe mai essere uno strumento di dissuasione o di pressione verso i Pesi vicini, o i competitor occidentali. Questo perché la Russia è dotata di uno sterminato arsenale nucleare, già di per sé sufficiente per intimorire il mondo.
Tuttavia, la situazione è lievemente diversa da quella così ottimisticamente presentata da Putin. Perché è vero che il Paese è stato raggiunto da un benessere che, sotto il regime sovietico, non aveva mai conosciuto. Dal 2000 a oggi, infatti, ha accumulato 173 miliardi di dollari in riserve auree e valutarie. Il debito estero si è ridotto dell’80% nel 2000 al 30% l’anno passato. E anche i redditi reali hanno subito un evidente miglioramento. Tuttavia, l’inflazione resta pericolosamente stabile al 23%. Mentre il gap tra una minoranza ricca e una sterminata fascia della popolazione alla fame è sempre più ampio.
A queste evidenti crepe economiche, devono essere aggiunti un sistema giudiziario e mediatico sempre più piegati alle volontà del governo. E di conseguenza, un contrattura di tutto il processo democratico.
Di fronte a questo stato di cose, è naturale che Mosca incontri delle difficoltà per entrare nell’Organizzazione internazionale del commercio. Ancora gli accordi di Bretton Woods nel 1944, prevedevano la creazione di un mercato internazionale fondato sul libero scambio e il progressivo abbattimento delle dogane per la circolazione di merci e valute. Ma è dai primi passi del liberismo, che gli economisti sostengono che un mercato è rimunerativo per la società solo se è libero. E la libertà di mercato implica quella politica. Entrare a far parte del Wto significa accettare le regole della libertà economica e politica. Le grandi istituzioni internazionali, nate alla fine della Seconda guerra mondiale e ispirate ai principi di libertà e democrazia, manifestano già vistose e difficilmente sormontabili contraddizioni. La Cina non è una democrazia, ma è menbro del Wto e dell’Onu, per esempio. E se la Russia entrasse nel Wto, da un punto di vista statistico non cambierebbe molto. Sarebbe un altro regime autoritario che partecipa ai lavori di un’organizzazione internazionale democratica. Tuttavia, da un punto di vista strutturale della stessa istituzione, si avrebbe a che fare con una nuova e pericolosa contraddizione.
Infine, in termini più generali, bisogna sottolineare come quella di Putin sia una strategia tutt’altro che propensa alla collaborazione con gli altri Paesi. Certo, a una nazione tanto vasta e ricca come la Russia non si possono negare ambizioni da superpotenza o addirittura egemoniche. Tuttavia, è sull’aggressività e non sul dialogo – come invece sta facendo la Cina – che Mosca ha concentrato la propria linea. E se le parate dell’Urss erano il lato esteriore di una politica di equilibrio e di deterrenza – la Guerra fredda non degenerò proprio grazie allo sterminato arsenale nucleare a disposizione dei due blocchi – i ricatti energetici di Putin oggi, invece, sono mosse destabilizzatici, alle quali l’Occidente deve pensare come reagire.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.