Abolizione? Destra e sinistra sembrano convergere
Provice sì e province no
Ma il vero problema è il riordino delle competenze tra stato ed enti localidi Elio Di Caprio - 29 febbraio 2008
Il tormentone dell"abolizione delle province, rispolverato in occasione della campagna elettorale, sembra più una provocazione per andare a scoprire la reale volontà riformista dell"avversario che non una seria proposta di riduzione dei costi della politica in un quadro di riforma complessiva del sistema. Ora tutti vogliono l"eliminazione delle province, destra e sinistra insieme - se ne parla da tempo - e l"abolizione dell"inutile doppione del Senato come seconda Camera elettiva.
Intanto andiamo alle elezioni per il rinnovo di Camera e Senato e per le elezioni amministrative di alcune province, tra cui quella della Capitale, come se nulla fosse, in palese contraddizione con propositi che appaiono sempre più propagandistici. Né il Senato, né le province si sottraggono alla grande spartizione in atto delle candidature tra i potentati dei partiti.
A chi credere? Tutto rimandato alle “grandi riforme” della prossima legislatura. Con la retorica della sussudiarietà per la quale lo Stato deve intervenire il meno possibile nelle vicende locali, lasciando che siano le autorità del posto a provvedere in primis ai bisogni della popolazione, a Napoli lo Stato ha dovuto far ricorso al commissariamento per le immondizie con il risultato che tutti sappiamo. E il comune e la provincia di Napoli come si sono spartiti i compiti tra raccolta differenziata ed ecoballe varie?
In mancanza di un ri(disegno) complessivo delle competenze istituzionali certo si potrebbe intanto partire dall"abolizione delle province, considerate inutili dagli anni "70 quando si dette il via al sistema regionale delle autonomie. Bastano Comuni e Regioni per un effettivo decentramento. Eppure si è andati avanti come se niente fosse e l"ultima legge sull"ordinamento delle autonomie locali che prevede espressamente l"ente provinciale assegnandogli compiti precisi, risale al 1990, ai tempi della “Prima Repubblica”.
Secondo le recenti proposte, apparentemente convergenti, di Linda Lanzillotta del PD e di Roberto Maroni della Lega, si potrebbe cominciare con una scelta netta abolendo le province almeno laddove sono previste le città metropolitane allargate come Roma, Napoli, Milano ecc.. Secondo Lanzillotta l"ottimale sarebbe, per semplificare e ridurre i costi, arrivare all"unione di più comuni, portando i centri decisionali locali da 8 mila a 2 mila. Secondo Maroni bisognerebbe attuare a livello provinciale “l"Ufficio territoriale del Governo” presso le Prefetture accorpandovi le competenze dell"ufficio imposte, del provveditorato agli studi, dell"intendenza di finanza, della direzione provinciale del lavoro.
Tutte idee tecnicamente condivisibili ma di difficile attuazione. Presuppongono come minimo che si abbiano le idee chiare sulla definizione delle competenze tra gli enti locali e tra questi e lo Stato. Non va dimenticato che abolire le province vuol dire rimettere in discussione la sciagurata riforma del titolo V della Costituzione ancora in vigore, che indica nei comuni, province, città- stato metropolitane e Regioni ( accanto allo Stato) gli elementi costitutivi dell"ordinamento repubblicano. Inoltre l"obbiettivo di arrivare a soli 2000 comuni in Italia appare piuttosto velleitario considerate le spinte localistiche e identitarie che proprio la Lega ha cavalcato negli ultimi anni. Così come appare evidente l"obbiettivo della Lega di togliere alle Prefetture qualsiasi elemento di controllo politico e centralistico facendone un ufficio territoriale di mero e formale coordinamento.
Bisogna dunque arrivare ad una revisione del titolo V della Costituzione e insieme rivedere e modificare l"intero ordinamento delle autonomie locali previsto dalla legge del 1990. Sarebbe questa un"ottima occasione per riordinare poteri e competenze. Come dice il costituzionalista Augusto Barbera di area PD, che pure invita ad abolire le province tutte, non solo quelle delle città metropolitante, il problema italiano non è solo il centralismo, è anche il localismo che impedisce qualunque pianificazione.
Va bene l"abolizione delle province, ma poi come si fronteggiano i poteri di veto dei comuni e delle regioni? Secondo Barbera andrebbero rivisti tutti i poteri decentrati, compresi Comuni e Regioni,” liberando energie locali ed attribuendo maggiore autorità al centro”. Siamo d"accordo. Quello dell"abolizione delle province dunque non è un falso problema, ma non è risolutivo se visto come misura a sé stante senza che si provveda ad un riordino complessivo degli enti locali e delle loro competenze.
A chi credere? Tutto rimandato alle “grandi riforme” della prossima legislatura. Con la retorica della sussudiarietà per la quale lo Stato deve intervenire il meno possibile nelle vicende locali, lasciando che siano le autorità del posto a provvedere in primis ai bisogni della popolazione, a Napoli lo Stato ha dovuto far ricorso al commissariamento per le immondizie con il risultato che tutti sappiamo. E il comune e la provincia di Napoli come si sono spartiti i compiti tra raccolta differenziata ed ecoballe varie?
In mancanza di un ri(disegno) complessivo delle competenze istituzionali certo si potrebbe intanto partire dall"abolizione delle province, considerate inutili dagli anni "70 quando si dette il via al sistema regionale delle autonomie. Bastano Comuni e Regioni per un effettivo decentramento. Eppure si è andati avanti come se niente fosse e l"ultima legge sull"ordinamento delle autonomie locali che prevede espressamente l"ente provinciale assegnandogli compiti precisi, risale al 1990, ai tempi della “Prima Repubblica”.
Secondo le recenti proposte, apparentemente convergenti, di Linda Lanzillotta del PD e di Roberto Maroni della Lega, si potrebbe cominciare con una scelta netta abolendo le province almeno laddove sono previste le città metropolitane allargate come Roma, Napoli, Milano ecc.. Secondo Lanzillotta l"ottimale sarebbe, per semplificare e ridurre i costi, arrivare all"unione di più comuni, portando i centri decisionali locali da 8 mila a 2 mila. Secondo Maroni bisognerebbe attuare a livello provinciale “l"Ufficio territoriale del Governo” presso le Prefetture accorpandovi le competenze dell"ufficio imposte, del provveditorato agli studi, dell"intendenza di finanza, della direzione provinciale del lavoro.
Tutte idee tecnicamente condivisibili ma di difficile attuazione. Presuppongono come minimo che si abbiano le idee chiare sulla definizione delle competenze tra gli enti locali e tra questi e lo Stato. Non va dimenticato che abolire le province vuol dire rimettere in discussione la sciagurata riforma del titolo V della Costituzione ancora in vigore, che indica nei comuni, province, città- stato metropolitane e Regioni ( accanto allo Stato) gli elementi costitutivi dell"ordinamento repubblicano. Inoltre l"obbiettivo di arrivare a soli 2000 comuni in Italia appare piuttosto velleitario considerate le spinte localistiche e identitarie che proprio la Lega ha cavalcato negli ultimi anni. Così come appare evidente l"obbiettivo della Lega di togliere alle Prefetture qualsiasi elemento di controllo politico e centralistico facendone un ufficio territoriale di mero e formale coordinamento.
Bisogna dunque arrivare ad una revisione del titolo V della Costituzione e insieme rivedere e modificare l"intero ordinamento delle autonomie locali previsto dalla legge del 1990. Sarebbe questa un"ottima occasione per riordinare poteri e competenze. Come dice il costituzionalista Augusto Barbera di area PD, che pure invita ad abolire le province tutte, non solo quelle delle città metropolitante, il problema italiano non è solo il centralismo, è anche il localismo che impedisce qualunque pianificazione.
Va bene l"abolizione delle province, ma poi come si fronteggiano i poteri di veto dei comuni e delle regioni? Secondo Barbera andrebbero rivisti tutti i poteri decentrati, compresi Comuni e Regioni,” liberando energie locali ed attribuendo maggiore autorità al centro”. Siamo d"accordo. Quello dell"abolizione delle province dunque non è un falso problema, ma non è risolutivo se visto come misura a sé stante senza che si provveda ad un riordino complessivo degli enti locali e delle loro competenze.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.