L’agonia del bipolarismo italiano
Prodi chiude anche alla Bicamerale
Per il premier non serve alcuna fase costituente: un ottimismo rischiosodi Alessandro Marchetti - 28 febbraio 2007
Per Romano Prodi è il giorno più lungo. Se in questi giorni il premier è riuscito, prima con i dodici punti poi con il discorso rassicurante al Senato, a dare l’illusione che comunque vada si riuscirà “a campare” a lungo, ora è il momento degli esami. Il primo questo pomeriggio alle 17, quando si presenterà in aula per chiedere la fiducia al suo resuscitato Governo. Quello che più stupisce però nell’atteggiamento del premier, è la sua cocciuta e assoluta lontananza dal riconoscere la crisi strutturale che si sta consumando alle sue spalle. In fondo questo nostro bipolarismo, di cui lui stesso è espressione politica, è pur sempre il sistema che lo accoglie come Presidente del Consiglio dei ministri e come leader di una maggioranza parlamentare (seppur rabberciata). Ebbene tutti, ormai, sanno che il bipolarismo italiano sta esalando gli ultimi patetici respiri: ma di questo Prodi, che è leader politico di lungo corso, sembra non volersi accorgere. L’ultima conferma proprio in mattinata: scambiando alcune battute con la stampa a Palazzo Madama ha risposto ad alcune indiscrezioni circolate circa un suo favore all’ipotesi di una Bicamerale, per fare alcune delle riforme che ha annunciato nel suo discorso di ieri. Intendiamoci. Trattasi di coerenza politica, che diventa, oltre che prevedibile, comprensibile dopo le parole dette e scritte in questi giorni per blindare il suo esecutivo. Tuttavia, c’è ben poco da intenerirsi. Anzitutto perché la risposta di Prodi è prevedibile quanto rivelatrice. Escludere categoricamente, da parte del premier, l’eventuale percorribilità di una formula politica come la Bicamerale, o lo stessa Costituente, significa smentire indirettamente la necessità di riformare in chiave bipartisan alcuni questioni politiche ineludibili (in primis la legge elettorale). In altre parole, negare l’evidenza. Già nel discorso al Senato il richiamo alla riforma del cosiddetto “porcellum” elettorale, aldilà della “priorità assoluta” accordatagli, non è stato minimamente accompagnato da aperture vere e proprie aperture ad un’intesa fra i due schieramenti.
L’impressione dunque è che Prodi, facendo orecchie da mercante agli innumerevoli segnali di disgregazione del bipolarismo bastardo, viva su un altro pianeta. Il che può sembrare poco grave, se non fosse che dalla lungimiranza che potrà dimostrare oggi dipende la sua sopravvivenza politica. Non si tratta solo di ostinazione a non voler legittimare una vera e propria fase costituente, che pure l’Italia più saggia gli chiede da tempo, ma di rifiutare di dirsi possibilista per delle larghe intese almeno sui nodi politici più urgenti: pensioni e sistema elettorale in primis, ma anche riforma degli ammortizzatori sociali e liberalizzazione dei servizi. Tutte queste priorità, che il Governo di un Paese moderno dovrebbe affrontare, non comprendono le più ampie riforme strutturali che da anni vengono rimandate e che inevitabilmente passano attraverso una revisione della Costituzione. Il luogo per natura deputato alla revisione e alla riscrittura delle regole comuni, di funzionamento della macchina dello Stato, non può che essere un’Assemblea Costituente. Lontanissima, se Prodi snobba persino l’ipotesi di Bicamerale.
Ma in fondo, in pochi ormai, oggi, si aspetterebbero da questa classe dirigente una vera e propria stagione valorosa, di riforma del sistema politico tout court magari attraverso un Assemblea Costituente. Ora, caro Prodi, si tratta di pura lungimiranza politica.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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