Il governo è colpevole per quel che non ha fatto
Precari sì, scemi no
Il mercato del lavoro deve essere elastico e permeabiledi Davide Giacalone - 11 aprile 2011
I giovani disoccupati e i precari fanno bene a protestare. Peccato che le vittime sfilino al fianco dei loro carnefici, intonando all’unisono il canto dei conservatori illusi. Meno male, però, che se ne rendono conto e disertano appuntamenti destinati non a risolvere i loro problemi, e neanche ad affrontarli seriamente, ma solo a farne carne da macello per la polemica partitica. Loro lo sanno e lasciano da soli gli speculatori. Ciò non toglie, appunto, che le loro ragioni esistono e sono forti.
E’ vero che il nostro mercato del lavoro è duale, con barriere difensive a favore dei garantiti e ostacoli all’ingresso dei non garantiti. Com’è vero che con i soldi dei contributi previdenziali dei lavoratori a tempo determinato si è finanziata la cancellazione dello scalone pensionistico, a favore dei lavoratori anziani a tempo indeterminato. Ma le protezioni e la legislazione di favore sono state reclamate da quello stesso sindacato che oggi pretende di manifestare accanto a chi ne è la vittima. Probabilmente protestano contro sé stessi.
Si è detta solidale, con i manifestanti, la Conferenza episcopale, reclamando la trasformazione dei posti a tempo determinato in posti a vita, talché i lavoratori possano pianificare il loro futuro e costruire le loro famiglie. Occorre, però, osservare che la moltiplicazione del cibo e delle ricchezze è materia di fede, non di mercato, e che le cose stanno in questi termini: se si proteggono posti di lavoro improduttivi (come anche aziende fuori mercato) si accumula povertà per il futuro, sotto forma di debito.
Lo abbiamo già fatto, e ne abbiamo uno enorme. Quindi, volendo stare con i piedi per terra, quel che occorre non è il miracolo della trasformazione dei contratti di lavoro, ma una giusta politica che non scarichi tutta l’elasticità sulle spalle dei precari, conservando tutte le difese innanzi alla cittadella dei garantiti. Abbiamo ammortizzatori sociali che hanno ben funzionato, nell’attutire i colpi della crisi, ma abbiamo intere fasce della popolazione e dei lavoratori che sono fuori da ogni copertura. Per sanare questa ingiustizia si deve fare il contrario di quel che le forze politiche e sindacali, ieri manifestanti, hanno teorizzato e fatto.
Il mercato del lavoro sarà sempre più popolato da persone senza un contratto a vita. Non solo non è un dramma, ma è un’opportunità. La precarietà spaventa solo quando si unisce a due elementi: a. un regime fiscale e previdenziale indirizzati a punirla e umiliarla; b. un mercato produttivo nel quale si richiedono sempre più ruoli dequalificati, quindi poveri.
Questi due mali possono essere combattuti, ma occorrono politiche coerenti. Chi non ha un lavoro stabile deve potere contare su un regime fiscale che ne premi il rischio, mentre oggi accade il contrario. Molti precari sono mascherati da partite iva, e come tali mazzolate da un fisco cieco e feroce. Si può non spingersi fino a chiedere che i garantiti trasferiscano risorse previdenziali verso i non garantiti, ma almeno la si finisca di fare il contrario, come i governi di sinistra hanno fatto.
Il mercato del lavoro deve essere elastico e permeabile, ma perché lo sia in entrata (quindi creando nuovi posti) è necessario che lo sia anche in uscita. Ogni rigidità a difesa dei contratti esistenti è un impedimento all’allargamento del numero degli occupati.
In quanto alla dequalificazione del nostro mercato produttivo (significativo che nei più duri mesi della crisi si perdevano posti di lavoro per gli italiani e crescevano quelli per immigrati, non selezionati) ci si renda conto che questa è anche una delle conseguenze dell’assenza di regole certe e controlli rigorosi, quindi uno dei prezzi della malagiustizia. Un mercato opaco, dove i furbi prevalgono sui coraggiosi, è un mercato che premia le rendite rispetto all’innovazione. Quindi è un mercato che si dequalifica e progressivamente squalifica.
I manifestanti di ieri avevano ragione a sfilare contro il governo in carica, avevano torto, però, a credere che la causa della loro condizione stia nelle scelte che sono state compiute. E’ vero il contrario: il governo è colpevole per quel che non ha fatto. Insomma, le manifestazioni di ieri hanno portato nelle piazze persone e interessi che hanno tutte le ragioni per protestare, ma hanno anche mostrato un mondo che ha una conoscenza precaria della realtà e una precarissima visione del futuro.
Le bandiere che sventolavano riassumevano in sé sia la causa che l’effetto del problema. E non era un bello spettacolo. Ci sarà un motivo, del resto, se i giovani lavoratori (ancor più dei lavoratori tutti) non s’iscrivono al sindacato: oramai rappresentano una minoranza di lavoratori e gli iscritti sono in maggioranza pensionati. Precari sì, scemi no.
Pubblicato da Libero
E’ vero che il nostro mercato del lavoro è duale, con barriere difensive a favore dei garantiti e ostacoli all’ingresso dei non garantiti. Com’è vero che con i soldi dei contributi previdenziali dei lavoratori a tempo determinato si è finanziata la cancellazione dello scalone pensionistico, a favore dei lavoratori anziani a tempo indeterminato. Ma le protezioni e la legislazione di favore sono state reclamate da quello stesso sindacato che oggi pretende di manifestare accanto a chi ne è la vittima. Probabilmente protestano contro sé stessi.
Si è detta solidale, con i manifestanti, la Conferenza episcopale, reclamando la trasformazione dei posti a tempo determinato in posti a vita, talché i lavoratori possano pianificare il loro futuro e costruire le loro famiglie. Occorre, però, osservare che la moltiplicazione del cibo e delle ricchezze è materia di fede, non di mercato, e che le cose stanno in questi termini: se si proteggono posti di lavoro improduttivi (come anche aziende fuori mercato) si accumula povertà per il futuro, sotto forma di debito.
Lo abbiamo già fatto, e ne abbiamo uno enorme. Quindi, volendo stare con i piedi per terra, quel che occorre non è il miracolo della trasformazione dei contratti di lavoro, ma una giusta politica che non scarichi tutta l’elasticità sulle spalle dei precari, conservando tutte le difese innanzi alla cittadella dei garantiti. Abbiamo ammortizzatori sociali che hanno ben funzionato, nell’attutire i colpi della crisi, ma abbiamo intere fasce della popolazione e dei lavoratori che sono fuori da ogni copertura. Per sanare questa ingiustizia si deve fare il contrario di quel che le forze politiche e sindacali, ieri manifestanti, hanno teorizzato e fatto.
Il mercato del lavoro sarà sempre più popolato da persone senza un contratto a vita. Non solo non è un dramma, ma è un’opportunità. La precarietà spaventa solo quando si unisce a due elementi: a. un regime fiscale e previdenziale indirizzati a punirla e umiliarla; b. un mercato produttivo nel quale si richiedono sempre più ruoli dequalificati, quindi poveri.
Questi due mali possono essere combattuti, ma occorrono politiche coerenti. Chi non ha un lavoro stabile deve potere contare su un regime fiscale che ne premi il rischio, mentre oggi accade il contrario. Molti precari sono mascherati da partite iva, e come tali mazzolate da un fisco cieco e feroce. Si può non spingersi fino a chiedere che i garantiti trasferiscano risorse previdenziali verso i non garantiti, ma almeno la si finisca di fare il contrario, come i governi di sinistra hanno fatto.
Il mercato del lavoro deve essere elastico e permeabile, ma perché lo sia in entrata (quindi creando nuovi posti) è necessario che lo sia anche in uscita. Ogni rigidità a difesa dei contratti esistenti è un impedimento all’allargamento del numero degli occupati.
In quanto alla dequalificazione del nostro mercato produttivo (significativo che nei più duri mesi della crisi si perdevano posti di lavoro per gli italiani e crescevano quelli per immigrati, non selezionati) ci si renda conto che questa è anche una delle conseguenze dell’assenza di regole certe e controlli rigorosi, quindi uno dei prezzi della malagiustizia. Un mercato opaco, dove i furbi prevalgono sui coraggiosi, è un mercato che premia le rendite rispetto all’innovazione. Quindi è un mercato che si dequalifica e progressivamente squalifica.
I manifestanti di ieri avevano ragione a sfilare contro il governo in carica, avevano torto, però, a credere che la causa della loro condizione stia nelle scelte che sono state compiute. E’ vero il contrario: il governo è colpevole per quel che non ha fatto. Insomma, le manifestazioni di ieri hanno portato nelle piazze persone e interessi che hanno tutte le ragioni per protestare, ma hanno anche mostrato un mondo che ha una conoscenza precaria della realtà e una precarissima visione del futuro.
Le bandiere che sventolavano riassumevano in sé sia la causa che l’effetto del problema. E non era un bello spettacolo. Ci sarà un motivo, del resto, se i giovani lavoratori (ancor più dei lavoratori tutti) non s’iscrivono al sindacato: oramai rappresentano una minoranza di lavoratori e gli iscritti sono in maggioranza pensionati. Precari sì, scemi no.
Pubblicato da Libero
L'EDITORIALE
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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.