Alleanze politiche verso il 2013
Pd e liberali, solo una gaffe?
La Carta d'intenti del Pd è un buon punto di partenza. Ma esclude i liberali dal Partitodi Beppe Facchetti - 09 agosto 2012
I dieci punti della Carta d’intenti di Bersani meritavano più attenzione, e forse ha ragione Mario Rodriguez quando su Europa osserva che il Pd ha sciupato, in chiave comunicazionale, una importante opportunità.
Nel merito, Michele Salvati, che sul Corriere ha sviluppato uno dei pochi commenti approfonditi e ragionati, ha fatto notare che il difetto del documento, pur di profilo alto ed anche efficace nella sintesi di un lungo lavoro programmatico, è una certa genericità in molti passaggi (quelli che «non si possono non condividere»), e soprattutto è sfuggente nell’indicare i costi politici ed ideologici delle concrete conseguenze derivanti dall’applicazione coerente dei principi generali. Insomma, aggiungiamo noi, quasi un documento alla Monti (il Monti professore ed editorialista), ma senza evidenziare che poi occorre pagare il conto che il Monti premier ti presenta.
Dunque la Carta d’intenti è comunque un buon punto di partenza, nel deserto di riflessioni serie e di impegno culturale, dell’attuale politica nazionale.
Ma, c’è un ma. Il lettore laico liberale sussulta quando si arriva alle questioni di schieramento, e non perché la linea di proposta complessiva sia errata. Anzi: è giustissimo sottoporre i 10 punti al confronto con la sinistra e poi all’alleanza con l’Udc, facendo giustizia di troppe ambiguità del passato e superando l’errore veltroniano del regalo 2008 a Idv.
Quel che colpisce – o non si capisce – è la scelta dei destinatari del «patto di legislatura » che «i democratici e i progressisti si impegnano a promuovere », dice il testo, con «forze liberali, moderate e di centro, di ispirazione costituzionale ed europeista».
Sarà una lettura forse un po’ troppo diffidente, ma a noi sembra chiara la distinzione: da un lato ci sarebbero i democratici e i progressisti e dall’altro ci sono i liberali, sinonimo di forze moderate e di centro, con l’aggiunta per fortuna «di ispirazione costituzionale ed europeista», a ricordare se non altro che i liberali erano europeisti quando molti avi del Pd attuale erano solo per l’internazionalismo proletario...
Ma il punto è: non avevamo sempre detto che i liberali sono una componente del crogiolo democratico del Pd? Non è forse vero che i liberal Pd sono il primo gruppo statutariamente riconosciuto come identitario da questa segreteria Pd? Chi sono allora i liberali a cui occorre proporre il «patto»? A chi vogliamo regalarli? A Casini? Ad una scissione del Pdl o addirittura della Lega? Se dobbiamo costituire un gruppo liberale esterno al Pd per poi governare insieme, basta dirlo.
La tattica, in politica, può anche prevalere temporaneamente sui contenuti. Ma lo si spieghi ai liberali (pochi, è vero, ma non bisogna scoraggiarli) che sono nel Pd dalla fondazione, compresi quelli che hanno votato Bersani alle primarie. Forse questa (involontaria?) gaffe è solo un riflesso derivante da vecchi schematismi che collocavano il liberalismo a destra, mai ricordando che i liberali in tutto l’Occidente sono l’antitesi dei conservatori, persino quando si alleano temporaneamente ad essi come oggi in Gran Bretagna e Germania (ma in altri tempi, e molto proficuamente, con laburisti e socialdemocratici).
Eppure nel documento si parla più volte dei limiti del liberismo, che la tradizione liberal democratica, proprio in Occidente, ha per prima analizzato e criticato. Possiamo anche pensare che la gaffe sia frutto di buona fede e che anzi si volesse valorizzare l’utilità dell’apporto liberale ad un progetto di governo, ma forse Bersani deve decidere cosa fare, visto che nei discorsi della domenica la qualità “liberale” del Pd non viene mai dimenticata, insieme a quelle cattolica, socialdemocratica e ambientalista...
Lo si può anche fare per finta, e possiamo anche consolarci, visto l’uso sciagurato dell’attributo liberale fatto per anni dalla politica berlusconiana, ma proprio perché siamo alternativi a queste destre, la proprietà di linguaggio è sostanza.
Un certo snobismo, nelle “distrazioni” del Pd, può nuocere profondamente, soprattutto ora che il partito si candida al governo senza più ammucchiate e su base programmatica, e occorre sollecitare l’approvazione di molti elettori ancora diffidenti. Non si è mai riflettuto abbastanza su certe sbrigative superficialità nel rapporto con le componenti politiche che saranno anche minori ma fanno sicuramente parte dello schieramento riformista nazionale, ancora troppo fragile perché si possa tranquillamente far a meno di questo o quello.
Se non si superano le antiche diffidenze diessine verso socialisti e liberali, il Pd non decolla veramente. E gli esempi non mancano. È un errore grave l’atteggiamento di irritato distacco verso l’apporto del partito radicale nel gruppo parlamentare Pd, è un errore grave aver applicato acriticamente schemi giustizialisti al caso Del Turco, o aver lasciato andar via quasi con soddisfazione il “nuclearista” Veronesi, o il liberal Nicola Rossi, regalato a Montezemolo, o il liberale doc Valerio Zanone, regalato all’Api.
Tutti casi di “distrazione” che un grande partito di governo, chiamato nel 2012 a preparare una politica davvero nuova, non può permettersi, scrollando solo le spalle. Proprio il Pd che è nato come un partito nuovo non come un nuovo partito, deve sapere che la differenza la fanno le piccole cose, e che le sensibilità attente alle minoranze culturali fanno di un partito un pezzo di stato.
E allora, caro Bersani, togli la parola liberale nell’offerta del patto di legislatura. Va benissimo parlare al centro e ai cosiddetti moderati. Ma i liberali considerali già compresi nel pacchetto d’offerta
Nel merito, Michele Salvati, che sul Corriere ha sviluppato uno dei pochi commenti approfonditi e ragionati, ha fatto notare che il difetto del documento, pur di profilo alto ed anche efficace nella sintesi di un lungo lavoro programmatico, è una certa genericità in molti passaggi (quelli che «non si possono non condividere»), e soprattutto è sfuggente nell’indicare i costi politici ed ideologici delle concrete conseguenze derivanti dall’applicazione coerente dei principi generali. Insomma, aggiungiamo noi, quasi un documento alla Monti (il Monti professore ed editorialista), ma senza evidenziare che poi occorre pagare il conto che il Monti premier ti presenta.
Dunque la Carta d’intenti è comunque un buon punto di partenza, nel deserto di riflessioni serie e di impegno culturale, dell’attuale politica nazionale.
Ma, c’è un ma. Il lettore laico liberale sussulta quando si arriva alle questioni di schieramento, e non perché la linea di proposta complessiva sia errata. Anzi: è giustissimo sottoporre i 10 punti al confronto con la sinistra e poi all’alleanza con l’Udc, facendo giustizia di troppe ambiguità del passato e superando l’errore veltroniano del regalo 2008 a Idv.
Quel che colpisce – o non si capisce – è la scelta dei destinatari del «patto di legislatura » che «i democratici e i progressisti si impegnano a promuovere », dice il testo, con «forze liberali, moderate e di centro, di ispirazione costituzionale ed europeista».
Sarà una lettura forse un po’ troppo diffidente, ma a noi sembra chiara la distinzione: da un lato ci sarebbero i democratici e i progressisti e dall’altro ci sono i liberali, sinonimo di forze moderate e di centro, con l’aggiunta per fortuna «di ispirazione costituzionale ed europeista», a ricordare se non altro che i liberali erano europeisti quando molti avi del Pd attuale erano solo per l’internazionalismo proletario...
Ma il punto è: non avevamo sempre detto che i liberali sono una componente del crogiolo democratico del Pd? Non è forse vero che i liberal Pd sono il primo gruppo statutariamente riconosciuto come identitario da questa segreteria Pd? Chi sono allora i liberali a cui occorre proporre il «patto»? A chi vogliamo regalarli? A Casini? Ad una scissione del Pdl o addirittura della Lega? Se dobbiamo costituire un gruppo liberale esterno al Pd per poi governare insieme, basta dirlo.
La tattica, in politica, può anche prevalere temporaneamente sui contenuti. Ma lo si spieghi ai liberali (pochi, è vero, ma non bisogna scoraggiarli) che sono nel Pd dalla fondazione, compresi quelli che hanno votato Bersani alle primarie. Forse questa (involontaria?) gaffe è solo un riflesso derivante da vecchi schematismi che collocavano il liberalismo a destra, mai ricordando che i liberali in tutto l’Occidente sono l’antitesi dei conservatori, persino quando si alleano temporaneamente ad essi come oggi in Gran Bretagna e Germania (ma in altri tempi, e molto proficuamente, con laburisti e socialdemocratici).
Eppure nel documento si parla più volte dei limiti del liberismo, che la tradizione liberal democratica, proprio in Occidente, ha per prima analizzato e criticato. Possiamo anche pensare che la gaffe sia frutto di buona fede e che anzi si volesse valorizzare l’utilità dell’apporto liberale ad un progetto di governo, ma forse Bersani deve decidere cosa fare, visto che nei discorsi della domenica la qualità “liberale” del Pd non viene mai dimenticata, insieme a quelle cattolica, socialdemocratica e ambientalista...
Lo si può anche fare per finta, e possiamo anche consolarci, visto l’uso sciagurato dell’attributo liberale fatto per anni dalla politica berlusconiana, ma proprio perché siamo alternativi a queste destre, la proprietà di linguaggio è sostanza.
Un certo snobismo, nelle “distrazioni” del Pd, può nuocere profondamente, soprattutto ora che il partito si candida al governo senza più ammucchiate e su base programmatica, e occorre sollecitare l’approvazione di molti elettori ancora diffidenti. Non si è mai riflettuto abbastanza su certe sbrigative superficialità nel rapporto con le componenti politiche che saranno anche minori ma fanno sicuramente parte dello schieramento riformista nazionale, ancora troppo fragile perché si possa tranquillamente far a meno di questo o quello.
Se non si superano le antiche diffidenze diessine verso socialisti e liberali, il Pd non decolla veramente. E gli esempi non mancano. È un errore grave l’atteggiamento di irritato distacco verso l’apporto del partito radicale nel gruppo parlamentare Pd, è un errore grave aver applicato acriticamente schemi giustizialisti al caso Del Turco, o aver lasciato andar via quasi con soddisfazione il “nuclearista” Veronesi, o il liberal Nicola Rossi, regalato a Montezemolo, o il liberale doc Valerio Zanone, regalato all’Api.
Tutti casi di “distrazione” che un grande partito di governo, chiamato nel 2012 a preparare una politica davvero nuova, non può permettersi, scrollando solo le spalle. Proprio il Pd che è nato come un partito nuovo non come un nuovo partito, deve sapere che la differenza la fanno le piccole cose, e che le sensibilità attente alle minoranze culturali fanno di un partito un pezzo di stato.
E allora, caro Bersani, togli la parola liberale nell’offerta del patto di legislatura. Va benissimo parlare al centro e ai cosiddetti moderati. Ma i liberali considerali già compresi nel pacchetto d’offerta
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.