Paura delle liberalizzazioni
Partiti e dispersi
Se non sono in grado di arrivare ad un compromesso, i partiti sono finitidi Davide Giacalone - 21 gennaio 2012
Qualcuno ha notizie dal pianeta dei due grossi partiti politici? Esistono ancora, a parte il ripetere che saranno leali con il governo, vale a dire confermare che preferiscono essere commissariati, piuttosto che governanti? La prassi costituzionale non conosceva le consultazioni quirinalizie, volte ad accertare la loro capacità di votare leggi e riforme, giacché la Costituzione, per chi ancora ne conservi una copia, non prevede alcun ruolo del Colle nel processo legislativo, se non alla sua conclusione e al momento dell’emanazione. Eppure Napolitano li ha chiamati e ricevuti a turno. Probabilmente per accertarsi della loro perdurante esistenza.
Sarà il caso d’osservare, però, che il commissario chiamato a far fronte alla crisi del debito ha avviato attività plurime, destinate ad avere scarso impatto immediato e vaste ripercussioni nel futuro. Fa politica, come giustamente compete al governo, anche rimodellando il patto sociale su cui si regge il sistema, sia dal punto di vista fiscale che della legislazione regolante il mercato. Se i partiti contano di tornare sulla scena a cose fatte commettono un errore di calcolo, perché a cose fatte la scena non li contemplerà. Prendersela con Monti per le liberalizzazioni è cosa alquanto bislacca, visto che si sarebbero già dovute fare e che tale lavoro sarebbe spettato proprio a quei partiti, dimostratisi incapaci. Ma il fatto è che le liberalizzazioni sono, per la gran parte, dei titoli vuoti, delle bandiere senza stemma, il cui solo significato consiste nel dare l’illusione che cambiare si può solo abrogando la politica. Lo hanno capito? Quei partiti saranno considerati colpevoli dell’insuccesso, anche quando non avranno fatto altro che chinare la testa.
Faccio solo due esempi: benzinai e notai. Le misure proposte dal governo servono a meglio sostentare una rete disfunzionale, che dovrebbe essere sfoltita: i benzinai sono troppi e poco automatizzati, il doppio della Francia e il triplo dell’Inghilterra, sicché (i conti tornano) ciascuno eroga, mediamente, la metà dei colleghi francesi e un terzo di quelli inglesi. Se “liberalizzare” significa allargare i prodotti non oil, quindi altre merci, ciò servirà a conservare l’esistente, non a cambiarlo. Sul fronte dei notai il problema non è quello di aumentare il loro numero (per giunta a cura della stessa categoria), ma diminuire gli atti per cui i cittadini sono costretti a ricorrervi. Un tempo molti passaggi, nella vita delle società a responsabilità limitata (srl), si facevano sul libro soci, ora dal notaio, con il risultato che molte di queste società spendono per i notai più di quanto abbiano come capitale sociale. Liberalizzare dovrebbe servire ad alleggerire, non il contrario. Ma i grossi partiti sembrano ipnotizzati. Timorosi di dire l’ovvio, per non prendersi la responsabilità di avere osato obiettare. Da seguace delle liberalizzazioni, invece, mi prendo la libertà di sostenere che farne di apparenti, con interminalibili tira e molla, che non daranno risultati apprezzabili, nel mentre s’affronta un biennio di recessione, sembra la ricetta sicura per far credere che le liberalizzazioni portano male. Come porta male farle a cura non di chi ne risponde agli elettori, ma di chi popola la categoria meno esposta alla competizione e al mercato: i mandarini della burocrazia statale, giudiziaria, amministrativa e professorale.
Cosa aspettano, i grossi partiti, che al Quirinale obiettino sulla disomogeneità del decreto, negando la firma? Illusi, quello è un trattamento riservato ai governi politici (meglio se antipatici al Colle), mica a questo. Napolitano non è il conte Ugolino, ma un genitore premuroso. Quando l’attuale esecutivo nacque non mi scagliai contro, perché la situazione era drammatica. Ancora oggi un punto forte del governo Monti è il ricordo lasciato dai predecessori. Ma avvertimmo del pericolo: se nel tempo di questo governo i due grossi partiti non provvedono ad un accordo per cambiare la legge elettorale e lo schema costituzionale, se non sono in grado di giungere a un compromesso che copra il tempo di questa e della prossima legislatura, sono finiti. Né è il caso di festeggiare, come pure si sarebbe tentati, perché così si apre la via ad una legislatura, la prossima, dominata da caos e antagonisti. Il tempo è trascorso. La loro capacità di reazione è stata nulla. Se Alfano e Bersani non s’affrettano, a nome dei due mondi spappolati, ad annunciare il cambio di passo saranno gli elettori a stabilire chi, fra i due schieramenti, scompare per primo. Il secondo segue a ruota.
Sarà il caso d’osservare, però, che il commissario chiamato a far fronte alla crisi del debito ha avviato attività plurime, destinate ad avere scarso impatto immediato e vaste ripercussioni nel futuro. Fa politica, come giustamente compete al governo, anche rimodellando il patto sociale su cui si regge il sistema, sia dal punto di vista fiscale che della legislazione regolante il mercato. Se i partiti contano di tornare sulla scena a cose fatte commettono un errore di calcolo, perché a cose fatte la scena non li contemplerà. Prendersela con Monti per le liberalizzazioni è cosa alquanto bislacca, visto che si sarebbero già dovute fare e che tale lavoro sarebbe spettato proprio a quei partiti, dimostratisi incapaci. Ma il fatto è che le liberalizzazioni sono, per la gran parte, dei titoli vuoti, delle bandiere senza stemma, il cui solo significato consiste nel dare l’illusione che cambiare si può solo abrogando la politica. Lo hanno capito? Quei partiti saranno considerati colpevoli dell’insuccesso, anche quando non avranno fatto altro che chinare la testa.
Faccio solo due esempi: benzinai e notai. Le misure proposte dal governo servono a meglio sostentare una rete disfunzionale, che dovrebbe essere sfoltita: i benzinai sono troppi e poco automatizzati, il doppio della Francia e il triplo dell’Inghilterra, sicché (i conti tornano) ciascuno eroga, mediamente, la metà dei colleghi francesi e un terzo di quelli inglesi. Se “liberalizzare” significa allargare i prodotti non oil, quindi altre merci, ciò servirà a conservare l’esistente, non a cambiarlo. Sul fronte dei notai il problema non è quello di aumentare il loro numero (per giunta a cura della stessa categoria), ma diminuire gli atti per cui i cittadini sono costretti a ricorrervi. Un tempo molti passaggi, nella vita delle società a responsabilità limitata (srl), si facevano sul libro soci, ora dal notaio, con il risultato che molte di queste società spendono per i notai più di quanto abbiano come capitale sociale. Liberalizzare dovrebbe servire ad alleggerire, non il contrario. Ma i grossi partiti sembrano ipnotizzati. Timorosi di dire l’ovvio, per non prendersi la responsabilità di avere osato obiettare. Da seguace delle liberalizzazioni, invece, mi prendo la libertà di sostenere che farne di apparenti, con interminalibili tira e molla, che non daranno risultati apprezzabili, nel mentre s’affronta un biennio di recessione, sembra la ricetta sicura per far credere che le liberalizzazioni portano male. Come porta male farle a cura non di chi ne risponde agli elettori, ma di chi popola la categoria meno esposta alla competizione e al mercato: i mandarini della burocrazia statale, giudiziaria, amministrativa e professorale.
Cosa aspettano, i grossi partiti, che al Quirinale obiettino sulla disomogeneità del decreto, negando la firma? Illusi, quello è un trattamento riservato ai governi politici (meglio se antipatici al Colle), mica a questo. Napolitano non è il conte Ugolino, ma un genitore premuroso. Quando l’attuale esecutivo nacque non mi scagliai contro, perché la situazione era drammatica. Ancora oggi un punto forte del governo Monti è il ricordo lasciato dai predecessori. Ma avvertimmo del pericolo: se nel tempo di questo governo i due grossi partiti non provvedono ad un accordo per cambiare la legge elettorale e lo schema costituzionale, se non sono in grado di giungere a un compromesso che copra il tempo di questa e della prossima legislatura, sono finiti. Né è il caso di festeggiare, come pure si sarebbe tentati, perché così si apre la via ad una legislatura, la prossima, dominata da caos e antagonisti. Il tempo è trascorso. La loro capacità di reazione è stata nulla. Se Alfano e Bersani non s’affrettano, a nome dei due mondi spappolati, ad annunciare il cambio di passo saranno gli elettori a stabilire chi, fra i due schieramenti, scompare per primo. Il secondo segue a ruota.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.