Meno leader più partiti
Partiti e capipopolo
Una democrazia deserta di partiti e affollata da capipopolo è malata. Si è soffiato sul fuoco dell’antipolitica, dell’antistatalismo, del rifiuto istituzionale, e ora le fiamme divorano tutto.di Davide Giacalone - 25 febbraio 2013
In tutti i suoi comizi Pier Luigi Bersani ha ripetuto un concetto che è, al tempo stesso, una bugia e una giusta esigenza. Egli dice: quando non ci sarà più Bersani ci sarà il Pd, resterà il Pd. La bugia è evidente, perché è vero il contrario: c’era il Pci, non c’è più, ma c’è ancora Bersani; c’era il Pds, non c’è più, ma c’è ancora Bersani; c’erano i Ds, non ci sono più, ma c’è ancora Bersani. L’esigenza è, però, giusta: le democrazie funzionano con i partiti, con la loro organizzazione e discussione interna, non con gli aggregati elettorali. L’Italia ha voluto negare questa evidenza, distruggendoli nel biennio giustizialista, 92-94. Complice un partito comunista che si appoggiò al manettarismo per cancellare avversari che non aveva e non avrebbe mai vinto, per poi sopravvivere alla morte dei suoi ideali, dei suoi programmi e dei suoi riferimenti internazionali. Complici i missini, non ancora rivestiti a cerimonia. Complice il leghismo non ancora insediato a Roma.
La democrazia dei leaders senza partito non funziona. Anche perché capovolge la logica e induce all’abbaglio. Non è il capo che crea l’elettorato, sono gli elettori che si aggregano attorno a un capo (o a un partito, o a un programma, e meglio se alle tre cose messe assieme). Silvio Berlusconi, di gran lunga la più forte personalità della seconda Repubblica, non ha creato gli elettori che lo hanno sostenuto, ma ha dato rappresentanza a quanti avevano perso i loro punti di riferimento, i loro contenitori elettorali. Beppe Grillo, da ultimo, non crea i suoi elettori, ma dà voce e coagula sentimenti esistenti. Talora contrapposti. Grillo non è la causa di nulla, è l’effetto dei fallimenti altrui. Non è il pericolo, è l’allarme. Non raccoglie voti giulivi e vagabondi, ma cupi e vendicativi.
Una democrazia deserta di partiti e affollata da capipopolo è malata. Ma la difficoltà di dare forma ai partiti, in Italia, consiste nell’avere soffiato sul fuoco dell’antipolitica, dell’antistatalismo, del rifiuto istituzionale, salvo poi vedere le fiamme che divorano tutto. E consiste anche nel fatto che cittadini e categorie, disoccupati e imprenditori, si rivolgono alla politica per avere, anziché per dare. Ecco perché il panorama s’è affollato di soggetti che cambiano nome in continuazione o sorgono dal nulla culturale, giacché sono figli di pulsioni erotiche scisse da ogni amore per la vita collettiva.
La contraddizione è questa: dobbiamo cambiare, con il personale che c’è e con i gruppi che ci sono, il quadro istituzionale, in modo da creare le condizioni per cambiare personale e ridare sostanza ai partiti. Sono consapevole della contraddizione, che non sarebbe poi così grave, o insuperabile, se questa classe dirigente fosse consapevole che il tempo a disposizione è agli sgoccioli. Poi sarà spazzata via e cancellata. Non da Grillo, ma dalla storia, dalla realtà, dai problemi lasciati marcire. Bersani non ha torto, dunque, ma si sbaglia se crede di rappresentare un buon esempio. Semmai incarna il problema: la permanenza del sempre uguale, disposto a negare sé stesso pur di conservare sé stesso.
La democrazia dei leaders senza partito non funziona. Anche perché capovolge la logica e induce all’abbaglio. Non è il capo che crea l’elettorato, sono gli elettori che si aggregano attorno a un capo (o a un partito, o a un programma, e meglio se alle tre cose messe assieme). Silvio Berlusconi, di gran lunga la più forte personalità della seconda Repubblica, non ha creato gli elettori che lo hanno sostenuto, ma ha dato rappresentanza a quanti avevano perso i loro punti di riferimento, i loro contenitori elettorali. Beppe Grillo, da ultimo, non crea i suoi elettori, ma dà voce e coagula sentimenti esistenti. Talora contrapposti. Grillo non è la causa di nulla, è l’effetto dei fallimenti altrui. Non è il pericolo, è l’allarme. Non raccoglie voti giulivi e vagabondi, ma cupi e vendicativi.
Una democrazia deserta di partiti e affollata da capipopolo è malata. Ma la difficoltà di dare forma ai partiti, in Italia, consiste nell’avere soffiato sul fuoco dell’antipolitica, dell’antistatalismo, del rifiuto istituzionale, salvo poi vedere le fiamme che divorano tutto. E consiste anche nel fatto che cittadini e categorie, disoccupati e imprenditori, si rivolgono alla politica per avere, anziché per dare. Ecco perché il panorama s’è affollato di soggetti che cambiano nome in continuazione o sorgono dal nulla culturale, giacché sono figli di pulsioni erotiche scisse da ogni amore per la vita collettiva.
La contraddizione è questa: dobbiamo cambiare, con il personale che c’è e con i gruppi che ci sono, il quadro istituzionale, in modo da creare le condizioni per cambiare personale e ridare sostanza ai partiti. Sono consapevole della contraddizione, che non sarebbe poi così grave, o insuperabile, se questa classe dirigente fosse consapevole che il tempo a disposizione è agli sgoccioli. Poi sarà spazzata via e cancellata. Non da Grillo, ma dalla storia, dalla realtà, dai problemi lasciati marcire. Bersani non ha torto, dunque, ma si sbaglia se crede di rappresentare un buon esempio. Semmai incarna il problema: la permanenza del sempre uguale, disposto a negare sé stesso pur di conservare sé stesso.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.