La politica estera italiana allo sbando
Parisi, il governo e i talebani
Chi fra i ministri non ha perso il senso della storia e della politica batta un colpodi Davide Giacalone - 21 marzo 2007
Il governo italiano ha molti problemi, riuscendo a litigare su questioni tutto sommato secondarie e parlamentari, come i Dico, ed a contrapporre un ministro dell’economia a tutti quanti i capigruppo parlamentari della maggioranza sulla certo non secondaria questione dell’uso dei denari pubblici. Ma c’è un tema, forse il più delicato, quello che maggiormente caratterizza la serietà e la compostezza di un Paese, dove il governo letteralmente si sfarina: la politica estera.
Ha perfettamente ragione il ministro della difesa, Arturo Parisi, a sottolineare, come anche qui si è fatto, che è stato un errore l’aver lasciato uno come Gino Strada non solo a trattare, ma anche a parlare. La liberazione di Mastrogiacomo è stata resa possibile dal fatto che il governo Karzai, su nostra richiesta e con il consenso degli statunitensi, ha concesso la liberazione di cinque prigionieri, talebali, accusati di crimini assai gravi. Chissà che alcuni di loro non ce li si ritrovi presto a tentare di far fuori i ragazzi in divisa americani, inglesi, italiani. Ma Strada non ha trovato modo di porre un freno alla sua loquacità antiamericana ed ha sostenuto che la liberazione di Mastrogiacomo è stata tutto merito suo, che nessuna istituzione ha contribuito e Karzai, semmai, ha ostacolato.
L’arresto dell’uomo che, per Emergency, aveva tenuto i contatti con i macellai talebani è, fin qui, il minimo che potesse capitare. Dunque Parisi ha ragione, ma sa anche lui che non basta, che rimane irrisolto il problema della politica estera. D’Alema è andato a proporre una conferenza di pace all’Onu, riscuotendo un tiepido non dissenso statunitense. Ma la conferenza di cui ha parlato a New York prevede si siedano attorno ad un tavolo i Paesi dell’area, la Nato e l’Onu. Ed è cosa diversa da quella che ha proposto il segretario del suo partito, i democratici di sinistra, perché Fassino (che è stato sottosegretario agli esteri) vuole trattare con i talebani. La netta differenza fra le due cose è sfumata nel calore di un dibattito politico italiano fatto di strilli e scarsa conoscenza dei fatti, ma è rilevantissima. Senza i talebani la conferenza di pace può ben divenire una conferenza di guerra per sconfiggerli. Come sarebbe giusto per il bene dell’Afghanistan.
E non c’è solo l’Afghanistan. Sulla prima pagina del Corriere della Sera leggiamo quel che dichiara Ismail Hanyeh, leader di Hamas e capo del governo palestinese: mi ha telefonato Vittorio Craxi e mi ha assicurato l’impegno dell’Italia per la fine dell’embargo. Ma è vero? Non la telefonata, l’impegno. Il governo ha il dovere di chiarire, e subito, perché Craxi è un sottosegretario che avrebbe promesso una posizione italiana in contrasto con quella adottata dal Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea, Onu e Russia). E la divergenza non è affatto banale, perché attiene al diritto all’esistenza di Israele. Non ci saranno, né ora né mai, aiuti economici diretti a chi non riconosca il diritto all’esistenza di Israele. Hamas non riconosce quel diritto, rivendica il proprio a combattere con tutti i mezzi, esegue attacchi terroristici e si nasconde dietro un compromesso, raggiunto alla Mecca lo scorso 8 febbraio, che lascia del tutto non chiarito il riconoscimento di Israele.
La posizione di Craxi, se vera, è deprecabilissima, ma quel che si vuol sapere è se si tratta della sua o di quella del governo. So benissimo che, nella coalizione di maggioranza, simili tesi antisraeliane ed antiamericane non sono affatto isolate, ma sarebbe bene sapere quali prevalgono. La politica estera è totalmente allo sbando. Su questo riflettano i Parisi e quanti non hanno smarrito il senso della politica e della storia. Si domandino quanto alto sia il prezzo che stanno pagando alla sopravvivenza di un governo equivoco che rischia di cancellare per molto tempo la possibilità che la sinistra sia nuovamente chiamata a governare.
www.davidegiacalone.it
Ha perfettamente ragione il ministro della difesa, Arturo Parisi, a sottolineare, come anche qui si è fatto, che è stato un errore l’aver lasciato uno come Gino Strada non solo a trattare, ma anche a parlare. La liberazione di Mastrogiacomo è stata resa possibile dal fatto che il governo Karzai, su nostra richiesta e con il consenso degli statunitensi, ha concesso la liberazione di cinque prigionieri, talebali, accusati di crimini assai gravi. Chissà che alcuni di loro non ce li si ritrovi presto a tentare di far fuori i ragazzi in divisa americani, inglesi, italiani. Ma Strada non ha trovato modo di porre un freno alla sua loquacità antiamericana ed ha sostenuto che la liberazione di Mastrogiacomo è stata tutto merito suo, che nessuna istituzione ha contribuito e Karzai, semmai, ha ostacolato.
L’arresto dell’uomo che, per Emergency, aveva tenuto i contatti con i macellai talebani è, fin qui, il minimo che potesse capitare. Dunque Parisi ha ragione, ma sa anche lui che non basta, che rimane irrisolto il problema della politica estera. D’Alema è andato a proporre una conferenza di pace all’Onu, riscuotendo un tiepido non dissenso statunitense. Ma la conferenza di cui ha parlato a New York prevede si siedano attorno ad un tavolo i Paesi dell’area, la Nato e l’Onu. Ed è cosa diversa da quella che ha proposto il segretario del suo partito, i democratici di sinistra, perché Fassino (che è stato sottosegretario agli esteri) vuole trattare con i talebani. La netta differenza fra le due cose è sfumata nel calore di un dibattito politico italiano fatto di strilli e scarsa conoscenza dei fatti, ma è rilevantissima. Senza i talebani la conferenza di pace può ben divenire una conferenza di guerra per sconfiggerli. Come sarebbe giusto per il bene dell’Afghanistan.
E non c’è solo l’Afghanistan. Sulla prima pagina del Corriere della Sera leggiamo quel che dichiara Ismail Hanyeh, leader di Hamas e capo del governo palestinese: mi ha telefonato Vittorio Craxi e mi ha assicurato l’impegno dell’Italia per la fine dell’embargo. Ma è vero? Non la telefonata, l’impegno. Il governo ha il dovere di chiarire, e subito, perché Craxi è un sottosegretario che avrebbe promesso una posizione italiana in contrasto con quella adottata dal Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea, Onu e Russia). E la divergenza non è affatto banale, perché attiene al diritto all’esistenza di Israele. Non ci saranno, né ora né mai, aiuti economici diretti a chi non riconosca il diritto all’esistenza di Israele. Hamas non riconosce quel diritto, rivendica il proprio a combattere con tutti i mezzi, esegue attacchi terroristici e si nasconde dietro un compromesso, raggiunto alla Mecca lo scorso 8 febbraio, che lascia del tutto non chiarito il riconoscimento di Israele.
La posizione di Craxi, se vera, è deprecabilissima, ma quel che si vuol sapere è se si tratta della sua o di quella del governo. So benissimo che, nella coalizione di maggioranza, simili tesi antisraeliane ed antiamericane non sono affatto isolate, ma sarebbe bene sapere quali prevalgono. La politica estera è totalmente allo sbando. Su questo riflettano i Parisi e quanti non hanno smarrito il senso della politica e della storia. Si domandino quanto alto sia il prezzo che stanno pagando alla sopravvivenza di un governo equivoco che rischia di cancellare per molto tempo la possibilità che la sinistra sia nuovamente chiamata a governare.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.