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Una missione che non fa Primavera

Pantomima per Jan Palac

L’annuncio del viaggio a Praga del pentito Mario Capanna

di Elio Di Caprio - 13 gennaio 2009

Tra strabismo e cecità tocca ancora alla sinistra fare i conti con il proprio passato ideologico pietrificato per troppo tempo. Nei prossimi giorni tutti a Praga in “allegra” compagnia gli ex sessantottini imborghesiti con a capo Mario Capanna per fare ammenda e ricordare il sacrificio dimenticato per 40 anni di Jan Palach bruciatosi vivo nel gennaio ‘69 per protestare contro l’invasione sovietica che riuscì a “normalizzare” per lunghi venti anni la Primavera di Praga.

Allora i cecoslovacchi erano alla ricerca del comunismo dal volto umano –l‘espressione è rivelatrice in sé, al di là di tanti distinguo - mentre il movimento studentesco di Capanna, egemonizzato in Italia dalla sinistra estrema, si destreggiava in stanche litanie assembleari tra trotskisti, maoisti, stalinisti: per loro il faro ideale rimaneva pur sempre il marxismo che andava solo declinato e rivisto alla luce dei tempi cambiati. Si scopre finalmente che c’è stato un’68 cecoslovacco duramente represso a quattro passi da casa nostra ed un altro ’68 (quello vero?) prima americano, poi europeo occidentale e quindi italiano. Trattasi di esperienze tutte diverse al di là della comune speranza ed aspirazione a cambiare e a scrollarsi di dosso un mondo che sembrava irrimediabilmente condannato, se non superato. Cartelli inneggianti a Mao e a Stalin, ad esempio, si potevano rinvenire nei cortei giovanili europei e soprattutto italiani, non certo negli USA da cui era pure partito il movimento contestativi.

Le differenze vengono alla luce solo ora e il sacrificio di Palach assume un significato emblematico a sé per la paradossale celebrazione a posteriori che ora ne fa l’(ex?) estrema sinistra, improvvisamente rinsavita. Da noi, in Italia - è bene ricordarlo- nel ‘68 il maoismo della rivoluzione culturale cinese veniva considerato dal movimento studentesco uno stadio ben più avanzato di liberazione dell’umanità rispetto all’esperienza della Russia sovietica.

Nel conformismo di quei tempi presuntamene anticonformisti – guai allora a chi mettesse in causa il comunismo in sé, la colpa del male era tutta addebitata a “deviazioni” temporanee dal modello ideale- chi si sarebbe mai azzardato ad elencare i milioni di morti dello stalinismo e della rivoluzione culturale cinese fino ai massacri di Pol Pot in Cambogia? Disinformazione o semplice mancanza di informazioni? Nella cecità di allora Capanna ed i suoi (e non solo) si trovarono perfettamente a loro agio, preferivano i voli ideologici verso improbabili paradisi comunisti piuttosto che guardarsi attorno per andare a vedere quello che succedeva oltre i confini italiani, nell’altra parte d’Europa del comunismo realizzato e imposto da Mosca.

Dopo 40 anni era ora che questi stessi personaggi si interrogassero sull’altro ’68 di cui non si erano accorti, quello di Praga, e sulla figura eroica di Jan Palach che essi avevano considerato di secondaria importanza perché si era ribellato, come un nazionalista o un irredentista qualunque, all’oppressione ed ai carri armati di un Paese straniero e non allo sfruttamento capitalista. E poi i Paesi dell’est Europa sotto dominio sovietico, dalla Polonia, alla Cecoslovacchia, all’Ungheria, alla DDR cosa potevano contestare nel ‘68 e in nome di quali miti, simboli, parole d’ordine? Potevano essi schierarsi, come i coetanei occidentali, contro il consumismo indotto dal capitalismo, loro che avevano i consumi materiali e culturali ridotti al minimo e non potevano neppure espatriare ? Potevano mai ribellarsi contro gli americani, magari in nome di Stalin e Mao (come si faceva da noi) loro che erano a contatto quotidiano e palpabile con l’occupazione militare della Russia sovietica derivante dagli accordi di Jalta? E non era per loro una triste realtà, non certo come da noi, lo Stato di polizia che impediva ogni libertà, pure quella di esprimersi, di contarsi, di manifestare?
Se vogliamo è stata una tragedia europea quella di metà Europa senza scampo sotto il dominio sovietico e dell’altra metà occidentale che poteva permettersi il lusso di protestare per allargare le libertà già acquisite e per questo non trovava di meglio che ricorrere ai miti di Stalin, di Mao o di Che Guevara.

Allora nessun maitre à penser che firmava appelli contro la repressione in Italia, compreso Capanna, ebbe il coraggio di denunciare una tale plateale incongruenza. Il solo Craxi ebbe il coraggio in seguito a sostenere la dissidenza cecoslovacca. Ora siamo alle ammende storiche che interessano poco gli italiani e per niente i cechi lasciati soli al loro destino per venti anni. Si può pure rifare il funerale a Jan Palach con Capanna e soci dopo 40 anni, ma a che serve se non ad una retorica di comodo revisionismo che nulla sposta? Se gli attuali pentiti si fossero solo fuggevolmente affacciati alla realtà praghese del dopo ’68 si sarebbero accorti con sorpresa che il mito di Dubcek e dello stesso Jan Palac non aveva lasciato alcun rimpianto emozionale, quasi fosse stato un ingannevole fuoco di paglia che anzi aveva reso ancora più stretta e più dura la repressione sovietica. La realtà è che nonostante i battages dei mass media occidentali, nessuno in Europa e tanto meno in Italia (meno che mai il comunista eretico Capanna) colse nei fatti il testimone di una corale reazione antisovietica e anticomunista dopo la Primavera di Praga.

Tanto da dar ragione alla frustrata intellighentia ceca che non aspettandosi alcun aiuto da Occidente, pote’ solo sperare che implodesse lo Stato guida sovietico, come poi avvenuto, per risolvere i suoi problemi di indipendenza. Ma che sanno di ciò le sinistre pentite in viaggio per Praga che allora si mobilitavano contro fascismo e repressione in Italia lasciando sola la Cecoslovacchia?

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