Soluzioni della crisi italiana: difetti compresi
Palleggio continuo di responsabilità
La necessità di un patto per il rilancio dell’economia attraverso l’innovazionedi Massimiliano Rijllo - 23 giugno 2006
Tutti d’accordo, o quasi, sulle difficoltà economiche e sul momento di crisi che attraversiamo. Niente armonia, invece, sui motivi e le strade per uscirne. Assistiamo ad un palleggio di responsabilità continuo, come se lo screditamento dell’avversario fosse il fine ultimo della politica. Da chi si comporta come fosse questione di vittorie e sconfitte personali, da chi parla di verità e categorie assolute, è difficile possa venire un rilancio reale ed un percorso verso la crescita. Fermiamoci.
Al di là di responsabilità politiche, che senz’altro ci sono, è innegabile che il nostro paese sia smarrito di fronte alle rivoluzioni globali che stanno cambiando i mercati, anche e soprattutto quelli nazionali. Sono smarriti cittadini, politici, imprenditori e banchieri. E chi, al contrario, dimostra sicurezza, sottovaluta la portata ed il carattere strutturale del cambiamento. Il nuovo mondo ci costringe a mettere in discussione convinzioni consolidate, assiomi economici e politici che ritenevamo essere schemi interpretativi della realtà. Si tratta di una sfida stimolante che è necessario cogliere con tutta l’umiltà e l’entusiasmo di cui siamo capaci.
In un mercato globale dove si affermano nuovi giganti è naturale che ci si interroghi con preoccupazione su quale potrà essere il ruolo del nostro paese. Eppure, proprio nella globalizzazione possiamo trovare la chiave del nostro rilancio. In un’economia dominata dalla conoscenza, dalla cultura, dalla qualità e dalle emozioni, l’Italia ha grandi opportunità di affermarsi e di esportare, prodotti e stili di vita. La nostra ricchezza storica, il nostro gusto, la nostra creatività possono trasformarsi in aziende capaci di offrire esperienze per i consumatori evoluti di tutti i paesi. Dobbiamo puntare sull’internazionalizzazione come requisito fondamentale, non solo per le grandi aziende ma anche per le medie, di nicchia ma globali. Per far questo è necessario un cambiamento di mentalità ed un rinnovamento profondo, capace di innescare una rivoluzione culturale che deve essere alimentata a tutti i livelli possibili. È importante agire sul piano della formazione, degli incentivi da parte della politica, del supporto e della guida da parte delle banche.
È necessario metabolizzare che si passerà dai distretti nazionali a quelli globali. Nessuno dovrà sorprendersi se i prodotti ed i servizi che ogni consumatore sceglierà saranno il risultato di una concorrenza che si svolgerà su scala globale. Dovremo accettare, come è inevitabile, che interi settori produttivi scompaiano dal nostro paese perché altri potranno nascere. L’amara sorpresa verrà se l’Italia non sarà capace di approfittare delle immense opportunità di mercato che gli si prospettano.
In tale scenario, è difficile comprendere le spinte federaliste ed il contributo che potrebbero portare alla nostra competitività. Tuttavia, è possibile tentare un’interpretazione che giustifichi la scelta con l’obiettivo di realizzare un’Europa delle regioni, passando per la riduzione dei poteri degli stati nazionali. Rimane il problema del sentimento antieuropeo, fomentato da alcuni movimenti federalisti, che rischia di diffondersi e di compromettere il processo di integrazione. Senza indugio la salvezza della nostra economia è in Europa, per cominciare. Non possiamo immaginare aziende che siano solo italiane fronteggiare i colossi internazionali.
Detto questo, il rischio è di sacrificare le eccellenti basi culturali, l’inventiva, il fascino che il nostro paese ha e che può esportare, per colpa di un pugno di uomini incapaci di ragionare nel nuovo mondo e disposti a difendere le loro piccole poltrone, di interessi e di convinzioni.
L’invito è per un patto, basato sulle priorità per l’innovazione e su un metodo capace di superare le differenze, pur legittime, perché il nostro è tempo di seri ed urgenti provvedimenti, che richiedono l’impegno delle migliori risorse intellettuali, di ogni parte e di ogni livello del potere.
Al di là di responsabilità politiche, che senz’altro ci sono, è innegabile che il nostro paese sia smarrito di fronte alle rivoluzioni globali che stanno cambiando i mercati, anche e soprattutto quelli nazionali. Sono smarriti cittadini, politici, imprenditori e banchieri. E chi, al contrario, dimostra sicurezza, sottovaluta la portata ed il carattere strutturale del cambiamento. Il nuovo mondo ci costringe a mettere in discussione convinzioni consolidate, assiomi economici e politici che ritenevamo essere schemi interpretativi della realtà. Si tratta di una sfida stimolante che è necessario cogliere con tutta l’umiltà e l’entusiasmo di cui siamo capaci.
In un mercato globale dove si affermano nuovi giganti è naturale che ci si interroghi con preoccupazione su quale potrà essere il ruolo del nostro paese. Eppure, proprio nella globalizzazione possiamo trovare la chiave del nostro rilancio. In un’economia dominata dalla conoscenza, dalla cultura, dalla qualità e dalle emozioni, l’Italia ha grandi opportunità di affermarsi e di esportare, prodotti e stili di vita. La nostra ricchezza storica, il nostro gusto, la nostra creatività possono trasformarsi in aziende capaci di offrire esperienze per i consumatori evoluti di tutti i paesi. Dobbiamo puntare sull’internazionalizzazione come requisito fondamentale, non solo per le grandi aziende ma anche per le medie, di nicchia ma globali. Per far questo è necessario un cambiamento di mentalità ed un rinnovamento profondo, capace di innescare una rivoluzione culturale che deve essere alimentata a tutti i livelli possibili. È importante agire sul piano della formazione, degli incentivi da parte della politica, del supporto e della guida da parte delle banche.
È necessario metabolizzare che si passerà dai distretti nazionali a quelli globali. Nessuno dovrà sorprendersi se i prodotti ed i servizi che ogni consumatore sceglierà saranno il risultato di una concorrenza che si svolgerà su scala globale. Dovremo accettare, come è inevitabile, che interi settori produttivi scompaiano dal nostro paese perché altri potranno nascere. L’amara sorpresa verrà se l’Italia non sarà capace di approfittare delle immense opportunità di mercato che gli si prospettano.
In tale scenario, è difficile comprendere le spinte federaliste ed il contributo che potrebbero portare alla nostra competitività. Tuttavia, è possibile tentare un’interpretazione che giustifichi la scelta con l’obiettivo di realizzare un’Europa delle regioni, passando per la riduzione dei poteri degli stati nazionali. Rimane il problema del sentimento antieuropeo, fomentato da alcuni movimenti federalisti, che rischia di diffondersi e di compromettere il processo di integrazione. Senza indugio la salvezza della nostra economia è in Europa, per cominciare. Non possiamo immaginare aziende che siano solo italiane fronteggiare i colossi internazionali.
Detto questo, il rischio è di sacrificare le eccellenti basi culturali, l’inventiva, il fascino che il nostro paese ha e che può esportare, per colpa di un pugno di uomini incapaci di ragionare nel nuovo mondo e disposti a difendere le loro piccole poltrone, di interessi e di convinzioni.
L’invito è per un patto, basato sulle priorità per l’innovazione e su un metodo capace di superare le differenze, pur legittime, perché il nostro è tempo di seri ed urgenti provvedimenti, che richiedono l’impegno delle migliori risorse intellettuali, di ogni parte e di ogni livello del potere.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.