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Dal Signor No al Signor Sviluppo

“Ora però bisogna cambiare passo”

Senza l’avvio delle riforme di struttura e un forte impulso alla domanda si rimane chiusi nel “non fare”

di Angelo De Mattia - 26 novembre 2009

“Ora però bisogna cambiare passo…Sciogliere le vele, far ripartire i motori”. “Passare dal rigore conservativo al rigore selettivo”. “ Invece il Ministro Tremonti esercita un potere di veto sulle iniziative di tutti i ministri. Un blocco cieco, cupo, conservatore, indistinto. Incapace di distinguere, ad esempio, tra i Comuni indebitati e i Comuni virtuosi…”.

Sono alcune delle espressioni adottate dal Ministro Renato Brunetta nell’intervista di domenica al Corriere della Sera. Proprio così, ex ore suo.
Poi il Ministro ha precisato, senza per nulla modificare la sostanza di ciò che ha detto, che Tremonti ha fatto benissimo il Signor No durante la crisi. Ora deve cambiare ruolo e fare il Signor Sviluppo. Non è una baruffa chiozzotta. Che il portavoce Bonaiuti abbia dichiarato che quella del Ministro dell’economia è la linea di tutto il Governo risolve un incombente problema di “copertura” o, se si vuole, di almeno formale coesione dell’Esecutivo, prevenendo un possibile dilagare di prese di posizioni, da parte dei colleghi della maggioranza concordanti o no con Brunetta, ma elude, con un richiamo all’ordine, il merito dei più che fondati problemi sollevati con una non comune asprezza dal Titolare dell’amministrazione pubblica.

Più volte, è stato sottolineato che il rigore della politica economica, di questo passo, sarebbe sfociato nel “rigor mortis” e che il passivo temporeggiare, a differenza di quello famosissimo che “restituit rem “, avrebbe aggravato le condizioni dell’economia in declino da oltre un decennio; soprattutto, avrebbe reso più accidentata l’uscita dalla crisi. Non che la messa in sicurezza dei conti pubblici, sbandierata fino alla noia come sola risposta al “che fare”, sia da non perseguire. Tutt’altro. Sono, invece, le modalità con le quali lo si è fatto e lo si fa tuttora che non sono condivisibili: senza agire contemporaneamente con l’avvio delle riforme di struttura e con un forte impulso alla domanda, per dare, con questa azione congiunta, sostanza al rigore dei conti pubblici. Che, per di più, viste le stime recenti, non è stata, poi, così efficace. Sta qui una differenziazione rispetto alle tesi di Brunetta.

Il passo, claudicante, che oggi non riesce a diventare quello di una gazzella, è la conseguenza del modo in cui si è affrontata la crisi. Sono il non fare, il bloccare tutto, il chiudere i boccaporti dei mesi della tempesta perfetta, come Brunetta sottolinea, che ora infirmano anche la fase della fuoriuscita, mentre la Bce si accinge a promuovere la progressiva riduzione delle misure monetarie non convenzionali e giustamente ci si chiede, a livello globale, se la fine della caduta libera e i segnali di ripresa siano frutto o no dei perduranti sostegni degli Stati, donde le difficoltà della progettazione di una valida politica di exit-strategy.

Lo stesso Istituto di Francoforte ha sottolineato che l’azione dei governi dovrà essere mirata soprattutto all’occupazione, insieme con il controllo della finanza pubblica. E ciò, si può dire, non è più fattibile con una inoperosa attesa di chissà quale evento risolutore. Ma tant’é. Forse é inutile disquisire sul latte versato, tanto più perché Brunetta – che nella confrontation con Tremonti ha anche il vantaggio di una non comune padronanza dell’analisi economica – propone una modernizzazione intelligente, fatta di investimenti, di green economy, di piani per il mezzogiorno, di riforme, anche se si limita alla scuola e alla giustizia, menzionando solo indirettamente quelle più tipicamente di struttura.

Non è , dunque, il malumore dei singoli ministri che si vedono respinte le loro richieste quel che conta primariamente, anche perché, se di questo solo si trattasse, il rigorismo conservatore avrebbe buon gioco nel vade retro contro il partito della spesa facile. E’ la mancanza di un programma organico che emerge chiaramente non dai critici dell’azione del Governo, ma dalle per ora insoddisfatte esigenze articolatamente rappresentate da Brunetta, e non certo attenuate da interventi che egli sostiene appartenere ormai al passato, come la social card, i Tremonti bond, il progetto della Banca del Sud, il grattaevinci antievasione, etc., interventi sui quali ci sarebbe non poco da osservare criticamente.

Un programma che riguardi l’entrata e la spesa. Insomma, una reimpostazione della politica economica e di finanza pubblica all’altezza di questa fase non meno complessa della precedente, nella quale è cruciale il modo in cui si supera definitivamente la crisi.

Del resto, che significa concretamente la dichiarazione di Berlusconi, a chiusura, a suo tempo, del caso Tremonti, sulla necessità sia del rigore sia dello sviluppo? Tutto e niente? Sarebbe giusto che sulle tesi del Ministro Brunetta si aprisse un ampio dibattito, dentro e fuori il Parlamento. Anche l’opposizione tutta dovrebbe esserne consapevole, piuttosto che insistere, come fa una parte di essa, sulla sola evidenziazione dei litigi nella maggioranza.

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