Slitta di nuovo il seggio non permanente
Onu, quanto può contare l’Italia
Eurolandia il vero latitante da New York. Perché il problema si deve risolvere a Brusselsdi Paolo Bozzacchi e Antonio Picasso - 12 ottobre 2005
Slitta ancora la speranza italiana per un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Nella sessione dell’10 ottobre, sono stati eletti, infatti, Congo, Qatar, Slovacchia, Ghana e Perù. È da almeno cinque anni che il nostro Paese è impegnato a ritagliarsi un ruolo consono alla propria tradizione democratica. Ma i risultati sono assai scarsi. E ora il prossimo treno passerà solo nel 2007.
La più recente iniziativa italiana a New York è stata quella di partecipare alla costituzione del movimento Uniting for Consensus, firmata da Spagna, Canada, Argentina, Messico e Pakistan. Obiettivo principale la riforma in senso democratico del Consiglio di Sicurezza. Prolungando il mandato dei membri semi-permanenti e distribuendo i seggi per zone regionali. Tuttavia, il dibattito è talmente complesso che ancora non se ne discute nemmeno in via ufficiale.
In realtà, il grande assente al Palazzo di vetro resta l’Unione europea. Con i seggi permanenti ancora assegnati ai vincitori della seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina), l’organizzazione resta strutturata secondo un ordine mondiale vecchio di sessant’anni. E a Bruxelles, intanto, un accordo tra i 25 Stati membri, per proporre un seggio Ue, sembra ancora un’utopia. Soprattutto perché Gran Bretagna e Francia si guardano bene dal rinunciare alle rispettive posizioni di forza e insistono, quindi, sulla conservazione dello status quo.
Ma le Nazioni Unite rappresentano lo specchio di una politica estera europea in parte antiquata e in parte ancora da costruire. I singoli governi nazionali, infatti, non vogliono declinare il proprio potere in campo internazionale in favore di un’organizzazione, l’Ue appunto, che dovrebbe fare da portavoce a una collettività di cancellerie. Come dar loro torto? L’inconsistenza di una politica estera comunitaria fa parte delle tante difficoltà che Bruxelles sta attraversando; e dalle quali non sembra sappia come uscire.
La reazione italiana a questo vuoto è, allora, quasi ovvia. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, infatti, intervenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 15 settembre, aveva omesso completamente il tema europeo, parlando solo ed esclusivamente a nome dell’Italia. È pur vero, però, che, se il nostro Paese vanta una delle più solide tradizioni europeiste, il governo attuale ha espresso più volte la propria discontinuità in merito. L’interesse europeo svanisce, così, e con esso scendono le probabilità di far sentire anche la voce italiana. Tuttavia, è proprio l’Europa il campo in cui Roma dovrebbe battersi con maggior impegno. Per arrestare per virare, nel più breve tempo possibile, da quella deriva che ci sta portando a una progressiva marginalizzazione in campo internazionale. Tornare europeisti d’avanguardia è, più che necessario, obbligatorio.
La più recente iniziativa italiana a New York è stata quella di partecipare alla costituzione del movimento Uniting for Consensus, firmata da Spagna, Canada, Argentina, Messico e Pakistan. Obiettivo principale la riforma in senso democratico del Consiglio di Sicurezza. Prolungando il mandato dei membri semi-permanenti e distribuendo i seggi per zone regionali. Tuttavia, il dibattito è talmente complesso che ancora non se ne discute nemmeno in via ufficiale.
In realtà, il grande assente al Palazzo di vetro resta l’Unione europea. Con i seggi permanenti ancora assegnati ai vincitori della seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina), l’organizzazione resta strutturata secondo un ordine mondiale vecchio di sessant’anni. E a Bruxelles, intanto, un accordo tra i 25 Stati membri, per proporre un seggio Ue, sembra ancora un’utopia. Soprattutto perché Gran Bretagna e Francia si guardano bene dal rinunciare alle rispettive posizioni di forza e insistono, quindi, sulla conservazione dello status quo.
Ma le Nazioni Unite rappresentano lo specchio di una politica estera europea in parte antiquata e in parte ancora da costruire. I singoli governi nazionali, infatti, non vogliono declinare il proprio potere in campo internazionale in favore di un’organizzazione, l’Ue appunto, che dovrebbe fare da portavoce a una collettività di cancellerie. Come dar loro torto? L’inconsistenza di una politica estera comunitaria fa parte delle tante difficoltà che Bruxelles sta attraversando; e dalle quali non sembra sappia come uscire.
La reazione italiana a questo vuoto è, allora, quasi ovvia. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, infatti, intervenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 15 settembre, aveva omesso completamente il tema europeo, parlando solo ed esclusivamente a nome dell’Italia. È pur vero, però, che, se il nostro Paese vanta una delle più solide tradizioni europeiste, il governo attuale ha espresso più volte la propria discontinuità in merito. L’interesse europeo svanisce, così, e con esso scendono le probabilità di far sentire anche la voce italiana. Tuttavia, è proprio l’Europa il campo in cui Roma dovrebbe battersi con maggior impegno. Per arrestare per virare, nel più breve tempo possibile, da quella deriva che ci sta portando a una progressiva marginalizzazione in campo internazionale. Tornare europeisti d’avanguardia è, più che necessario, obbligatorio.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.