Questo è l'inizio di una nuova repubblica
Oltre il bipolarismo
Costruiamo un “dopo Berlusconi” dando vita ad un vero e proprio soggetto politicodi Enrico Cisnetto - 31 gennaio 2011
E’ difficile ragionare sulla nascita del “Polo per l’Italia”, che dovrebbe vedere anche formalmente la luce oggi a Todi, astraendosi da quanto sta accadendo nella politica italiana. Ieri l’amico Pezzotta parlava di “schifo”, sostenendo che le cose vanno chiamate con il loro nome e invocando reazioni conseguenti.
Sono d’accordo, a patto che sia abbia il coraggio e l’onestà intellettuale di chiamare “schifo” non solo quanto emerge dalle vicende personali di Berlusconi – che vanno giudicate non sotto il profilo morale, che non va mai confuso con il giudizio politico, ma sotto quello “comportamental-istituzionale”, perché certe condotte non sono compatibili con il ruolo che ricopre e le funzioni che deve svolgere – ma anche l’ennesima operazione giudiziario-mediatica cui ci tocca di assistere in un quadro che ancora una volta in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario è stata definito di “fallimento della giustizia”. E che non si esiti a chiamare “schifo” il fatto che Berlusconi all’ottavo anno di governo (gli abbuoniamo il 1994, perché è quello in cui offrì a Di Pietro i galloni di Guardasigilli) sia ancora lì a raccontarci tutti i difetti della magistratura senza aver mai fatto nulla per porci rimedio visto che della tanto evocata “grande riforma della giustizia” non si è mai vista neppure l’ombra.
Insomma, intendo dire che è impensabile che nasca non solo una nuova forza politica ma soprattutto una forza politica nuova sulla base della sola pulsione antiberlusconiana, come qualcuna delle componenti che sono riunite a Todi in certi momenti ha fatto pensare. E’ vero che lo stesso Pezzotta ha saggiamente ricordato che a Todi non nasce un nuovo partito per effetto della fusione di alcuni già esistenti, ma si crea invece un coordinamento parlamentare che ha il compito di interpretare al meglio il ruolo di opposizione in questa maledetta congiuntura. Ma sia al fine di realizzare nell’immediato l’obiettivo che ogni opposizione è logico si ponga, sia soprattutto per fare in modo che, nel tempo, l’aggregazione parlamentare diventi la giusta premessa per dar vita ad un vero e proprio soggetto politico, occorre partire con il piede giusto.
E allora, sia consentito a chi, come il sottoscritto, da oltre un decennio denuncia le contraddizioni del bipolarismo all’italiana e predica la necessità di passare al più presto alla Terza Repubblica, mettendo in guardia sull’inarrestabile declino del Paese – cioè, sia detto senza iattanza, ben prima di tutti i “terzisti” riuniti a Todi – di attrarre l’attenzione su alcuni pericoli che si scorgono lungo la strada della costruzione del “Polo per l’Italia”, e di indicare alcune scelte che paiono indispensabili. Il primo pericolo era quello di continuare ad autodefinirsi “terzo polo”. Lo indico al passato, perché per fortuna mi pare un po’ tutti abbiano colto la contraddizione insita in quella definizione: non si può denunciare il crollo dei due poli del nostro bipolarismo straccione e poi rivendicare per sé il ruolo di “terzo”.
La “terza forza” serviva quando serviva creare le condizioni per anticipare la fine della Seconda Repubblica, sulla base di un’analisi, risultata purtroppo più che fondata, che considerava certo il fallimento del bipolarismo e nefasto il suo protrarsi nel tempo. Qui, invece, c’è bisogno di costruire il “primo polo”, cioè un’aggregazione di moderati e di riformisti, laici non laicisti e cattolici non clericali, che erediti di fatto il voto e lo spazio politico che fu del centro-sinistra della Prima Repubblica.
E’ quello che nel linguaggio giornalistico e politico ormai corrente – e questo la dice lunga a proposito della fine di un’epoca – viene chiamato il “dopo Berlusconi”, che poi altro non è se non la necessità di individuare uomini, risorse e strategie per fare al più presto ciò che lo stesso Cavaliere fece nel 1994: raccogliere, senza continuità alcuna, l’eredità di chi aveva avuto il consenso fino a quel momento. Allora la catarsi fu Tangentopoli, oggi l’implosione del sistema berlusconiano che avviene subito dopo a quello, tuttora perdurante, che ha travolto la sinistra. Ma la condizione è la stessa: costruire un nuovo sistema politico.
Perché così come allora si passò da un regime politico basato sul sistema parlamentare e il proporzionale puro a qualcosa che ambiva confusamente ad essere altro (ne venne fuori, purtroppo, il fallimentare “bipolarismo all’italiana”), così oggi si deve passare da un maggioritario senza precedenti e senza uguali in Europa (chi prende un voto di più ha la maggioranza assoluta dei seggi) e ad un presidenzialismo strisciante di stampo populista, ad un sistema possibilmente più maturo.
Ecco, qui sta il primo dei tre nodi decisivi su cui si deve ragionare per costruire il “Polo per l’Italia”: definire preventivamente il sistema politico più adatto a fare della Terza Repubblica una svolta positiva nella vita del Paese. Visto da dove si viene, considerati gli errori che si sono commessi, la cosa più logica è adottare il sistema tedesco, e non solo per la legge elettorale ma anche per gli assetti istituzionali e le regole di funzionamento della democrazia. Altri potranno preferire l’esperienza francese, ma una cosa è certa: occorre che chi intende creare il nuovo polo scelga. E scelga in fretta e senza confusi compromessi.
Il secondo nodo da sciogliere riguarda invece la definizione della piattaforma programmatica su cui edificare la proposta politica. In molte circostanze ho detto la mia, e sarebbe ripetitivo tornarci. Ma senza un “progetto paese” non si va da nessuna parte. E oggi qualunque piano anti-declino degno di questo nome non può che avere come premessa la scelta – obbligata – di una fase (non breve) di convergenza delle forze politiche maggiormente rappresentative, da unire in una “grande coalizione” che affronti le grandi riforme strutturali che non si sono mai fatte. Ma di questo varrà la pena parlare non appena saranno più chiari i tempi e i modi delle esequie della Seconda Repubblica, e non appena sarà sgombrato il campo dalle macerie che questa guerra senza quartiere è destinata a lasciare.
Il terzo nodo, infine, riguarda la convivenza di laici e cattolici. Anche qui è nota la mia idea: le forze politiche destinate a creare il “Polo per l’Italia”, cui possono aggiungersi altri movimenti e associazioni, devono conservare la loro autonomia e con essa le radici identitarie (sperando che tutti i soci del club ce l’abbiano).
Ma nello stesso tempo devono dar vita ad un nuovo soggetto unitario, destinato a presentarsi alle elezioni, cementato esclusivamente dal programma di governo. Nel quale, per effetto di un “grande patto” metodologico, sono esclusi i temi etici, destinati ad essere contestualizzati solo in sede parlamentare, evitando che i governi li assumano come elementi del programma o li facciano oggetto di propri disegni e decreti legge. Saranno dunque i singoli esponenti politici, i singoli parlamentari a portare avanti le diverse tesi, ma non i partiti che si candidano alla guida del Paese, che devono avere come unico collante il programma di governo, da cui appunto le tematiche etiche sono escluse.
Spero proprio che a Todi si dicano parole chiare su tutte queste questioni. Perché altrimenti, a parte riscuotere il mio personale disinteresse, il “Polo per l’Italia” rischia di non convincere i milioni di italiani stanchi sia del “bunga bunga” sia delle sue strumentalizzazioni, di essere la giusta e tanto attesa alternativa.
Sono d’accordo, a patto che sia abbia il coraggio e l’onestà intellettuale di chiamare “schifo” non solo quanto emerge dalle vicende personali di Berlusconi – che vanno giudicate non sotto il profilo morale, che non va mai confuso con il giudizio politico, ma sotto quello “comportamental-istituzionale”, perché certe condotte non sono compatibili con il ruolo che ricopre e le funzioni che deve svolgere – ma anche l’ennesima operazione giudiziario-mediatica cui ci tocca di assistere in un quadro che ancora una volta in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario è stata definito di “fallimento della giustizia”. E che non si esiti a chiamare “schifo” il fatto che Berlusconi all’ottavo anno di governo (gli abbuoniamo il 1994, perché è quello in cui offrì a Di Pietro i galloni di Guardasigilli) sia ancora lì a raccontarci tutti i difetti della magistratura senza aver mai fatto nulla per porci rimedio visto che della tanto evocata “grande riforma della giustizia” non si è mai vista neppure l’ombra.
Insomma, intendo dire che è impensabile che nasca non solo una nuova forza politica ma soprattutto una forza politica nuova sulla base della sola pulsione antiberlusconiana, come qualcuna delle componenti che sono riunite a Todi in certi momenti ha fatto pensare. E’ vero che lo stesso Pezzotta ha saggiamente ricordato che a Todi non nasce un nuovo partito per effetto della fusione di alcuni già esistenti, ma si crea invece un coordinamento parlamentare che ha il compito di interpretare al meglio il ruolo di opposizione in questa maledetta congiuntura. Ma sia al fine di realizzare nell’immediato l’obiettivo che ogni opposizione è logico si ponga, sia soprattutto per fare in modo che, nel tempo, l’aggregazione parlamentare diventi la giusta premessa per dar vita ad un vero e proprio soggetto politico, occorre partire con il piede giusto.
E allora, sia consentito a chi, come il sottoscritto, da oltre un decennio denuncia le contraddizioni del bipolarismo all’italiana e predica la necessità di passare al più presto alla Terza Repubblica, mettendo in guardia sull’inarrestabile declino del Paese – cioè, sia detto senza iattanza, ben prima di tutti i “terzisti” riuniti a Todi – di attrarre l’attenzione su alcuni pericoli che si scorgono lungo la strada della costruzione del “Polo per l’Italia”, e di indicare alcune scelte che paiono indispensabili. Il primo pericolo era quello di continuare ad autodefinirsi “terzo polo”. Lo indico al passato, perché per fortuna mi pare un po’ tutti abbiano colto la contraddizione insita in quella definizione: non si può denunciare il crollo dei due poli del nostro bipolarismo straccione e poi rivendicare per sé il ruolo di “terzo”.
La “terza forza” serviva quando serviva creare le condizioni per anticipare la fine della Seconda Repubblica, sulla base di un’analisi, risultata purtroppo più che fondata, che considerava certo il fallimento del bipolarismo e nefasto il suo protrarsi nel tempo. Qui, invece, c’è bisogno di costruire il “primo polo”, cioè un’aggregazione di moderati e di riformisti, laici non laicisti e cattolici non clericali, che erediti di fatto il voto e lo spazio politico che fu del centro-sinistra della Prima Repubblica.
E’ quello che nel linguaggio giornalistico e politico ormai corrente – e questo la dice lunga a proposito della fine di un’epoca – viene chiamato il “dopo Berlusconi”, che poi altro non è se non la necessità di individuare uomini, risorse e strategie per fare al più presto ciò che lo stesso Cavaliere fece nel 1994: raccogliere, senza continuità alcuna, l’eredità di chi aveva avuto il consenso fino a quel momento. Allora la catarsi fu Tangentopoli, oggi l’implosione del sistema berlusconiano che avviene subito dopo a quello, tuttora perdurante, che ha travolto la sinistra. Ma la condizione è la stessa: costruire un nuovo sistema politico.
Perché così come allora si passò da un regime politico basato sul sistema parlamentare e il proporzionale puro a qualcosa che ambiva confusamente ad essere altro (ne venne fuori, purtroppo, il fallimentare “bipolarismo all’italiana”), così oggi si deve passare da un maggioritario senza precedenti e senza uguali in Europa (chi prende un voto di più ha la maggioranza assoluta dei seggi) e ad un presidenzialismo strisciante di stampo populista, ad un sistema possibilmente più maturo.
Ecco, qui sta il primo dei tre nodi decisivi su cui si deve ragionare per costruire il “Polo per l’Italia”: definire preventivamente il sistema politico più adatto a fare della Terza Repubblica una svolta positiva nella vita del Paese. Visto da dove si viene, considerati gli errori che si sono commessi, la cosa più logica è adottare il sistema tedesco, e non solo per la legge elettorale ma anche per gli assetti istituzionali e le regole di funzionamento della democrazia. Altri potranno preferire l’esperienza francese, ma una cosa è certa: occorre che chi intende creare il nuovo polo scelga. E scelga in fretta e senza confusi compromessi.
Il secondo nodo da sciogliere riguarda invece la definizione della piattaforma programmatica su cui edificare la proposta politica. In molte circostanze ho detto la mia, e sarebbe ripetitivo tornarci. Ma senza un “progetto paese” non si va da nessuna parte. E oggi qualunque piano anti-declino degno di questo nome non può che avere come premessa la scelta – obbligata – di una fase (non breve) di convergenza delle forze politiche maggiormente rappresentative, da unire in una “grande coalizione” che affronti le grandi riforme strutturali che non si sono mai fatte. Ma di questo varrà la pena parlare non appena saranno più chiari i tempi e i modi delle esequie della Seconda Repubblica, e non appena sarà sgombrato il campo dalle macerie che questa guerra senza quartiere è destinata a lasciare.
Il terzo nodo, infine, riguarda la convivenza di laici e cattolici. Anche qui è nota la mia idea: le forze politiche destinate a creare il “Polo per l’Italia”, cui possono aggiungersi altri movimenti e associazioni, devono conservare la loro autonomia e con essa le radici identitarie (sperando che tutti i soci del club ce l’abbiano).
Ma nello stesso tempo devono dar vita ad un nuovo soggetto unitario, destinato a presentarsi alle elezioni, cementato esclusivamente dal programma di governo. Nel quale, per effetto di un “grande patto” metodologico, sono esclusi i temi etici, destinati ad essere contestualizzati solo in sede parlamentare, evitando che i governi li assumano come elementi del programma o li facciano oggetto di propri disegni e decreti legge. Saranno dunque i singoli esponenti politici, i singoli parlamentari a portare avanti le diverse tesi, ma non i partiti che si candidano alla guida del Paese, che devono avere come unico collante il programma di governo, da cui appunto le tematiche etiche sono escluse.
Spero proprio che a Todi si dicano parole chiare su tutte queste questioni. Perché altrimenti, a parte riscuotere il mio personale disinteresse, il “Polo per l’Italia” rischia di non convincere i milioni di italiani stanchi sia del “bunga bunga” sia delle sue strumentalizzazioni, di essere la giusta e tanto attesa alternativa.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.