Le ambizioni e le scommesse di Barack
Obama, un anno dopo
Verso un nuovo modello di American Way of Lifedi Massimo Teodori - 08 gennaio 2010
Il 20 gennaio sarà un anno dall’ingresso di Barak Obama alla Casa Bianca e, con ogni probabilità, sarà passata, sia pure in versione ridotta, la riforma sanitaria, il più difficile obiettivo interno della nuova Amministrazione. E’ dunque tempo di interrogarsi su quel che realmente rappresenta il 44° Presidente degli Stati Uniti, la cui immagine tanto ha colpito l’opinione pubblica internazionale.
Analizzando i successi e gli insuccessi del primo anno, è oggi possibile tracciare un bilancio provvisorio che evidenzia già i tratti fondamentali della sua politica: il pragmatismo che ispira gli interventi all’interno e all’estero; la volontà di unire il Paese chiudendo le ferite aperte da decenni; e il tentativo di costruire un nuovo modello economico mentre viene affrontata una crisi senza precedenti nell’ultimo cinquantennio.
Intervenendo sulla recessione economica, Obama si è lasciato alle spalle sia le ricette conservatrici che quelle liberal, ragione per cui è stato criticato da destra e da sinistra: e dello stesso spirito pragmatico ha improntato la composizione degli organismi presidenziali a cominciare dal suo gabinetto. Anche in politica estera il Presidente, mantenendo l’equilibrio tra falchi e colombe, per un verso ha teso la mano ai nemici dell’America, considerati dal suo predecessore parte del cosiddetto “Asse del Male” e, per un altro, ha riaffermato la volontà di combattere il terrorismo inviando altri trentamila militari in Afghanistan.
Secondo Obama, la società americana ha sofferto di ferite mai del tutto rimarginate fin dalla profonda frattura culturale degli anni Sessanta. Alle elezioni del 2008, tuttavia, sul voto democratico sono confluiti molti elettori tradizionalmente schierati su sponde opposte: settori importanti della classe media bianca, ansiosa di superare la crisi economica, la gran maggioranza dei neri che si è lasciata alle spalle l’ostilità verso i bianchi e i propositi di rivolta e, soprattutto, la nuova numerosa minoranza etnica ispanica che persegue l’integrazione dell’American Dream.
Questi cambiamenti di fondo, verificatisi all’ombra del nuovo Presidente, sono descritti da Maurizio Molinari ne Il paese di Obama, con una narrazione che rifugge dai vezzi teorici, e tratta realisticamente i fatti e i personaggi chiave che hanno delineato il percorso di successo del giovane organizzatore della comunità interrazziale di Hyde Park a Chicago fino a Washington. Per il corrispondete della “Stampa” dagli Stati Uniti, la scommessa di fondo di Obama consiste nel guidare gli americani verso un nuovo modello di American Way of Life, riducendo le escrescenze che l’hanno fin qui caratterizzato specialmente nell’istruzione, nella sanità, nell’energia e nell’ambiente.
Certo, l’ambizione presidenziale non è di poco conto perché, partendo dalla scena interna travagliata da antagonismi di ogni genere - bianchi contro neri, poveri contro ricchi, fondamentalisti religiosi contro liberal progressisti - si proietta sul mondo intero con l’obiettivo di superare i conflitti e trovare l’unità. Per questo gli Stati Uniti non dovranno più pretendere di svolgere da soli quella missione civilizzatrice nel mondo che fin dalla nascita è stata l’ambizione di chi ha interpretato malamente il cosiddetto “eccezionalismo americano”.
Riuscirà Obama nel suo obiettivo? E a che punto è con il suo progetto? La risposta resta sospesa: qualche passo avanti è stato fatto, ma l’unità del Paese e la pacificazione internazionale sono ancora di là da venire. Per Molinari “la sua scommessa politica può essere vinta solo se verrà condivisa da coloro a cui, all’interno e all’estero, tende la mano… Il vero pericolo per Obama è restare solo, apprezzato ma isolato”.
Maurizio Molinari, Il Paese di Obama. Come è cambiata l’America, Laterza.
Analizzando i successi e gli insuccessi del primo anno, è oggi possibile tracciare un bilancio provvisorio che evidenzia già i tratti fondamentali della sua politica: il pragmatismo che ispira gli interventi all’interno e all’estero; la volontà di unire il Paese chiudendo le ferite aperte da decenni; e il tentativo di costruire un nuovo modello economico mentre viene affrontata una crisi senza precedenti nell’ultimo cinquantennio.
Intervenendo sulla recessione economica, Obama si è lasciato alle spalle sia le ricette conservatrici che quelle liberal, ragione per cui è stato criticato da destra e da sinistra: e dello stesso spirito pragmatico ha improntato la composizione degli organismi presidenziali a cominciare dal suo gabinetto. Anche in politica estera il Presidente, mantenendo l’equilibrio tra falchi e colombe, per un verso ha teso la mano ai nemici dell’America, considerati dal suo predecessore parte del cosiddetto “Asse del Male” e, per un altro, ha riaffermato la volontà di combattere il terrorismo inviando altri trentamila militari in Afghanistan.
Secondo Obama, la società americana ha sofferto di ferite mai del tutto rimarginate fin dalla profonda frattura culturale degli anni Sessanta. Alle elezioni del 2008, tuttavia, sul voto democratico sono confluiti molti elettori tradizionalmente schierati su sponde opposte: settori importanti della classe media bianca, ansiosa di superare la crisi economica, la gran maggioranza dei neri che si è lasciata alle spalle l’ostilità verso i bianchi e i propositi di rivolta e, soprattutto, la nuova numerosa minoranza etnica ispanica che persegue l’integrazione dell’American Dream.
Questi cambiamenti di fondo, verificatisi all’ombra del nuovo Presidente, sono descritti da Maurizio Molinari ne Il paese di Obama, con una narrazione che rifugge dai vezzi teorici, e tratta realisticamente i fatti e i personaggi chiave che hanno delineato il percorso di successo del giovane organizzatore della comunità interrazziale di Hyde Park a Chicago fino a Washington. Per il corrispondete della “Stampa” dagli Stati Uniti, la scommessa di fondo di Obama consiste nel guidare gli americani verso un nuovo modello di American Way of Life, riducendo le escrescenze che l’hanno fin qui caratterizzato specialmente nell’istruzione, nella sanità, nell’energia e nell’ambiente.
Certo, l’ambizione presidenziale non è di poco conto perché, partendo dalla scena interna travagliata da antagonismi di ogni genere - bianchi contro neri, poveri contro ricchi, fondamentalisti religiosi contro liberal progressisti - si proietta sul mondo intero con l’obiettivo di superare i conflitti e trovare l’unità. Per questo gli Stati Uniti non dovranno più pretendere di svolgere da soli quella missione civilizzatrice nel mondo che fin dalla nascita è stata l’ambizione di chi ha interpretato malamente il cosiddetto “eccezionalismo americano”.
Riuscirà Obama nel suo obiettivo? E a che punto è con il suo progetto? La risposta resta sospesa: qualche passo avanti è stato fatto, ma l’unità del Paese e la pacificazione internazionale sono ancora di là da venire. Per Molinari “la sua scommessa politica può essere vinta solo se verrà condivisa da coloro a cui, all’interno e all’estero, tende la mano… Il vero pericolo per Obama è restare solo, apprezzato ma isolato”.
Maurizio Molinari, Il Paese di Obama. Come è cambiata l’America, Laterza.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.