Lo scontro sulla giustizia è solo un pretesto
“O con me o contro di me”
Elezioni anticipate. Ecco il vero obiettivo del Cav.di Enrico Cisnetto - 16 novembre 2009
Elezioni anticipate. E’ questo il vero obiettivo di Silvio Berlusconi. Ed è stato questo argomento, mai nominato, il “convitato di pietra” del faccia a faccia tra il premier e Gianfranco Fini, formalmente dedicato al tema dei provvedimenti da prendere in materia di giustizia. D’altra parte, basta prendere i resoconti del Giornale dedicati a quell’incontro per capirne la vera cifra, naturalmente dal punto di vista del Cavaliere: evidenziare, intestandogliene la responsabilità, i contrasti con il presidente della Camera e cofondatore del Pdl, per poi dedurne che gli assetti di governo non reggono e che occorre andare alle urne.
Ovviamente, abbinando le politiche alle prossime regionali e facendo di esse una sorta di referendum pro o contro il premier, cui ancora una volta “il teatrino della politica ha impedito di governare” – sento già l’eco delle parole di Berlusconi in tv e sui “predellini” nelle piazze – e che dunque va rieletto dandogli in parlamento una maggioranza assoluta tutta sua in modo da “poter finalmente trasformare in senso presidenziale questa ingovernabile repubblica”. Per questo, sono convinto, qualunque risposta gli avesse dato Fini, Berlusconi avrebbe sicuramente spostato in avanti le aspettative: mi dici di sì al “processo breve” – cosa che effettivamente c’è stata, seppure a precise condizioni – e altrettanto alla “prescrizione breve” (così non è stato)? E io ti chiedo anche la reintroduzione dell’immunità parlamentare. Mi dici ancora di sì? E io ti chiedo un’altra cosa, e così via, fino o a farti rompere con il capo dello Stato e con quella parte dell’opinione pubblica che ha fin qui giudicato positivamente la tua prudenza politica e il tuo equilibrio istituzionale.
Insomma, un bel trappolone. Cui Fini ha cercato di sottrarsi, per quanto possibile. Ma che, ho l’impressione, gli verrà riproposto a breve. Per questo non hanno molto senso i tentativi che giornali e politici hanno fatto in queste ore di interpretare il vertice di martedì scorso esclusivamente in chiave giustizia, e dunque di misurare lo stato dei rapporti tra Berlusconi e Fini – si è andati dalla frattura ricomposta alla definitiva scissione – solo sulla base dell’adesione del secondo ai desiderata del primo in materia di processi penali. Sia chiaro, non è che il sistema giudiziario così com’è funzioni, e intervenire sarebbe sacrosanto.
Anzi, una delle colpe più gravi che si possono imputare a Berlusconi e al centro-destra è proprio di non essere stati capaci negli ormai lunghi anni di governo di realizzare una riforma organica, ordinamentale, della giustizia. I processi, per esempio, durano un tempo infinito. Ma decidere che la sentenza definitiva deve arrivare entro 6 anni, tralasciando di sanare le cause endogene che hanno portato a prolungare all’infinito i processi, finirebbe col moltiplicare i processi che andrebbero incontro a prescrizione e, di conseguenza, si avrebbe una giustizia ancora meno “giusta”. E poi, perché isolare ancora una volta un singolo provvedimento, evitando di affrontare tutti gli altri da tempo immemorabile sul tappeto, a cominciare dalla tanto evocata ma mai realizzata separazione delle carriere dei magistrati?
La verità è che Berlusconi, che naturalmente ha a cuore provvedimenti che lo mettano al riparo dai processi che incombono su di lui, intende portare a casa sia questo risultato sia quello politico delle elezioni anticipate. Leggete le cronache del consiglio dei ministri di giovedì – in cui si descrive un premier totalmente assente, estraneo perfino alle litigate clamorose di Tremonti con alcuni suoi colleghi – e capirete come al Cavaliere ora importi soltanto sottrarsi alla graticola su cui da mesi è seduto, tra sputtanamenti personal-famigliari e problemi politici, evidenziati sia dalla confusione che regna nel Pdl, sia dalla litigiosità nel governo (a proposito, non era il governo più coeso della storia della repubblica che ci mette mezzora per varare la Finanziaria?), sia infine dalle crescenti divergenze nella maggioranza per le continue sortite della Lega.
E togliersi da quella maledetta graticola, per Berlusconi significa – sondaggi alla mano – incassare un plebiscito e poi cambiare la Costituzione, perseguendo quel “presidenzialismo alla Putin” che gli è tanto caro. Che cosa di preciso abbia in testa non è dato sapere, forse lui stesso naviga a vista. Ma non ci vogliono particolare capacità divinatorie per capire che sente il bisogno di togliersi dai piedi Fini, di ridimensionare Tremonti, di sottrarsi allo scacco della Lega e di avere più poteri (quindi più potere) ma nello steso tempo sbolognando a qualcun altro le pesanti deleghe operative che la presidenza del Consiglio comporta, perché dopo 15 anni passati in prima linea la voglia di accomodarsi sulla più comoda poltrona del Quirinale è sempre più forte.
E le elezioni politiche abbinate alle regionali, a marzo, sono il grimaldello che lui pensa possa consentirgli di ottenere tutti questi obiettivi. Ma tornare alle urne con chi, viste le sue crescenti idiosincrasie? Le possibilità sono due. O da solo, liberando il Pdl da Fini e dai finiani – così come fece con Casini nel 2006 – e tentando di fare banco grazie al premio di maggioranza che l’attuale legge elettorale assegna a chi prende un voto più degli altri. O, per non correre rischi, ancora in compagnia della Lega, ma con un rinnovato “patto di ferro” con Bossi.
Ce la può fare? Beh, intanto lo scioglimento anticipato della legislatura è una via difficile da percorrere. Se, infatti, egli decidesse di passare all’azione, dovrebbe ottenere la “sfiducia” da parte delle Camere, evento così raro da essere capitato solo una volta (Fanfani), mentre dando le dimissioni correrebbe il rischio che Napolitano desse il mandato a qualcun altro.
Ma, in tutti i casi, molto dipende dagli altri attori della scena politica. Prima di tutto da Fini, che da uomo politico navigato sa bene che deve evitare ad ogni costo le elezioni anticipate, perché lo costringerebbero in un angolo – dovrebbe scegliere se restare nel Pdl, annullato politicamente, o farsi un partito suo – oltre al fatto che sarebbero una iattura per il Paese.
Vanno lette in questo modo le dichiarazioni distensive del Presidente della Camera al termine dell’incontro con Berlusconi, quando ha sostenuto che il confronto aveva portato alla definizione di alcuni punti d’incontro sul tema della giustizia. Ma se siamo arrivati al “o con me o contro di me” del premier, anche tutti gli altri protagonisti, dall’Udc al nascente movimento di Rutelli, devono decidere il da farsi. E la partita è di qui a Natale. Quaranta giorni in cui tutti si giocano tutto. Italiani compresi.
Ovviamente, abbinando le politiche alle prossime regionali e facendo di esse una sorta di referendum pro o contro il premier, cui ancora una volta “il teatrino della politica ha impedito di governare” – sento già l’eco delle parole di Berlusconi in tv e sui “predellini” nelle piazze – e che dunque va rieletto dandogli in parlamento una maggioranza assoluta tutta sua in modo da “poter finalmente trasformare in senso presidenziale questa ingovernabile repubblica”. Per questo, sono convinto, qualunque risposta gli avesse dato Fini, Berlusconi avrebbe sicuramente spostato in avanti le aspettative: mi dici di sì al “processo breve” – cosa che effettivamente c’è stata, seppure a precise condizioni – e altrettanto alla “prescrizione breve” (così non è stato)? E io ti chiedo anche la reintroduzione dell’immunità parlamentare. Mi dici ancora di sì? E io ti chiedo un’altra cosa, e così via, fino o a farti rompere con il capo dello Stato e con quella parte dell’opinione pubblica che ha fin qui giudicato positivamente la tua prudenza politica e il tuo equilibrio istituzionale.
Insomma, un bel trappolone. Cui Fini ha cercato di sottrarsi, per quanto possibile. Ma che, ho l’impressione, gli verrà riproposto a breve. Per questo non hanno molto senso i tentativi che giornali e politici hanno fatto in queste ore di interpretare il vertice di martedì scorso esclusivamente in chiave giustizia, e dunque di misurare lo stato dei rapporti tra Berlusconi e Fini – si è andati dalla frattura ricomposta alla definitiva scissione – solo sulla base dell’adesione del secondo ai desiderata del primo in materia di processi penali. Sia chiaro, non è che il sistema giudiziario così com’è funzioni, e intervenire sarebbe sacrosanto.
Anzi, una delle colpe più gravi che si possono imputare a Berlusconi e al centro-destra è proprio di non essere stati capaci negli ormai lunghi anni di governo di realizzare una riforma organica, ordinamentale, della giustizia. I processi, per esempio, durano un tempo infinito. Ma decidere che la sentenza definitiva deve arrivare entro 6 anni, tralasciando di sanare le cause endogene che hanno portato a prolungare all’infinito i processi, finirebbe col moltiplicare i processi che andrebbero incontro a prescrizione e, di conseguenza, si avrebbe una giustizia ancora meno “giusta”. E poi, perché isolare ancora una volta un singolo provvedimento, evitando di affrontare tutti gli altri da tempo immemorabile sul tappeto, a cominciare dalla tanto evocata ma mai realizzata separazione delle carriere dei magistrati?
La verità è che Berlusconi, che naturalmente ha a cuore provvedimenti che lo mettano al riparo dai processi che incombono su di lui, intende portare a casa sia questo risultato sia quello politico delle elezioni anticipate. Leggete le cronache del consiglio dei ministri di giovedì – in cui si descrive un premier totalmente assente, estraneo perfino alle litigate clamorose di Tremonti con alcuni suoi colleghi – e capirete come al Cavaliere ora importi soltanto sottrarsi alla graticola su cui da mesi è seduto, tra sputtanamenti personal-famigliari e problemi politici, evidenziati sia dalla confusione che regna nel Pdl, sia dalla litigiosità nel governo (a proposito, non era il governo più coeso della storia della repubblica che ci mette mezzora per varare la Finanziaria?), sia infine dalle crescenti divergenze nella maggioranza per le continue sortite della Lega.
E togliersi da quella maledetta graticola, per Berlusconi significa – sondaggi alla mano – incassare un plebiscito e poi cambiare la Costituzione, perseguendo quel “presidenzialismo alla Putin” che gli è tanto caro. Che cosa di preciso abbia in testa non è dato sapere, forse lui stesso naviga a vista. Ma non ci vogliono particolare capacità divinatorie per capire che sente il bisogno di togliersi dai piedi Fini, di ridimensionare Tremonti, di sottrarsi allo scacco della Lega e di avere più poteri (quindi più potere) ma nello steso tempo sbolognando a qualcun altro le pesanti deleghe operative che la presidenza del Consiglio comporta, perché dopo 15 anni passati in prima linea la voglia di accomodarsi sulla più comoda poltrona del Quirinale è sempre più forte.
E le elezioni politiche abbinate alle regionali, a marzo, sono il grimaldello che lui pensa possa consentirgli di ottenere tutti questi obiettivi. Ma tornare alle urne con chi, viste le sue crescenti idiosincrasie? Le possibilità sono due. O da solo, liberando il Pdl da Fini e dai finiani – così come fece con Casini nel 2006 – e tentando di fare banco grazie al premio di maggioranza che l’attuale legge elettorale assegna a chi prende un voto più degli altri. O, per non correre rischi, ancora in compagnia della Lega, ma con un rinnovato “patto di ferro” con Bossi.
Ce la può fare? Beh, intanto lo scioglimento anticipato della legislatura è una via difficile da percorrere. Se, infatti, egli decidesse di passare all’azione, dovrebbe ottenere la “sfiducia” da parte delle Camere, evento così raro da essere capitato solo una volta (Fanfani), mentre dando le dimissioni correrebbe il rischio che Napolitano desse il mandato a qualcun altro.
Ma, in tutti i casi, molto dipende dagli altri attori della scena politica. Prima di tutto da Fini, che da uomo politico navigato sa bene che deve evitare ad ogni costo le elezioni anticipate, perché lo costringerebbero in un angolo – dovrebbe scegliere se restare nel Pdl, annullato politicamente, o farsi un partito suo – oltre al fatto che sarebbero una iattura per il Paese.
Vanno lette in questo modo le dichiarazioni distensive del Presidente della Camera al termine dell’incontro con Berlusconi, quando ha sostenuto che il confronto aveva portato alla definizione di alcuni punti d’incontro sul tema della giustizia. Ma se siamo arrivati al “o con me o contro di me” del premier, anche tutti gli altri protagonisti, dall’Udc al nascente movimento di Rutelli, devono decidere il da farsi. E la partita è di qui a Natale. Quaranta giorni in cui tutti si giocano tutto. Italiani compresi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.