Oltre la destra e la sinistra, ma come?
Noi, la Francia e la “ricetta Sarkozy”
Il candidato più gettonato delle prossime presidenziali francesi delinea il suo programmadi Elio Di Caprio - 06 febbraio 2007
A quasi quarant’anni dall’"immaginazione al potere" del maggio parigino, il personaggio emergente nella prossima corsa alle presidenziali in Francia è l’oriundo franco-ungherese Nicholas Sarkozy, ora Ministro dell’Interno, che si opporrà alla candidata socialista Segolene Royal. Di lui si analizzano comportamenti e dichiarazioni per capirne i modelli di riferimento rispetto al centro destra di cui fa parte.
L’immaginario del ‘68 voleva mandare al potere libertà ed eguaglianza insieme, ma senza dittatura. Compito piuttosto difficile. E’ poi seguita la “restaurazione” del periodo gaullista. Ha vinto lì la grigia normalizzazione del presidenzialismo alla francese, ma almeno lo Stato ha sempre funzionato, per lunghi decenni è stata possibile un’alternanza senza traumi tra destra e sinistra in nome di valori sostanzialmente condivisi. Niente a che fare con la nostra gracile e confusa alternanza, elettorale più che politica, recentemente acquisita e già in via di logoramento.
Eppure entrambi i Paesi, noi e la Francia, con sistemi e percorsi tanto diversi, mostriamo ora analoghi segni di incertezza sui valori da proteggere e di inquietudine per le novità. La rivolta delle banlieus parigine è stata il primo segnale, ha dimostrato come sia lungo il percorso dell’integrazione degli immigrati di cui tutte le società opulente, la nostra compresa, hanno crescente bisogno. E’ come se non fossimo capaci di misurarci con i cambiamenti globali in corso, siamo alla confusa ricerca di nuove coordinate di riferimento per governare le difficoltà comuni. Secondo Sarkozi – almeno in base alle anticipazioni di un saggio di Massimo Nava, corrispondente in Francia del Corriere della sera – le vecchie ideologie sono morte, ma bisogna trovare o ritrovare un cammino condiviso. Il suo pensiero è che “autorità e libertà, fermezza e generosità, solidarietà e competitività sono valori che coabitano in ciascuno di noi e cercano una sintesi politica moderna. In questo spirito l’elettore del Fronte Nazionale o l’elettore comunista non appartengono a nessuno...” Sembrerebbe un’intelligente premessa per andare oltre, non oltre il socialismo come vorrebbe il nostro Massimo D’Alema ancora condizionato dall’ideologia di appartenenza, ma oltre i luoghi comuni di cui tutti siamo partecipi come eredi di vecchi schemi mentali, di riflessi condizionati che ancora permangono.
I nostri cugini d’oltralpe non sono e non si sono mai sentiti sovraccaricati dal peso delle istanze ideologiche, spesso ne hanno schivato elegantemente il fascino, non si sono mai arresi al “politically correct” del momento. Per questo possono permettersi il lusso apparente di giocare con le parole e con se stessi: un uomo di destra come Sarkozy può mandare al macero i vecchi concetti di sinistra e di destra, un intellettuale di sinistra come Glucksmann crede nella novità del personaggio Sarkozy. Tutto ciò corrisponde alla mentalità cartesiana e disincantata dei francesi, sempre pronti ad anticipare i cambiamenti. I machiavellici italiani invece preferiscono le brusche virate da miti e da riti conformisticamente condivisi – è successo nella nostra storia recente con fascismo, comunismo e persino con la contestazione del ‘68 – al pentimento e alle prese di distanza dettati da un cinico ritorno alla propria dimensione personale e familiare.
Per Sarkozy non esiste un popolo di destra o un popolo di sinistra, ma c’è il popolo francese. Lo Stato, secondo la sua concezione, ha ancora un’importanza fondamentale per produrre il cambiamento e il cambiamento non è fine a se stesso, ma deve avere come obiettivo la giustizia e l’equità. Né l’Europa, né la decentralizzazione, né il libero mercato potranno sostituire lo Stato, dice Sarkozy. Sono frasi e concetti lontani mille miglia dal nostro corrente modo di pensare e proprio per questo fanno più impressione. Sembrano innalzare su un piedistallo lo Stato quando tutti dicono che dello Stato se ne può fare tranquillamente a meno, parlano di un patriottismo del popolo francese non come questione di nascita, ma come riconoscenza della cultura e della storia del proprio Paese. E noi invece, pur alle prese con cambiamenti epocali, discutiamo e ci dividiamo persino sull’esistenza di un “popolo lumbard” che accampa diritti tutti suoi....
Vedremo se i francesi accetteranno questa destra di valori che vuole rivitalizzare una Francia che appare spenta e incerta o si divideranno secondo i vecchi canoni ideologici. Chi anticipa svolte o indica nuovi obbiettivi, come Sarkozy, deve poi fare i conti con la realtà del seguito che riesce a cogliere dietro di sé. Ma almeno - e questo è il caso della Francia da cui potremmo imparare qualcosa - lì la classe politica più avvertita sente che c’è bisogno di nuove chiarezze, di modelli certi su cui ha il coraggio di chiedere il consenso degli elettori. Di Sarkozi e anti-Sarkozy da noi non se ne intravvedono proprio. Dobbiamo accontentarci di Prodi e Berlusconi. Preferiamo dividerci su slogans, invettive personalistiche, brogli elettorali, tattiche o rivincite strumentali, invece di accettare le sfide del cambiamento.
Eppure entrambi i Paesi, noi e la Francia, con sistemi e percorsi tanto diversi, mostriamo ora analoghi segni di incertezza sui valori da proteggere e di inquietudine per le novità. La rivolta delle banlieus parigine è stata il primo segnale, ha dimostrato come sia lungo il percorso dell’integrazione degli immigrati di cui tutte le società opulente, la nostra compresa, hanno crescente bisogno. E’ come se non fossimo capaci di misurarci con i cambiamenti globali in corso, siamo alla confusa ricerca di nuove coordinate di riferimento per governare le difficoltà comuni. Secondo Sarkozi – almeno in base alle anticipazioni di un saggio di Massimo Nava, corrispondente in Francia del Corriere della sera – le vecchie ideologie sono morte, ma bisogna trovare o ritrovare un cammino condiviso. Il suo pensiero è che “autorità e libertà, fermezza e generosità, solidarietà e competitività sono valori che coabitano in ciascuno di noi e cercano una sintesi politica moderna. In questo spirito l’elettore del Fronte Nazionale o l’elettore comunista non appartengono a nessuno...” Sembrerebbe un’intelligente premessa per andare oltre, non oltre il socialismo come vorrebbe il nostro Massimo D’Alema ancora condizionato dall’ideologia di appartenenza, ma oltre i luoghi comuni di cui tutti siamo partecipi come eredi di vecchi schemi mentali, di riflessi condizionati che ancora permangono.
I nostri cugini d’oltralpe non sono e non si sono mai sentiti sovraccaricati dal peso delle istanze ideologiche, spesso ne hanno schivato elegantemente il fascino, non si sono mai arresi al “politically correct” del momento. Per questo possono permettersi il lusso apparente di giocare con le parole e con se stessi: un uomo di destra come Sarkozy può mandare al macero i vecchi concetti di sinistra e di destra, un intellettuale di sinistra come Glucksmann crede nella novità del personaggio Sarkozy. Tutto ciò corrisponde alla mentalità cartesiana e disincantata dei francesi, sempre pronti ad anticipare i cambiamenti. I machiavellici italiani invece preferiscono le brusche virate da miti e da riti conformisticamente condivisi – è successo nella nostra storia recente con fascismo, comunismo e persino con la contestazione del ‘68 – al pentimento e alle prese di distanza dettati da un cinico ritorno alla propria dimensione personale e familiare.
Per Sarkozy non esiste un popolo di destra o un popolo di sinistra, ma c’è il popolo francese. Lo Stato, secondo la sua concezione, ha ancora un’importanza fondamentale per produrre il cambiamento e il cambiamento non è fine a se stesso, ma deve avere come obiettivo la giustizia e l’equità. Né l’Europa, né la decentralizzazione, né il libero mercato potranno sostituire lo Stato, dice Sarkozy. Sono frasi e concetti lontani mille miglia dal nostro corrente modo di pensare e proprio per questo fanno più impressione. Sembrano innalzare su un piedistallo lo Stato quando tutti dicono che dello Stato se ne può fare tranquillamente a meno, parlano di un patriottismo del popolo francese non come questione di nascita, ma come riconoscenza della cultura e della storia del proprio Paese. E noi invece, pur alle prese con cambiamenti epocali, discutiamo e ci dividiamo persino sull’esistenza di un “popolo lumbard” che accampa diritti tutti suoi....
Vedremo se i francesi accetteranno questa destra di valori che vuole rivitalizzare una Francia che appare spenta e incerta o si divideranno secondo i vecchi canoni ideologici. Chi anticipa svolte o indica nuovi obbiettivi, come Sarkozy, deve poi fare i conti con la realtà del seguito che riesce a cogliere dietro di sé. Ma almeno - e questo è il caso della Francia da cui potremmo imparare qualcosa - lì la classe politica più avvertita sente che c’è bisogno di nuove chiarezze, di modelli certi su cui ha il coraggio di chiedere il consenso degli elettori. Di Sarkozi e anti-Sarkozy da noi non se ne intravvedono proprio. Dobbiamo accontentarci di Prodi e Berlusconi. Preferiamo dividerci su slogans, invettive personalistiche, brogli elettorali, tattiche o rivincite strumentali, invece di accettare le sfide del cambiamento.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.