Il tabù per il Governo
Nessuno tocchi la giustizia
Il Pdl tace, dimostrando incapacità politica. Pur di tirare avanti sono pronti a far marcia indietro.di Davide Giacalone - 01 luglio 2013
Voi lo sapevate che c’era un accordo di governo in base al quale non si sarebbe mai dovuto parlare di riforme relative alla giustizia, specie con riferimento alla commissione composta dai 40 saggi, che erano 35 ma se ne trovarono alcuni che non potevano non esserci? Io no, e sì che ce la metto tutta per seguire l’ozioso dimenarsi della politica. Adesso che lo sappiamo, perché ce lo hanno comunicato sia esponenti del Pd che del Pdl, avrei alcune osservazioni.
Pensare di modificare la forma dello Stato, magari passando a una Repubblica presidenziale, lasciando inalterato il testo del 1948, per quel che riguarda la giustizia e il suo ordinamento, non è neanche una normale cretinata, ma un pernacchio cosmico a sei o sette biblioteche di diritto. E’ talmente ovvio che l’una cosa non può escludere l’altra che in tal senso ci sono ragionamenti e suggerimenti delle diverse parti politiche.
Allora perché in tanti si sono messi a starnazzare di blitz e colpi di mano? Perché sono fuori di testa. Un emendamento presentato da Donato Bruno, parlamentare del Pdl, neanche osava accennare a cosa e come si sarebbe dovuto riformare, ma si limitava, come altri emendamenti, del resto, a osservare che nel fissare i compiti dei 40 (che erano 35) era necessario richiamare anche il tema giustizia. Apriti cielo. Dal che abbiamo appreso che esiste un addendum dell’accordo di governo: se sei parlamentare del Pdl, se sei cliente dello stesso chirurgo plastico di Silvio Berlusconi, se sei in qualche modo assimilabile a quelli che non latrano al solo sentirne il cognome, ti è proibito parlare di giustizia. Altrimenti scatta l’accusa di volere far saltare gli accordi, il governo, l’ordine giudiziario, gli equilibri costituzionali e anche l’Onu.
Ciò avviene nel mentre il ministro della giustizia continua a ripetere che il problema è quello di sfollare le carceri, in tal senso risultando ottima l’amnistia (che sarà necessaria, ma dopo avere fatto quel che si rifiutano di fare, ovvero la riforma della giustizia). E avviene nel mentre l’ottimo Roberto Giachetti rammenta di continuo che non pochi magistrati sono ancora fuori ruolo, in barba a quanto prevede la legge. Che succederebbe se Giachetti fosse parlamentare del Pdl, anziché del Pd? Scriverebbero: vile attacco alle toghe, nel mentre quelle sudano per assicurare virtù alla Repubblica.
Con questo, sia chiaro, non mi vengono i lucciconi, non sono mosso a commossa compassione per i poverelli del Pdl. E’ colpa loro. Si sono battuti strenuamente per cose sbagliate e inutili, trascurando di battersi e creare consenso attorno all’urgentissima necessità di cambiare radicalmente e profondamente la giustizia italiana. Senza la quale, detto per inciso, neanche ci sarà ripresa economica e afflusso di investimenti dall’estero e sulla quale, invece, il Pd ribadisce il suo veto. Basti leggere le parole di Anna Finocchiaro: “gli assetti della magistratura devono tassativamente rimane fuori dal perimetro delle riforme”. Manca solo che aprano dei santuari e portino i compagnucci della procuretta a farci pellegrinaggi di devozione & sottomissione.
Sul tema giustizia quelli del Pdl non sono stati capaci di fare politica. Che per chi campa di politica non è mancanza da poco. Ora corrono a dire: noi rispettiamo i patti, per carità, mica volevamo parlare di giustizia. Sono proni alla resa, neanche sfiorati dall’idea che ciò traduce in certezza quel che è un fondato sospetto: pur di tirare avanti sono pronti a far marcia indietro. Avrebbero dovuto fare l’opposto: indignarsi e reagire alla sola ipotesi d’essere parlamentari dimezzati e ministri a sovranità limitata.
Tanto per dirne una, facile e mostruosa: il processo accusatorio senza separazione delle carriere è una barzelletta che non fa ridere. Tale concetto è ovvio in tutto il mondo e a qualsiasi studioso non divenuto giullare, scandaloso e oltraggioso da noi. Sicché c’è poco da aspettarsi, men che meno dai (divenuti) 40, il cui lavoro andrà ad arricchire il vasto archivio delle cose dibattute e abbattute. In tema di giustizia, al momento, c’è una sola iniziativa degna di nota: i referendum predisposti dai radicali. Lo so che molti non credono più ai referendum, così spesso abusati e traditi. Rispetto al resto, però, sono luccicanti pepite e monumenti di promettente concretezza.
Pensare di modificare la forma dello Stato, magari passando a una Repubblica presidenziale, lasciando inalterato il testo del 1948, per quel che riguarda la giustizia e il suo ordinamento, non è neanche una normale cretinata, ma un pernacchio cosmico a sei o sette biblioteche di diritto. E’ talmente ovvio che l’una cosa non può escludere l’altra che in tal senso ci sono ragionamenti e suggerimenti delle diverse parti politiche.
Allora perché in tanti si sono messi a starnazzare di blitz e colpi di mano? Perché sono fuori di testa. Un emendamento presentato da Donato Bruno, parlamentare del Pdl, neanche osava accennare a cosa e come si sarebbe dovuto riformare, ma si limitava, come altri emendamenti, del resto, a osservare che nel fissare i compiti dei 40 (che erano 35) era necessario richiamare anche il tema giustizia. Apriti cielo. Dal che abbiamo appreso che esiste un addendum dell’accordo di governo: se sei parlamentare del Pdl, se sei cliente dello stesso chirurgo plastico di Silvio Berlusconi, se sei in qualche modo assimilabile a quelli che non latrano al solo sentirne il cognome, ti è proibito parlare di giustizia. Altrimenti scatta l’accusa di volere far saltare gli accordi, il governo, l’ordine giudiziario, gli equilibri costituzionali e anche l’Onu.
Ciò avviene nel mentre il ministro della giustizia continua a ripetere che il problema è quello di sfollare le carceri, in tal senso risultando ottima l’amnistia (che sarà necessaria, ma dopo avere fatto quel che si rifiutano di fare, ovvero la riforma della giustizia). E avviene nel mentre l’ottimo Roberto Giachetti rammenta di continuo che non pochi magistrati sono ancora fuori ruolo, in barba a quanto prevede la legge. Che succederebbe se Giachetti fosse parlamentare del Pdl, anziché del Pd? Scriverebbero: vile attacco alle toghe, nel mentre quelle sudano per assicurare virtù alla Repubblica.
Con questo, sia chiaro, non mi vengono i lucciconi, non sono mosso a commossa compassione per i poverelli del Pdl. E’ colpa loro. Si sono battuti strenuamente per cose sbagliate e inutili, trascurando di battersi e creare consenso attorno all’urgentissima necessità di cambiare radicalmente e profondamente la giustizia italiana. Senza la quale, detto per inciso, neanche ci sarà ripresa economica e afflusso di investimenti dall’estero e sulla quale, invece, il Pd ribadisce il suo veto. Basti leggere le parole di Anna Finocchiaro: “gli assetti della magistratura devono tassativamente rimane fuori dal perimetro delle riforme”. Manca solo che aprano dei santuari e portino i compagnucci della procuretta a farci pellegrinaggi di devozione & sottomissione.
Sul tema giustizia quelli del Pdl non sono stati capaci di fare politica. Che per chi campa di politica non è mancanza da poco. Ora corrono a dire: noi rispettiamo i patti, per carità, mica volevamo parlare di giustizia. Sono proni alla resa, neanche sfiorati dall’idea che ciò traduce in certezza quel che è un fondato sospetto: pur di tirare avanti sono pronti a far marcia indietro. Avrebbero dovuto fare l’opposto: indignarsi e reagire alla sola ipotesi d’essere parlamentari dimezzati e ministri a sovranità limitata.
Tanto per dirne una, facile e mostruosa: il processo accusatorio senza separazione delle carriere è una barzelletta che non fa ridere. Tale concetto è ovvio in tutto il mondo e a qualsiasi studioso non divenuto giullare, scandaloso e oltraggioso da noi. Sicché c’è poco da aspettarsi, men che meno dai (divenuti) 40, il cui lavoro andrà ad arricchire il vasto archivio delle cose dibattute e abbattute. In tema di giustizia, al momento, c’è una sola iniziativa degna di nota: i referendum predisposti dai radicali. Lo so che molti non credono più ai referendum, così spesso abusati e traditi. Rispetto al resto, però, sono luccicanti pepite e monumenti di promettente concretezza.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.