Addio alla Seconda Repubblica
Nelle mani di Monti
Solo con una serie di provvedimenti imprescindibili potremo definitivamente voltare paginadi Enrico Cisnetto - 15 novembre 2011
Il parto, difficile e a rischio, della Terza Repubblica, è nelle mani di Mario Monti. Se riuscirà a formare il governo e a farlo durare fino alla fine della legislatura, tamponando la crisi economica e modificando la legge elettorale, allora avremo definitivamente seppellito l’ormai putrefatto cadavere della Seconda Repubblica e si aprirà una nuova epoca politica con qualche concreta possibilità non solo di salvare il Paese dalla catastrofe ma anche di dargli una prospettiva. Se, al contrario, il tentativo Monti dovesse abortire o anche durare qualche settimana ma per poi andare comunque alle urne, allora vorrà dire che il funerale della fallimentare stagione del bipolarismo in salsa berlusconiana verrà (ancora una volta) rimandato. E a farne le spese sarebbe l’Italia, la cui sorte non voglio nemmeno immaginare quale potrebbe essere.
Si dice: ma le elezioni sono uno sbocco naturale di una crisi politica, così si rischia di tamponare l’emergenza finanziaria acuendo quella istituzionale, non meno grave. È vero, il rischio c’è. Pur attenuato dalla preventiva nomina di Monti a senatore a vita – vero e proprio colpo di genio del Capo dello Stato – l’incarico all’ex commissario Ue ha dei profili di forzatura nei confronti del rispetto della volontà degli elettori. Ma è altrettanto vero che in questa situazione molto se non tutto si giustifica, visto che l’emergenza determinata dai mercati richiede per sua natura e gravità interventi straordinari e considerato che veniamo da un pregresso di continue forzature costituzionali, a cominciare da quella di ritenere acclarato che il premier sia tale perché eletto direttamente dai cittadini, cosa assolutamente non vera.
Ma, soprattutto, se la Seconda Repubblica è da tempo trapassata e gli manca solo la sepoltura, le elezioni subito, con questa legge elettorale e questo quadro politico, cosa porterebbero? Berlusconi sarebbe ancora una volta il candidato del centro-destra – e proprio questa ulteriore chance ha cercato di tutelare fino all’ultimo, dimissioni “differite” comprese, con il suo atteggiamento – e il centro-sinistra non potrebbe che presentarsi con il tridente Bersani-Vendola-Di Pietro. Un disastro, insomma. Così come sarebbe un’autentica sciagura se a questo punto, dopo il credito concesso dai mercati all’ipotesi in corso, Monti dovesse fallire: lo spread risalirebbe in modo vertiginoso e si aprirebbe uno scenario di uscita dall’euro – ammesso che la moneta unica riuscisse a sopravvivere – che per l’Italia sarebbe la fine.
Dunque, l’auspicio è che Monti sia incaricato e ce la faccia. Come? Le condizioni sono sostanzialmente tre. Primo: che abbia l’appoggio definito, e non da negoziare volta per volta, di Pdl, Pd e Terzo Polo. Se Lega e Idv rimangono fuori non è un problema, anzi, giustizialisti e secessionisti sarebbero più di danno che di vantaggio a fare in modo che la “grande coalizione” non corra il rischio di diventare consociazione impotente. Secondo: che il programma sia quello necessario per fronteggiare l’emergenza, ma senza dover per forza farselo dettare dalla Ue o dall’Fmi, e con riforme strutturali che gettino le giuste basi per un futuro governo post elezioni del 2013. Un programma liberal-keynesiano di salvezza e di rinascita. Terzo: che la compagine sia scelta in autonomia dal presidente incaricato, senza mercanteggiamenti al ribasso delle forze politico-parlamentari che lo appoggiano. Solo così Monti, oltre a riuscire nell’intento di salvarci dal default, può davvero diventare l’ostetrico che fa nascere la Terza Repubblica. Perché. come si è detto, dalla sua riuscita dipende non solo il presente ma anche il futuro del Paese. Togliamoci dalla testa, infatti, che anche nel migliore dei casi abbia il tempo e la possibilità di fare le tante cose che servono ad un paese che è da due decenni privo di governo dei grandi processi di trasformazione che gli sono piovuti in testa.
Monti potrà al massimo iniziare a fare, ma il cammino sarà comunque lungo. Ciò che invece potrà determinare in modo significativo sarà il “dopo”. Perché se il successo del suo tentativo sarà nel presente il modo per chiudere l’epoca della contrapposizione pro-contro Berlusconi, il nuovo sistema politico non solo è e sarà tutto da costruire, ma anche da immaginare. Non fosse altro perché se determinerà la definitiva uscita di scena di Berlusconi – se non lo farà, avrà fallito – come conseguenza determinerà a sua volta la scomparsa delle forze politiche attuali, a cominciare da quelle che più si sono identificate nella contrapposizione tra berlusconismo e anti-berlusconismo.
Monti, dunque, può rappresentare la giusta transizione tra il bipolarismo malato in cui siamo vissuti negli ultimi vent’anni e un sistema politico e istituzionale ancora tutto da inventare, ma che sicuramente dovrà assicurare al Paese un livello di coesione e di modernità tali da consentirgli di cambiare nel profondo, fino a mettere in discussione il suo dna. La posta in gioco è altissima, decisiva per noi e per i nostri figli. Dunque, la borghesia moderata e riformista lo capisca e, una volta tanto, non applichi il solito principio della delega in bianco o del riflusso verso il qualunquismo dell’anti-politica, ma al contrario cerchi tutte le forme più adatte a sostenere, partecipando, questa prova e il successivo processo di trasformazione del Paese. Ora o mai più.
Si dice: ma le elezioni sono uno sbocco naturale di una crisi politica, così si rischia di tamponare l’emergenza finanziaria acuendo quella istituzionale, non meno grave. È vero, il rischio c’è. Pur attenuato dalla preventiva nomina di Monti a senatore a vita – vero e proprio colpo di genio del Capo dello Stato – l’incarico all’ex commissario Ue ha dei profili di forzatura nei confronti del rispetto della volontà degli elettori. Ma è altrettanto vero che in questa situazione molto se non tutto si giustifica, visto che l’emergenza determinata dai mercati richiede per sua natura e gravità interventi straordinari e considerato che veniamo da un pregresso di continue forzature costituzionali, a cominciare da quella di ritenere acclarato che il premier sia tale perché eletto direttamente dai cittadini, cosa assolutamente non vera.
Ma, soprattutto, se la Seconda Repubblica è da tempo trapassata e gli manca solo la sepoltura, le elezioni subito, con questa legge elettorale e questo quadro politico, cosa porterebbero? Berlusconi sarebbe ancora una volta il candidato del centro-destra – e proprio questa ulteriore chance ha cercato di tutelare fino all’ultimo, dimissioni “differite” comprese, con il suo atteggiamento – e il centro-sinistra non potrebbe che presentarsi con il tridente Bersani-Vendola-Di Pietro. Un disastro, insomma. Così come sarebbe un’autentica sciagura se a questo punto, dopo il credito concesso dai mercati all’ipotesi in corso, Monti dovesse fallire: lo spread risalirebbe in modo vertiginoso e si aprirebbe uno scenario di uscita dall’euro – ammesso che la moneta unica riuscisse a sopravvivere – che per l’Italia sarebbe la fine.
Dunque, l’auspicio è che Monti sia incaricato e ce la faccia. Come? Le condizioni sono sostanzialmente tre. Primo: che abbia l’appoggio definito, e non da negoziare volta per volta, di Pdl, Pd e Terzo Polo. Se Lega e Idv rimangono fuori non è un problema, anzi, giustizialisti e secessionisti sarebbero più di danno che di vantaggio a fare in modo che la “grande coalizione” non corra il rischio di diventare consociazione impotente. Secondo: che il programma sia quello necessario per fronteggiare l’emergenza, ma senza dover per forza farselo dettare dalla Ue o dall’Fmi, e con riforme strutturali che gettino le giuste basi per un futuro governo post elezioni del 2013. Un programma liberal-keynesiano di salvezza e di rinascita. Terzo: che la compagine sia scelta in autonomia dal presidente incaricato, senza mercanteggiamenti al ribasso delle forze politico-parlamentari che lo appoggiano. Solo così Monti, oltre a riuscire nell’intento di salvarci dal default, può davvero diventare l’ostetrico che fa nascere la Terza Repubblica. Perché. come si è detto, dalla sua riuscita dipende non solo il presente ma anche il futuro del Paese. Togliamoci dalla testa, infatti, che anche nel migliore dei casi abbia il tempo e la possibilità di fare le tante cose che servono ad un paese che è da due decenni privo di governo dei grandi processi di trasformazione che gli sono piovuti in testa.
Monti potrà al massimo iniziare a fare, ma il cammino sarà comunque lungo. Ciò che invece potrà determinare in modo significativo sarà il “dopo”. Perché se il successo del suo tentativo sarà nel presente il modo per chiudere l’epoca della contrapposizione pro-contro Berlusconi, il nuovo sistema politico non solo è e sarà tutto da costruire, ma anche da immaginare. Non fosse altro perché se determinerà la definitiva uscita di scena di Berlusconi – se non lo farà, avrà fallito – come conseguenza determinerà a sua volta la scomparsa delle forze politiche attuali, a cominciare da quelle che più si sono identificate nella contrapposizione tra berlusconismo e anti-berlusconismo.
Monti, dunque, può rappresentare la giusta transizione tra il bipolarismo malato in cui siamo vissuti negli ultimi vent’anni e un sistema politico e istituzionale ancora tutto da inventare, ma che sicuramente dovrà assicurare al Paese un livello di coesione e di modernità tali da consentirgli di cambiare nel profondo, fino a mettere in discussione il suo dna. La posta in gioco è altissima, decisiva per noi e per i nostri figli. Dunque, la borghesia moderata e riformista lo capisca e, una volta tanto, non applichi il solito principio della delega in bianco o del riflusso verso il qualunquismo dell’anti-politica, ma al contrario cerchi tutte le forme più adatte a sostenere, partecipando, questa prova e il successivo processo di trasformazione del Paese. Ora o mai più.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.