I 19 della Fiat
Né con con la Fiat, né con la Fiom, né con i giudici
Se Marchionne ha proprio voglia di menar le mani, faccia una battaglia per ridurre il cuneo fiscale, che a lui (come a tutti gli imprenditori) costringe ad avere un costo del lavoro alto e ai suoi operai un salario basso. Sarebbe molto più utile.di Enrico Cisnetto - 04 novembre 2012
Né con Marchionne, né con la Fiom. Da quando il tormentone Fiat è iniziato mi è già capitato di dovermi esprimere così in altre circostanze. Questa volta mi ripeto, ma aggiungo anche: né con la magistratura. L’ennesimo caso è scoppiato per la (discutibile) scelta della Fiat di licenziare 19 lavoratori di Pomigliano, per far posto ad altrettanti che sono stati reintegrati per una (discutibile) decisione del giudice sollecitata dalla (discutibile) iniziativa della Fiom di portare in Tribunale un accordo sindacale confermato da un libero referendum tra i lavoratori. E quando si inanellano così tante forzature, il risultato non può che essere disastroso: la magistratura al posto delle relazioni industriali.
Si dirà: ma è stato il sindacato “antagonista” a cominciare per primo, forzando la mano al risultato referendario, sulla base della tesi, del tutto inaccettabile, che i lavoratori si sarebbero espressi sotto il ricatto occupazionale dell’azienda (mentre più semplicemente hanno capito che quell’accordo era meglio, o meno peggio, della chiusura della fabbrica). Vero, a cominciare quest’ultima tappa della via crucis Fiat è stata la Fiom. Il suo è definibile un “comportamento anti-sindacale”. Cui, come quasi sempre capita, la magistratura ha fatto eco. Usando motivazioni speciose e senza assumersi alcuna responsabilità per le conseguenze che quella sentenza inevitabilmente genera.
Infatti, la Fiat ha agito a rigor di logica: se oggi a Pomigliano c’è la forza lavoro che serve, nel momento in cui sono costretta a riprendere 19 dipendenti è evidente che devo farne uscire altrettanti. Solo che qui casca l’asino di Marchionne. Il manager con il maglioncino (ma quando smette questa ridicola divisa?), per sua stessa ammissione, ha infatti confermato che il progetto “Fabbrica Italia” non esiste. Ad essere precisi, pudicamente ha detto che considera un errore l’averne dato l’annuncio. Ma, insomma, la sostanza è che l’architrave su cui poggiava la ristrutturazione di Fiat Auto in Italia non c’è e non è mai esistita. Mentre invece, essa era presupposto fondamentale per sostenere l’intero impianto di accordi sindacali che l’azienda ha stipulato con i sindacati riformisti, e approvati dalla maggioranza dei lavoratori. A Pomigliano come al Lingotto.
Per questo la Fiat – cui certo non fanno differenza 19 lavoratori, visto che le sue difficoltà dipendono dalla mancanza di modelli (ora si legge che ne usciranno 24 entro il 2016, ma sarà troppo tardi) – avrebbe dovuto astenersi da una mossa sì formalmente legittima, ma solo teoricamente logica e giustificabile. Non evitandola – credo più per rispondere al profilo “politico” assunto da Marchionne che per interessi concreti – ha innescato una reazione a catena in cui era inevitabile, ed hanno fatto bene i ministri Passera e Fornero a pronunciarsi, la reazione del governo. Ma soprattutto, in cui è stato fatale che le componenti sindacali più ragionevoli, Cisl in testa, si mettessero contro l’azienda a tutela dei 19 oggetto della “rappresaglia”. Il che va a tutto danno del tanto sbandierato obiettivo di Marchionne di aumentare la produttività.
Se Marchionne ha proprio voglia di menar le mani, faccia una battaglia per ridurre il cuneo fiscale, che a lui (come a tutti gli imprenditori) costringe ad avere un costo del lavoro alto e ai suoi operai un salario basso. Sarebbe molto più utile.
Si dirà: ma è stato il sindacato “antagonista” a cominciare per primo, forzando la mano al risultato referendario, sulla base della tesi, del tutto inaccettabile, che i lavoratori si sarebbero espressi sotto il ricatto occupazionale dell’azienda (mentre più semplicemente hanno capito che quell’accordo era meglio, o meno peggio, della chiusura della fabbrica). Vero, a cominciare quest’ultima tappa della via crucis Fiat è stata la Fiom. Il suo è definibile un “comportamento anti-sindacale”. Cui, come quasi sempre capita, la magistratura ha fatto eco. Usando motivazioni speciose e senza assumersi alcuna responsabilità per le conseguenze che quella sentenza inevitabilmente genera.
Infatti, la Fiat ha agito a rigor di logica: se oggi a Pomigliano c’è la forza lavoro che serve, nel momento in cui sono costretta a riprendere 19 dipendenti è evidente che devo farne uscire altrettanti. Solo che qui casca l’asino di Marchionne. Il manager con il maglioncino (ma quando smette questa ridicola divisa?), per sua stessa ammissione, ha infatti confermato che il progetto “Fabbrica Italia” non esiste. Ad essere precisi, pudicamente ha detto che considera un errore l’averne dato l’annuncio. Ma, insomma, la sostanza è che l’architrave su cui poggiava la ristrutturazione di Fiat Auto in Italia non c’è e non è mai esistita. Mentre invece, essa era presupposto fondamentale per sostenere l’intero impianto di accordi sindacali che l’azienda ha stipulato con i sindacati riformisti, e approvati dalla maggioranza dei lavoratori. A Pomigliano come al Lingotto.
Per questo la Fiat – cui certo non fanno differenza 19 lavoratori, visto che le sue difficoltà dipendono dalla mancanza di modelli (ora si legge che ne usciranno 24 entro il 2016, ma sarà troppo tardi) – avrebbe dovuto astenersi da una mossa sì formalmente legittima, ma solo teoricamente logica e giustificabile. Non evitandola – credo più per rispondere al profilo “politico” assunto da Marchionne che per interessi concreti – ha innescato una reazione a catena in cui era inevitabile, ed hanno fatto bene i ministri Passera e Fornero a pronunciarsi, la reazione del governo. Ma soprattutto, in cui è stato fatale che le componenti sindacali più ragionevoli, Cisl in testa, si mettessero contro l’azienda a tutela dei 19 oggetto della “rappresaglia”. Il che va a tutto danno del tanto sbandierato obiettivo di Marchionne di aumentare la produttività.
Se Marchionne ha proprio voglia di menar le mani, faccia una battaglia per ridurre il cuneo fiscale, che a lui (come a tutti gli imprenditori) costringe ad avere un costo del lavoro alto e ai suoi operai un salario basso. Sarebbe molto più utile.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.