Il discorso di Napolitano
Moralismo fiscale
Non bisogna eccedere in moralismi nocivi, quando si parla di tassedi Davide Giacalone - 15 aprile 2012
Il moralismo fiscale è uno strumento con il quale si distrugge il sistema produttivo e il tessuto stesso della convivenza civile. Abbandonarsi a tale disdicevole dottrina, come purtroppo ha fatto il presidente della Repubblica, avendo appena avallato l’aumento di cinque centesimi della benzina, destinandone i proventi alla protezione civile, ovvero a quella medesima platea presso cui si vanno a raccogliere gli applausi, è più che disdicevole: non è ammissibile.
Spiace doverlo sottolineare, ma con tutto il rispetto che si deve a chi rappresenta l’unità nazionale non gli è consentito affermare che gli evasori fiscali “sono indegni di essere associati al concetto e alla parola Italia”. Sono e restano italiani anche gli assassini, gentile Signor presidente. Restano italiani anche i senatori a vita che evasero (alla grande) il fisco, o vuole espellerli alla memoria? Se si vuol togliere la cittadinanza a chi non paga tutte le tasse si deve toglierla anche a una giustizia che privilegia i disonesti e svillaneggia chi deve avere soldi. Si deve toglierla ad uno Stato lesto nel prendere e lentissimo nel restituire.
Le tasse si pagano. E’ un dovere legato alla cittadinanza. Per chi non le paga sono previste delle punizioni, fra le quali non è compreso l’ostracismo. Però attenti al moralismo senza etica: la pressione fiscale è da noi intollerabile; i sistemi dell’amministrazione fiscale solo arroganti e violenti; il cittadino viene espropriato ben prima d’incontrare un giudice; i soldi riscossi finiscono in un buco nero, quello della spesa pubblica, che non si riesce, e forse neanche si vuole restringere. Prima di moraleggiare sarà bene tenerne conto.
Napolitano ha ragione: l’Italia del volontariato è bella. Ma è bella anche, quanto meno altrettanto, l’Italia che intraprende e produce, quella stessa che viene spinta fuori mercato da uno Stato esoso e incapace. Gli italiani che si fanno in quattro per produrre ricchezza sono milioni. Spiace che non lo capisca e non lo apprezzi una classe politica composta, anche ai più alti livelli, da chi ha sempre campato di spesa pubblica, mai aggiungendo un tallero al prodotto interno lordo. Spiace che si senta “volontario” un presidente del Consiglio con due pensioni e un vitalizio. Spiace perché dimostrano di non avere la benché minima percezione della realtà. Si sentono migliori perché hanno di più, e pretendono di considerare peggiori quelli che recalcitrano al dare di più. Sono cittadini italiani, a pieno titolo, anche quegli imprenditori che si ammazzano perché il fisco e la previdenza li hanno precedentemente strangolati. E fornisco un dato anticipato, al presidente della Repubblica: gli evasori fiscali aumenteranno, perché non ci sono solo i ricchi profittatori che negano la pecunia alle scuole e agli ospedali, secondo uno schema classista che vive nella mente di chi l’ha predicato per la vita intera, ci sono anche le persone per bene che non hanno i soldi per pagare. Ci sono i padri di famiglia cui è stato raccontato che si deve investire nella casa di proprietà, per lasciarla ai figli, e cui si dice, oggi, che la rendita del patrimonio va tassata quasi quello fosse un furto alla collettività, anche in costanza di un mutuo. Ci sono imprese impossibilitate a lavorare perché lo Stato non paga i propri debiti, perché sono indietro con i pagamenti previdenziali, perché non hanno i documenti in regola al fine di ottenere, dallo Stato, il dovuto. E se qualcuno, più debole ed esasperato degli altri, si ammazza, innanzi a quel dramma occorre umiltà e rispetto, non la supponenza di chi, nella vita, non ha mai rischiato e creato lavoro. L’assenza di guida politica, l’assenza di governi che guardino al futuro, ci ha messi nella condizione di dovere sottostare a un debito pubblico servire il quale significa impoverirsi giorno dopo giorno. Noi qui ci sforziamo d’indicare la strada per abbattere quel debito. Altri sembrano provare gusto ad abbattere i cittadini che non ritengono gioioso pagarne il prezzo. Capisco il ragionamento di Napolitano, ma ne conosco l’infondatezza: se pagassero tutti, e tutto il dovuto, ciascuno potrebbe pagare meno. E’ falso, perché, da molti anni, il gettito fiscale è funzione della spesa pubblica, largamente improduttiva e fuori controllo, sicché più si paga e più si spende. Questa spirale va spezzata, non onorata e venerata.
Le tasse si pagano. Non giustifico minimamente gli evasori fiscali. Ma se non si parte dall’immoralità della pressione fiscale e dall’indecenza di uno Stato che assorbe e brucia più della metà della ricchezza nazionale, se non si cambia andazzo, e se le prediche vengono da pulpiti protettissimi e privilegiati, so quale sarà la conseguenza: rabbia sociale, disperazione violenta, ribellismo inconsulto. Ci pensi, il Colle più alto, e rimedi a parole che, per carità di Patria, considero solo poco pensate.
Napolitano ha ragione: l’Italia del volontariato è bella. Ma è bella anche, quanto meno altrettanto, l’Italia che intraprende e produce, quella stessa che viene spinta fuori mercato da uno Stato esoso e incapace. Gli italiani che si fanno in quattro per produrre ricchezza sono milioni. Spiace che non lo capisca e non lo apprezzi una classe politica composta, anche ai più alti livelli, da chi ha sempre campato di spesa pubblica, mai aggiungendo un tallero al prodotto interno lordo. Spiace che si senta “volontario” un presidente del Consiglio con due pensioni e un vitalizio. Spiace perché dimostrano di non avere la benché minima percezione della realtà. Si sentono migliori perché hanno di più, e pretendono di considerare peggiori quelli che recalcitrano al dare di più. Sono cittadini italiani, a pieno titolo, anche quegli imprenditori che si ammazzano perché il fisco e la previdenza li hanno precedentemente strangolati. E fornisco un dato anticipato, al presidente della Repubblica: gli evasori fiscali aumenteranno, perché non ci sono solo i ricchi profittatori che negano la pecunia alle scuole e agli ospedali, secondo uno schema classista che vive nella mente di chi l’ha predicato per la vita intera, ci sono anche le persone per bene che non hanno i soldi per pagare. Ci sono i padri di famiglia cui è stato raccontato che si deve investire nella casa di proprietà, per lasciarla ai figli, e cui si dice, oggi, che la rendita del patrimonio va tassata quasi quello fosse un furto alla collettività, anche in costanza di un mutuo. Ci sono imprese impossibilitate a lavorare perché lo Stato non paga i propri debiti, perché sono indietro con i pagamenti previdenziali, perché non hanno i documenti in regola al fine di ottenere, dallo Stato, il dovuto. E se qualcuno, più debole ed esasperato degli altri, si ammazza, innanzi a quel dramma occorre umiltà e rispetto, non la supponenza di chi, nella vita, non ha mai rischiato e creato lavoro. L’assenza di guida politica, l’assenza di governi che guardino al futuro, ci ha messi nella condizione di dovere sottostare a un debito pubblico servire il quale significa impoverirsi giorno dopo giorno. Noi qui ci sforziamo d’indicare la strada per abbattere quel debito. Altri sembrano provare gusto ad abbattere i cittadini che non ritengono gioioso pagarne il prezzo. Capisco il ragionamento di Napolitano, ma ne conosco l’infondatezza: se pagassero tutti, e tutto il dovuto, ciascuno potrebbe pagare meno. E’ falso, perché, da molti anni, il gettito fiscale è funzione della spesa pubblica, largamente improduttiva e fuori controllo, sicché più si paga e più si spende. Questa spirale va spezzata, non onorata e venerata.
Le tasse si pagano. Non giustifico minimamente gli evasori fiscali. Ma se non si parte dall’immoralità della pressione fiscale e dall’indecenza di uno Stato che assorbe e brucia più della metà della ricchezza nazionale, se non si cambia andazzo, e se le prediche vengono da pulpiti protettissimi e privilegiati, so quale sarà la conseguenza: rabbia sociale, disperazione violenta, ribellismo inconsulto. Ci pensi, il Colle più alto, e rimedi a parole che, per carità di Patria, considero solo poco pensate.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.