Regole certe e durature + vigilanza consapevole
Ministro Gentiloni, attento a due cose
Giusta l’idea del censimento, dopo l’ultimo del 1990. Ma l’antitrust si fa sui programmidi Davide Giacalone - 09 giugno 2006
Giusto, ha ragione il ministro Gentiloni, si faccia un bel censimento delle frequenze utilizzate dalla televisione (e dalla radio), ma stia attento alle trappole. Intanto lo ringrazio per avere ricordato che l’ultimo (per la verità anche il primo) lavoro di questo tipo è stato fatto nel 1990. Ricordo vagamente che ci sono voluti più di dieci anni per dimostrare che fu un lavoro eccellente ed onesto, ugualmente gettato nel cestino, per ragioni che Gentiloni potrà chiedere ai propri compagni di coalizione.
Stia attento a due cose, Signor Ministro: primo, l’antitrust non si fa sulle frequenze; secondo, negli ultimi tre anni la situazione è gravemente peggiorata. Ciascuno di noi vede con la televisione ed ascolta con la radio un certo numero di programmi. Quelli sono, e sapere con quante frequenze vengono trasmessi è quasi irrilevante, anche perché, a parità di territorio raggiunto dal segnale, usa più frequenze il peggio messo. Colpirlo sarebbe ingiusto, oltre che illogico. L’antitrust si fa sui programmi e sugli intrecci nel mercato della comunicazione, scoraggiando, è la mia opinione, la concentrazione nei singoli settori ed incoraggiando le sinergie fra mezzi diversi. Mi fermo qui, sarebbe lungo.
La situazione è gravemente peggiorata da quando si fa finta di credere alla bufala del digitale terrestre. Lo volle l’Ulivo, nel 2001, lo ribadì la Cdl, nel 2003, convinti che ci sarebbe stata la transumanza coatta alla fine del 2006. Una politica condivisa, che è, però, una condivisa cretinata. Il 2006 è saltato, salterà il 2008, così come anche il 2010. Oltre non m’avventuro. Ma facendo finta di crederci si sono spinti gli editori a raddoppiare le frequenze utilizzate per mandare in onda le stesse identiche cose, si è dimezzato il pluralismo aggiungendovi un mercato pay, la cui naturale sede dovrebbe essere il satellite o la via cavo. E non basta, perché a questo errore si è aggiunta la tragedia di una Autorità per le comunicazioni che ha smarrito il pudore, che tradisce il principio della neutralità tecnologica e che sta favorendo il consolidarsi di nuovi trust, facendo essa scelte che, invece, spettano al mercato.
Il censimento è cosa utile, ma sarà fatto sulla realtà analogica, mentre la legge prevede che si pianifichi il digitale. Nel mettere mano alla materia è giusto che non si abbiano istinti punitivi, ma è bene ricordare che dopo la gloriosa stagione della rottura del monopolio si è fatta una gran confusione fra pluralismo e concorrenza. Per avere la seconda occorrono regole certe e durature, oltre che una vigilanza più conscia di sé.
www.davidegiacalone.it
Pubblicato su Libero del 9 giugno 2006
Stia attento a due cose, Signor Ministro: primo, l’antitrust non si fa sulle frequenze; secondo, negli ultimi tre anni la situazione è gravemente peggiorata. Ciascuno di noi vede con la televisione ed ascolta con la radio un certo numero di programmi. Quelli sono, e sapere con quante frequenze vengono trasmessi è quasi irrilevante, anche perché, a parità di territorio raggiunto dal segnale, usa più frequenze il peggio messo. Colpirlo sarebbe ingiusto, oltre che illogico. L’antitrust si fa sui programmi e sugli intrecci nel mercato della comunicazione, scoraggiando, è la mia opinione, la concentrazione nei singoli settori ed incoraggiando le sinergie fra mezzi diversi. Mi fermo qui, sarebbe lungo.
La situazione è gravemente peggiorata da quando si fa finta di credere alla bufala del digitale terrestre. Lo volle l’Ulivo, nel 2001, lo ribadì la Cdl, nel 2003, convinti che ci sarebbe stata la transumanza coatta alla fine del 2006. Una politica condivisa, che è, però, una condivisa cretinata. Il 2006 è saltato, salterà il 2008, così come anche il 2010. Oltre non m’avventuro. Ma facendo finta di crederci si sono spinti gli editori a raddoppiare le frequenze utilizzate per mandare in onda le stesse identiche cose, si è dimezzato il pluralismo aggiungendovi un mercato pay, la cui naturale sede dovrebbe essere il satellite o la via cavo. E non basta, perché a questo errore si è aggiunta la tragedia di una Autorità per le comunicazioni che ha smarrito il pudore, che tradisce il principio della neutralità tecnologica e che sta favorendo il consolidarsi di nuovi trust, facendo essa scelte che, invece, spettano al mercato.
Il censimento è cosa utile, ma sarà fatto sulla realtà analogica, mentre la legge prevede che si pianifichi il digitale. Nel mettere mano alla materia è giusto che non si abbiano istinti punitivi, ma è bene ricordare che dopo la gloriosa stagione della rottura del monopolio si è fatta una gran confusione fra pluralismo e concorrenza. Per avere la seconda occorrono regole certe e durature, oltre che una vigilanza più conscia di sé.
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Pubblicato su Libero del 9 giugno 2006
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.