E se Fiom, Uilm e Fim perdessero il controllo?
Metalmeccanici, si torna alle “lotte”
Sottovalutare la recrudescenza delle manifestazioni sindacali agevola le devianzedi Flavio Pasotti - 18 gennaio 2006
Vorrei richiamare l’attenzione su un argomento apparentemente, e solo apparentemente, da addetti ai lavori come è la trattativa sul contratto dei metalmeccanici. In sé non c’è nulla di eccezionale: il Ccnl (Contratto collettivo nazionale di lavoro) è uno strumento vecchio – lo dicono tutti – per il quale non si è ancora trovato un buon sostituto. Ma in questa trattativa giocano cose che nulla hanno a che fare con l’oggetto in sé ma con i riflessi politici sia in termini di contenuti (la implicita contestazione della legge Biagi) sia in termini di schieramento (un movimentismo Fiom che è solo l’antipasto di ciò che capiterà con il governo di centro-sinistra). Tanto che si potrebbe finire qui, immaginando che la ritualità contrattuale porterà prima o poi ad una lunga notte che sancirà quanto da mesi si è già assunto e che il lancio delle uova, o l’occupazione di strade e ferrovie, è solo prodromico al lancio di agenzia che annuncia la firma del contratto.
C’è invece un aspetto molto infido, pericoloso e delicato sul quale è bene da subito accendere l’attenzione. Rispetto agli anni scorsi, anche ai momenti della cosiddetta firma separata sul contratto di cinque anni fa al quale si sottrasse la Fiom coperta dalla Cgil di Sergio Cofferati, la differenza sta proprio nei metodi della protesta o, più tecnicamente, della lotta. Ho visto con sorpresa una estrema personalizzazione dello scontro, soprattutto su Brescia e Torino che sono le residue patrie del leader della Fiom Giorgio Cremaschi: scioperi “cattivi”, con presidi e blocchi dei cancelli mirati solo su aziende di esponenti nemmeno di primo piano delle associazioni sindacali imprenditoriali; scioperi, questi, conditi con manifestini che invitavano i lavoratori a identificare, a mirare, il “nemico” inteso come singolo esponente del padronato e, per dirla con Lucio Dalla, questa è la novità. Una novità “rosso antico”, e per di più con un gusto un po’ forte, ai limiti dell’equivoco intimidatorio. Come pure i blocchi di ieri e di oggi: non sono stati operati da lavoratori di una fabbrica cotta, come spesso è capitato. No, in modo “militare” i lavoratori hanno occupato i tratti autostradali con perizia tattica accuratamente pianificata: quelli di una azienda lì, quelli dell’altra là. C’è, cioè, il tentativo di spiegare ai lavoratori che si può infrangere le regole non scritte che regolano i rapporti con il gruppo dirigente controparte o addirittura forzare il codice penale e impattare sulla vita dei cittadini per sostenere una causa, alimentando la favola che la difesa dei diritti la si fa anche manu militari e che legittimamente a diritto violato si può e si deve rispondere con la violazione del diritto. Convalidando in questo modo la tesi che i diritti del lavoratore siano stati in qualche modo lesi.
Su questa strada la Fiom non è sola: Uilm e Fim non riescono a sottrarsi, e pur comprendendo i rischi stanno al gioco. Ora, è bene ricordare che non c’è un limite “statutario” all’estremismo, mentre è implicita così facendo una sua legittimazione. E la Fiom non è la depositaria del questo si fa e questo no: in un’acqua così sappiamo bene quali pesci possono tornare a nuotare, a trovare coperture, a fare proselitismo, a trovare fiancheggiatori e logistica.
Non voglio esagerare: ma l’aria che si respira tende al mefitico e, temo, abbiano più segnali gli imprenditori che la Digos. Siamo sul crinale, e qualcuno ha voluto portarci lì. Un qualcuno che di cadere non ha paura, perché se cade lo fa da una parte evidentemente non sgradita. Fuor di perifrasi: cadere dalla parte sbagliata, cioè perdere su un contratto, è molto peggio che cadere dalla parte meno sgradita, cioè perdere perché sorpassati sul fronte dell’estremismo nella logica del tanto peggio tanto meglio.
C’è invece un aspetto molto infido, pericoloso e delicato sul quale è bene da subito accendere l’attenzione. Rispetto agli anni scorsi, anche ai momenti della cosiddetta firma separata sul contratto di cinque anni fa al quale si sottrasse la Fiom coperta dalla Cgil di Sergio Cofferati, la differenza sta proprio nei metodi della protesta o, più tecnicamente, della lotta. Ho visto con sorpresa una estrema personalizzazione dello scontro, soprattutto su Brescia e Torino che sono le residue patrie del leader della Fiom Giorgio Cremaschi: scioperi “cattivi”, con presidi e blocchi dei cancelli mirati solo su aziende di esponenti nemmeno di primo piano delle associazioni sindacali imprenditoriali; scioperi, questi, conditi con manifestini che invitavano i lavoratori a identificare, a mirare, il “nemico” inteso come singolo esponente del padronato e, per dirla con Lucio Dalla, questa è la novità. Una novità “rosso antico”, e per di più con un gusto un po’ forte, ai limiti dell’equivoco intimidatorio. Come pure i blocchi di ieri e di oggi: non sono stati operati da lavoratori di una fabbrica cotta, come spesso è capitato. No, in modo “militare” i lavoratori hanno occupato i tratti autostradali con perizia tattica accuratamente pianificata: quelli di una azienda lì, quelli dell’altra là. C’è, cioè, il tentativo di spiegare ai lavoratori che si può infrangere le regole non scritte che regolano i rapporti con il gruppo dirigente controparte o addirittura forzare il codice penale e impattare sulla vita dei cittadini per sostenere una causa, alimentando la favola che la difesa dei diritti la si fa anche manu militari e che legittimamente a diritto violato si può e si deve rispondere con la violazione del diritto. Convalidando in questo modo la tesi che i diritti del lavoratore siano stati in qualche modo lesi.
Su questa strada la Fiom non è sola: Uilm e Fim non riescono a sottrarsi, e pur comprendendo i rischi stanno al gioco. Ora, è bene ricordare che non c’è un limite “statutario” all’estremismo, mentre è implicita così facendo una sua legittimazione. E la Fiom non è la depositaria del questo si fa e questo no: in un’acqua così sappiamo bene quali pesci possono tornare a nuotare, a trovare coperture, a fare proselitismo, a trovare fiancheggiatori e logistica.
Non voglio esagerare: ma l’aria che si respira tende al mefitico e, temo, abbiano più segnali gli imprenditori che la Digos. Siamo sul crinale, e qualcuno ha voluto portarci lì. Un qualcuno che di cadere non ha paura, perché se cade lo fa da una parte evidentemente non sgradita. Fuor di perifrasi: cadere dalla parte sbagliata, cioè perdere su un contratto, è molto peggio che cadere dalla parte meno sgradita, cioè perdere perché sorpassati sul fronte dell’estremismo nella logica del tanto peggio tanto meglio.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.