In Italia serve una " Große Koalition"
Merkel, salvaci
Una grande scelta per salvare l’Italia e la fragile impalcatura dell’eurodi Enrico Cisnetto - 23 settembre 2011
Con lo spread attestato sopra i 400 punti e di fronte al marasma politico-istituzionale in cui viviamo, e del quale non si vede né la fine né il possibile sbocco, l’Italia deve essere consapevole che esiste una sola possibilità di salvezza dalla catastrofe, e si chiama Große Koalition.
Sì, scritto alla tedesca, perché è della Grande Coalizione della Germania, perduta e da ritrovare, che intendo parlare. Proprio così, la nostra unica speranza è quell’accordo tra democratico-cristiani e socialdemocratici che ha consentito alla Germania unificata di portare a termine quello straordinario turnaround – il solo in Europa – che le ha permesso di tornare ad essere competitiva nell’economia globalizzata e di giocarsi con la Cina il primato nella classifica mondiale dei maggiori paesi esportatori. Nel periodo tra il novembre del 2005 e il settembre del 2009, il governo Cdu/Csu e Spd presieduto da Angela Merkel è stato infatti determinante per completare il programma di riconversione dell’economia tedesca avviato dal socialdemocratico Gerhard Schröder, che avendo prodotto 5 milioni di disoccupati – prezzo da pagare inevitabile se si voleva creare le condizioni di un nuovo modello di sviluppo, come è stato – richiedeva una condivisione del prezzo politico da pagare. Una scelta lungimirante.
Non altrettanto quella della stessa Merkel di interrompere quell’esperienza, e di ripiegare sulla più facile ma più modesta alleanza con i liberali. Risultato: tornata al governo, la cancelliera non è azzeccata più una, ed è stata ripagata dagli elettori con sonore sconfitte in tutte le elezioni intermedie – ultima quella a Berlino di domenica scorsa – fino al punto di patire una pubblica riprovazione da parte del suo antico maestro Helmut Kohl. Si dirà: ma che c’entra la politica tedesca con l’Italia? Non abbiamo già abbastanza guai da doverci occupare di quelli degli altri? In realtà, con il riesplodere della crisi finanziaria, prima per la Grecia e poi per gli altri paesi europei messi nel mirino dei mercati, il nodo è quello della moneta unica, o per meglio dire dell’eurosistema.
E come ho detto più volte, l’unico modo per salvare l’euro e con esso la costruzione comune europea è quello di fare in tempi rapidi gli Stati Uniti d’Europa. Ma la costruzione federale che avrebbe dovuto precedere o quantomeno accompagnare il trattato di Maastricht e la nascita dell’euro e che purtroppo non si è fatta, possono solo realizzarla i tre paesi più grandi, Germania, Francia e Italia. Ed è evidente che tra essi, il ruolo decisivo ce l’ha Berlino.
Ma siccome nel frattempo i cittadini tedeschi, psicologicamente orfani del marco, sono giustamente infuriati dalla prospettiva di dover pagare i costi dei salvataggi dei paesi esposti, e imputano alla Merkel di non avere polso sufficiente contro le “cicale” che hanno vissuto per anni al di sopra delle loro possibilità, è indispensabile che la responsabilità del passo successivo – un governo centrale eletto direttamente dai cittadini con l’euro in tasca, e gli attuali governi nazionali a svolgere il ruolo di macro-regioni – se la prenda un governo di Große Koalition. O quello, o niente.
Ma niente significa che si potrà forse salvare la Grecia – ammesso e non concesso che, quasi due anni dopo l’esplodere della crisi ellenica, vada a buon fine il piano concepito con grande fatica dall’Europa – ma certo non un paese come l’Italia, che avrebbe un costo sette volte più grande. E che la tendenza sia quella di creare le condizioni per far saltare il banco (l’euro) attraverso la messa in ginocchio di uno dei giocatori (l’Italia), è ormai chiaro come il sole. Attenzione, non parlo di complotti, di forze oscure, di poteri forti che tramano nell’ombra. Si usa il termine “speculatori”, come se si trattasse dei “monatti” della descrizione manzoniana della peste, per indicare i soggetti cui si fa risalire la colpa di aver ordito contro i titoli pubblici italiani. A parte la contraddizione in cui cade chi ripone fede cieca nel “mercato” e poi s’indigna con coloro che, smithianamente, cercano il profitto, il rischio è di cercare alibi per coprire i nostri errori. Siamo noi che abbiamo 1911 miliardi di debiti – il governo ha appena aggiornato le stime, quest’anno corrisponderanno al 120,6% del pil – e siamo sempre noi che in 20 anni (tanti ne sono passati dalla firma del Trattato di Maastrischt) non siamo stati capaci di ridurne il peso nonostante quasi 200 miliardi (rivalutati al 2005) di patrimonio venduto.
Ma se l’Italia non ce la dovesse fare, cadrebbe la fragile impalcatura dell’euro. Per questo sulla Germania grava il peso dell’unica via d’uscita. Signora Merkel, si faccia dare la benedizione dal suo concittadino Ratzinger ma soprattutto chieda consiglio al vecchio Kohl. Poi chiami Sigmar Gabriel e chieda all’Spd di condividere la responsabilità della “grande scelta”. Siamo tutti nelle sue mani, a cominciare da quelli che hanno usato nei suoi confronti parole irripetibili, che lei avrà cristianamente la bontà di perdonare. La prego, si salvi e ci salvi.
Sì, scritto alla tedesca, perché è della Grande Coalizione della Germania, perduta e da ritrovare, che intendo parlare. Proprio così, la nostra unica speranza è quell’accordo tra democratico-cristiani e socialdemocratici che ha consentito alla Germania unificata di portare a termine quello straordinario turnaround – il solo in Europa – che le ha permesso di tornare ad essere competitiva nell’economia globalizzata e di giocarsi con la Cina il primato nella classifica mondiale dei maggiori paesi esportatori. Nel periodo tra il novembre del 2005 e il settembre del 2009, il governo Cdu/Csu e Spd presieduto da Angela Merkel è stato infatti determinante per completare il programma di riconversione dell’economia tedesca avviato dal socialdemocratico Gerhard Schröder, che avendo prodotto 5 milioni di disoccupati – prezzo da pagare inevitabile se si voleva creare le condizioni di un nuovo modello di sviluppo, come è stato – richiedeva una condivisione del prezzo politico da pagare. Una scelta lungimirante.
Non altrettanto quella della stessa Merkel di interrompere quell’esperienza, e di ripiegare sulla più facile ma più modesta alleanza con i liberali. Risultato: tornata al governo, la cancelliera non è azzeccata più una, ed è stata ripagata dagli elettori con sonore sconfitte in tutte le elezioni intermedie – ultima quella a Berlino di domenica scorsa – fino al punto di patire una pubblica riprovazione da parte del suo antico maestro Helmut Kohl. Si dirà: ma che c’entra la politica tedesca con l’Italia? Non abbiamo già abbastanza guai da doverci occupare di quelli degli altri? In realtà, con il riesplodere della crisi finanziaria, prima per la Grecia e poi per gli altri paesi europei messi nel mirino dei mercati, il nodo è quello della moneta unica, o per meglio dire dell’eurosistema.
E come ho detto più volte, l’unico modo per salvare l’euro e con esso la costruzione comune europea è quello di fare in tempi rapidi gli Stati Uniti d’Europa. Ma la costruzione federale che avrebbe dovuto precedere o quantomeno accompagnare il trattato di Maastricht e la nascita dell’euro e che purtroppo non si è fatta, possono solo realizzarla i tre paesi più grandi, Germania, Francia e Italia. Ed è evidente che tra essi, il ruolo decisivo ce l’ha Berlino.
Ma siccome nel frattempo i cittadini tedeschi, psicologicamente orfani del marco, sono giustamente infuriati dalla prospettiva di dover pagare i costi dei salvataggi dei paesi esposti, e imputano alla Merkel di non avere polso sufficiente contro le “cicale” che hanno vissuto per anni al di sopra delle loro possibilità, è indispensabile che la responsabilità del passo successivo – un governo centrale eletto direttamente dai cittadini con l’euro in tasca, e gli attuali governi nazionali a svolgere il ruolo di macro-regioni – se la prenda un governo di Große Koalition. O quello, o niente.
Ma niente significa che si potrà forse salvare la Grecia – ammesso e non concesso che, quasi due anni dopo l’esplodere della crisi ellenica, vada a buon fine il piano concepito con grande fatica dall’Europa – ma certo non un paese come l’Italia, che avrebbe un costo sette volte più grande. E che la tendenza sia quella di creare le condizioni per far saltare il banco (l’euro) attraverso la messa in ginocchio di uno dei giocatori (l’Italia), è ormai chiaro come il sole. Attenzione, non parlo di complotti, di forze oscure, di poteri forti che tramano nell’ombra. Si usa il termine “speculatori”, come se si trattasse dei “monatti” della descrizione manzoniana della peste, per indicare i soggetti cui si fa risalire la colpa di aver ordito contro i titoli pubblici italiani. A parte la contraddizione in cui cade chi ripone fede cieca nel “mercato” e poi s’indigna con coloro che, smithianamente, cercano il profitto, il rischio è di cercare alibi per coprire i nostri errori. Siamo noi che abbiamo 1911 miliardi di debiti – il governo ha appena aggiornato le stime, quest’anno corrisponderanno al 120,6% del pil – e siamo sempre noi che in 20 anni (tanti ne sono passati dalla firma del Trattato di Maastrischt) non siamo stati capaci di ridurne il peso nonostante quasi 200 miliardi (rivalutati al 2005) di patrimonio venduto.
Ma se l’Italia non ce la dovesse fare, cadrebbe la fragile impalcatura dell’euro. Per questo sulla Germania grava il peso dell’unica via d’uscita. Signora Merkel, si faccia dare la benedizione dal suo concittadino Ratzinger ma soprattutto chieda consiglio al vecchio Kohl. Poi chiami Sigmar Gabriel e chieda all’Spd di condividere la responsabilità della “grande scelta”. Siamo tutti nelle sue mani, a cominciare da quelli che hanno usato nei suoi confronti parole irripetibili, che lei avrà cristianamente la bontà di perdonare. La prego, si salvi e ci salvi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.