Le contraddizioni della politica economica
Manovra, guai a penalizzare le nostre banche
Smettiamola con questo assurdo tiro al piccione contro le banche. Hanno molti difetti, ma sono indispensabili per uscire dalla crisidi Enrico Cisnetto - 10 novembre 2013
Di tutto hanno bisogno le banche italiane, e con loro l’intero sistema economico che da esse molto dipende, meno che il governo gli scarichi addosso le contraddizioni di una politica economica a dir poco erratica. Sfumata – per fortuna – l’ipotesi di compensare l’abolizione della seconda rata dell’Imu, pari ad un paio di miliardi, aumentando gli acconti Ires e Irap per le imprese, ora si punta – per disgrazia – a trovare la copertura scaricandone tutto il costo sugli acconti che devono pagare le banche, facendoli salire ad una percentuale che si dovrebbe aggirare intorno al 120%. Una follia.
Ma come, si predica che dobbiamo uscire dalla recessione e ritrovare la via della crescita, si chiede al sistema creditizio di finanziare la ripresa, e poi per coprire il buco nei conti procurato da una riduzione fiscale che non ha portato e non porterà alcun sollievo alla nostra agonizzante economia, si spremono o le imprese o le banche? D’accordo che predicare bene e razzolare male è caratteristica italica, ma questo è davvero troppo. Si dirà: visto che l’abolizione della tassa sugli immobili è questione dalla quale dipende la sopravvivenza del governo, è inutile piangere sul latte versato, da qualche parte le risorse vanno pur trovate.
Giusto. Ma allora, considerato che alle banche si guarda come mucche da mungere, perché non recuperare quella copertura facendo finalmente la rivalutazione delle quote di Bankitalia detenute dalle banche? Si tratta di un’operazione invocata da tempo infinito, che sarebbe utile sia alle banche stesse – perché rivalutando quelle quote che ora hanno nei bilanci a costo storico, potrebbero rafforzare i patrimoni e con ciò migliorare quei ratios con cui si valuta la loro adeguatezza a fronteggiare quei 140 miliardi di sofferenze che hanno fin qui accumulato a causa della crisi – sia all’erario, che incasserebbe nuove imposte. Quante? Siccome nel rapporto sull’aggiornamento del valore delle quote di capitale della banca centrale, redatto su richiesta del Tesoro dalla stessa Bankitalia, è indicato che quel valore complessivo si collocherebbe in “un intervallo compreso tra 5 e 7,5 miliardi”, chi ha già fatto i conti ha dedotto che la manovra porterebbe nelle esangui casse dello Stato da 750 milioni a 1 miliardo sotto forma di imposta di registro.
Non basta? Intanto cominciamo a portare a casa quelli, che sono soldi “virtuosi”. E poi potrebbero essere anche il doppio, visto che si è stati esattamente alla metà della forchetta di 10-15 miliardi che molti banchieri avevano calcolato. Si dice: l’operazione è complessa, difficile portarla a termine in tempo utile. Balle. Sono anni che se ne parla, i dettagli sono già stati tutti studiati, basta solo metterci la volontà.
E comunque smettiamola con questo assurdo tiro al piccione contro le banche. Che hanno molti difetti, che devono ammodernarsi – come hanno recentemente concordato il presidente dell’Abi Patuelli e il governatore di Bankitalia Visco – ma che sono indispensabili per uscire dalla crisi, tanto più a fronte di un capitalismo come il nostro così fortemente sottocapitalizzato e dunque dipendente dal credito bancario.
In Europa, dietro il processo di integrazione bancaria, si sta giocando una durissima partita per stabilire chi predominerà. Penalizzare le nostre banche in questo momento è l’atto più autolesionistico che un governo può fare. (twitter @ecisnetto)
Ma come, si predica che dobbiamo uscire dalla recessione e ritrovare la via della crescita, si chiede al sistema creditizio di finanziare la ripresa, e poi per coprire il buco nei conti procurato da una riduzione fiscale che non ha portato e non porterà alcun sollievo alla nostra agonizzante economia, si spremono o le imprese o le banche? D’accordo che predicare bene e razzolare male è caratteristica italica, ma questo è davvero troppo. Si dirà: visto che l’abolizione della tassa sugli immobili è questione dalla quale dipende la sopravvivenza del governo, è inutile piangere sul latte versato, da qualche parte le risorse vanno pur trovate.
Giusto. Ma allora, considerato che alle banche si guarda come mucche da mungere, perché non recuperare quella copertura facendo finalmente la rivalutazione delle quote di Bankitalia detenute dalle banche? Si tratta di un’operazione invocata da tempo infinito, che sarebbe utile sia alle banche stesse – perché rivalutando quelle quote che ora hanno nei bilanci a costo storico, potrebbero rafforzare i patrimoni e con ciò migliorare quei ratios con cui si valuta la loro adeguatezza a fronteggiare quei 140 miliardi di sofferenze che hanno fin qui accumulato a causa della crisi – sia all’erario, che incasserebbe nuove imposte. Quante? Siccome nel rapporto sull’aggiornamento del valore delle quote di capitale della banca centrale, redatto su richiesta del Tesoro dalla stessa Bankitalia, è indicato che quel valore complessivo si collocherebbe in “un intervallo compreso tra 5 e 7,5 miliardi”, chi ha già fatto i conti ha dedotto che la manovra porterebbe nelle esangui casse dello Stato da 750 milioni a 1 miliardo sotto forma di imposta di registro.
Non basta? Intanto cominciamo a portare a casa quelli, che sono soldi “virtuosi”. E poi potrebbero essere anche il doppio, visto che si è stati esattamente alla metà della forchetta di 10-15 miliardi che molti banchieri avevano calcolato. Si dice: l’operazione è complessa, difficile portarla a termine in tempo utile. Balle. Sono anni che se ne parla, i dettagli sono già stati tutti studiati, basta solo metterci la volontà.
E comunque smettiamola con questo assurdo tiro al piccione contro le banche. Che hanno molti difetti, che devono ammodernarsi – come hanno recentemente concordato il presidente dell’Abi Patuelli e il governatore di Bankitalia Visco – ma che sono indispensabili per uscire dalla crisi, tanto più a fronte di un capitalismo come il nostro così fortemente sottocapitalizzato e dunque dipendente dal credito bancario.
In Europa, dietro il processo di integrazione bancaria, si sta giocando una durissima partita per stabilire chi predominerà. Penalizzare le nostre banche in questo momento è l’atto più autolesionistico che un governo può fare. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.