Da Mussolini a Berlusconi e ritorno?
Ma la storia non finisce qui
I fantasmi fuori tempo e misura di un’opposizione senza ideedi Elio Di Caprio - 03 giugno 2010
I diaframmi dei 150 anni della storia (quasi) unitaria dell’Italia continuano a pesare nei facili e scontati accostamenti di esperienze politiche completamente diverse, quasi si volesse sempre scorgere un unico filo conduttore che le lega ed attraversa sulla base di una visione antropologica dell’italiano medio, ieri fascista e oggi berlusconiano. E’ un tic o un pensiero recondito di certa sinistra abituata da decenni ai transfert immaginari per coprire le proprie inadeguatezze.
Ma perché come italiani- gli altri neanche ci pensano- ci ritroviamo sempre a fare riferimenti, fuori luogo e fuori tempo, con epoche passate con la pretesa di ricavarne improbabili corsi e ricorsi storici? Ieri Mussolini, ora Berlusconi- così si dice - ieri il fascismo e oggi il berlusconismo, accettati e condivisi dalla maggioranza della popolazione, con l’aggravante che con il fascismo si è condiviso un sistema autoritario-dittatoriale che certo, nonostante tanti sforzi della sinistra, non si può imputare al sondaggista Silvio Berlusconi... I paragoni forzati per dimostrare un paradigma comune nella storia italiana si spingono fino a parlare di “trentennio berlusconiano”- evocato dal titolo di un saggio appena uscito- che farebbe da pendant al ben più famoso e breve ventennio fascista, nato e morto tra le date fatidiche di due conflitti mondiali.
Basterebbe quest’ultima circostanza per smontare qualsiasi similitudine tra due epoche storiche e due culture profondamente diverse e qualche volta opposte. Non appare ad esempio francamente grottesco voler paragonare il “partito dell’amore”, il PDL nato sul predellino, al marziale partito fascista di cui tutto si può dire tranne che non avesse nel suo dna la predisposizione al conflitto e talora alla violenza? Come si fa a paragonare lo stile autoritario di un Mussolini che riesce a mobilitare per ben venti anni un intero popolo fino alla guerra con lo stile suadente e accattivante di un Silvio Berlusconi da cui, come ha scritto impietosamente il finiano Alessandro Campi, traspare piuttosto un’ idea ludico-cosmetica della politica?
E’ profondamente cambiato lo spirito dei tempi, eppure il fantasma fascista viene ancora evocato – ci mancava la famosa “legge bavaglio” di questi giorni sulle intercettazioni per rinverdire vecchi linguaggi di opposizione alla dittatura fascista in arrivo - dopo che per decenni erano prevalse analisi di tutt’altro spessore.
Ma ora chi le fa le analisi ideologiche? Forse Antonio Di Pietro? E’ rimasta però immutata una forma mentis residuale di sinistra, quella azionista che, una volta cadute le vecchie interpretazioni, scorge il fascismo tendenziale ovunque. E’ la posizione di chi, quale unica elite che capisce, si chiama fuori dalla realtà circostante in cui è “costretto” a vivere perchè pensa (sbagliando) di non avere alcuna responsabilità per il corso degli eventi. Certa sinistra neanche si chiede se molti degli esiti storici contestati – in questo caso il berlusconismo- possano essere il frutto (sì indesiderato) dei propri errori o di tendenze culturali condivise che hanno prodotto storicamente il loro contrario proprio perchè troppo a lungo egemoni e incapaci di rinnovarsi.
Si può sempre giocare con i raffronti e le affinità di epoche e di uomini, parlare a vanvera di dittatura e di mancanza della libertà, di nuovo fascismo in atto o alle porte quando invece i problemi del prossimo futuro sono ben altri: da una parte, dopo 150 anni, il pericolo di uno spezzettamento prima psicologico e poi reale dello Stato unitario, dall’altra non si ammette che il vero problema è l’Italia che non cresce più senza che nessuno abbia la ricetta magica, né Berlusconi, né altri, per impedire un ulteriore declino.
Se è così, è tutta colpa del fascismo di ieri e del berlusconismo di oggi? Ma allora perché meravigliarsi che al gioco delle parole non si sottragga lo stesso Berlusconi quando con falsa ingenuità ha parlato del suo scarso potere personale che, come nel fascismo, viene piuttosto esercitato dai suoi gerarchi ( ma chi? Tremonti? Bondi? Brunetta? Carfagna? Verdini?), rievocando così per analogia l’impotenza sua e dei veri dittatori? Di questo passo arriverà anche il momento per il Cavaliere di lamentarsi dei “ras di provincia” e tra poco di quelli regionali o che dica, come Mussolini, che governare gli italiani non è difficile, ma inutile. Sarebbe il manifesto appropriato per chi è entrato in politica facendosi alfiere dell’antipolitica ed ora, con l’aggravarsi della crisi economica da lui sottovalutata, vuol fare intendere che tutto sarebbe più facile se lasciassero fare a lui, l’antipolitico per eccellenza, senza gli intralci posti dai gerarchi.
Ma poi, a proposito dei vituperati “gerarchi” alla Tremonti o alla Brunetta, essi sono più che funzionali al gioco delle parti di cui è maestro l’astuto Cavaliere che riesce ad annunciare o fare annunciare “sacrifici per tutti” solo quando si è reso conto che un altro bluff non reggerebbe non tanto nei confronti dell’Italia quanto dell’Europa. E a chi toccano i primi sacrifici? Si parte pur sempre dall’enorme platea dei dipendenti pubblici, più di 3 milioni e duecentomila, fannulloni per definizione secondo la propaganda del gerarca Brunetta ed ora –finalmente lo sappiamo- super pagati.
Passerà pure la stagione del berlusconismo e del suo format sempre più in bilico nell’affrontare i temi reali. Perché allora esercitarsi in raffronti forzati con altre epoche? Per dimostrare che gli italiani ( gli altri) sono sempre gli stessi e così come si meritavano Mussolini si meritano Berlusconi e poi si pentiranno? Per far quadrare il cerchio si aspetta solo che vengano riprese e citate le riflessioni che l’ultimo Mussolini fece nel ’45 al giornalista Ivanoe Fossati in cui il Duce sosteneva che il fascismo non l’aveva creato lui, ma di averlo tratto dall’inconscio degli italiani, non per caso proni al suo volere per venti lunghi anni. Si dirà lo stesso degli italiani di questo inizio secolo, berlusconiani senza saperlo? C’è già chi a sinistra è pronto a sottoscriverlo per darsi ragione della propria sconfitta o della propria incapacità oppositiva.
Ma di questo passo, rincorrendo i fantasmi non ci si accorgerà neppure che il dopo Berlusconi è forse già cominciato e che le vecchie carte propagandistiche se non sono servite fino ad ora, men che mai potranno essere giocate in futuro per vincere la partita.
Ma perché come italiani- gli altri neanche ci pensano- ci ritroviamo sempre a fare riferimenti, fuori luogo e fuori tempo, con epoche passate con la pretesa di ricavarne improbabili corsi e ricorsi storici? Ieri Mussolini, ora Berlusconi- così si dice - ieri il fascismo e oggi il berlusconismo, accettati e condivisi dalla maggioranza della popolazione, con l’aggravante che con il fascismo si è condiviso un sistema autoritario-dittatoriale che certo, nonostante tanti sforzi della sinistra, non si può imputare al sondaggista Silvio Berlusconi... I paragoni forzati per dimostrare un paradigma comune nella storia italiana si spingono fino a parlare di “trentennio berlusconiano”- evocato dal titolo di un saggio appena uscito- che farebbe da pendant al ben più famoso e breve ventennio fascista, nato e morto tra le date fatidiche di due conflitti mondiali.
Basterebbe quest’ultima circostanza per smontare qualsiasi similitudine tra due epoche storiche e due culture profondamente diverse e qualche volta opposte. Non appare ad esempio francamente grottesco voler paragonare il “partito dell’amore”, il PDL nato sul predellino, al marziale partito fascista di cui tutto si può dire tranne che non avesse nel suo dna la predisposizione al conflitto e talora alla violenza? Come si fa a paragonare lo stile autoritario di un Mussolini che riesce a mobilitare per ben venti anni un intero popolo fino alla guerra con lo stile suadente e accattivante di un Silvio Berlusconi da cui, come ha scritto impietosamente il finiano Alessandro Campi, traspare piuttosto un’ idea ludico-cosmetica della politica?
E’ profondamente cambiato lo spirito dei tempi, eppure il fantasma fascista viene ancora evocato – ci mancava la famosa “legge bavaglio” di questi giorni sulle intercettazioni per rinverdire vecchi linguaggi di opposizione alla dittatura fascista in arrivo - dopo che per decenni erano prevalse analisi di tutt’altro spessore.
Ma ora chi le fa le analisi ideologiche? Forse Antonio Di Pietro? E’ rimasta però immutata una forma mentis residuale di sinistra, quella azionista che, una volta cadute le vecchie interpretazioni, scorge il fascismo tendenziale ovunque. E’ la posizione di chi, quale unica elite che capisce, si chiama fuori dalla realtà circostante in cui è “costretto” a vivere perchè pensa (sbagliando) di non avere alcuna responsabilità per il corso degli eventi. Certa sinistra neanche si chiede se molti degli esiti storici contestati – in questo caso il berlusconismo- possano essere il frutto (sì indesiderato) dei propri errori o di tendenze culturali condivise che hanno prodotto storicamente il loro contrario proprio perchè troppo a lungo egemoni e incapaci di rinnovarsi.
Si può sempre giocare con i raffronti e le affinità di epoche e di uomini, parlare a vanvera di dittatura e di mancanza della libertà, di nuovo fascismo in atto o alle porte quando invece i problemi del prossimo futuro sono ben altri: da una parte, dopo 150 anni, il pericolo di uno spezzettamento prima psicologico e poi reale dello Stato unitario, dall’altra non si ammette che il vero problema è l’Italia che non cresce più senza che nessuno abbia la ricetta magica, né Berlusconi, né altri, per impedire un ulteriore declino.
Se è così, è tutta colpa del fascismo di ieri e del berlusconismo di oggi? Ma allora perché meravigliarsi che al gioco delle parole non si sottragga lo stesso Berlusconi quando con falsa ingenuità ha parlato del suo scarso potere personale che, come nel fascismo, viene piuttosto esercitato dai suoi gerarchi ( ma chi? Tremonti? Bondi? Brunetta? Carfagna? Verdini?), rievocando così per analogia l’impotenza sua e dei veri dittatori? Di questo passo arriverà anche il momento per il Cavaliere di lamentarsi dei “ras di provincia” e tra poco di quelli regionali o che dica, come Mussolini, che governare gli italiani non è difficile, ma inutile. Sarebbe il manifesto appropriato per chi è entrato in politica facendosi alfiere dell’antipolitica ed ora, con l’aggravarsi della crisi economica da lui sottovalutata, vuol fare intendere che tutto sarebbe più facile se lasciassero fare a lui, l’antipolitico per eccellenza, senza gli intralci posti dai gerarchi.
Ma poi, a proposito dei vituperati “gerarchi” alla Tremonti o alla Brunetta, essi sono più che funzionali al gioco delle parti di cui è maestro l’astuto Cavaliere che riesce ad annunciare o fare annunciare “sacrifici per tutti” solo quando si è reso conto che un altro bluff non reggerebbe non tanto nei confronti dell’Italia quanto dell’Europa. E a chi toccano i primi sacrifici? Si parte pur sempre dall’enorme platea dei dipendenti pubblici, più di 3 milioni e duecentomila, fannulloni per definizione secondo la propaganda del gerarca Brunetta ed ora –finalmente lo sappiamo- super pagati.
Passerà pure la stagione del berlusconismo e del suo format sempre più in bilico nell’affrontare i temi reali. Perché allora esercitarsi in raffronti forzati con altre epoche? Per dimostrare che gli italiani ( gli altri) sono sempre gli stessi e così come si meritavano Mussolini si meritano Berlusconi e poi si pentiranno? Per far quadrare il cerchio si aspetta solo che vengano riprese e citate le riflessioni che l’ultimo Mussolini fece nel ’45 al giornalista Ivanoe Fossati in cui il Duce sosteneva che il fascismo non l’aveva creato lui, ma di averlo tratto dall’inconscio degli italiani, non per caso proni al suo volere per venti lunghi anni. Si dirà lo stesso degli italiani di questo inizio secolo, berlusconiani senza saperlo? C’è già chi a sinistra è pronto a sottoscriverlo per darsi ragione della propria sconfitta o della propria incapacità oppositiva.
Ma di questo passo, rincorrendo i fantasmi non ci si accorgerà neppure che il dopo Berlusconi è forse già cominciato e che le vecchie carte propagandistiche se non sono servite fino ad ora, men che mai potranno essere giocate in futuro per vincere la partita.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.