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L'Italia e l'arrivo della troika

L'ultimo tentativo

Il pericolo che si profila all'orizzonte è che l’umiliazione subita dall’Italia al vertice di Cannes del novembre 2011 possa ripetersi presto

di Enrico Cisnetto - 13 luglio 2012

Ormai è chiaro: l’Italia, dopo aver respinto lo scorso novembre, ancora Berlusconi premier, un prestito “peloso” da 60 miliardi del Fondo Monetario, e dopo aver negato con Monti di averne bisogno perché una colossale opera di risanamento è (sarebbe) stata avviata, in autunno sarà costretta a chiedere aiuto alla troika Ue-Bce-Fmi. Anche l’ultimo tentativo, quello dello scudo anti-spread, sembra infatti caduto sotto i colpi di chi – Germania e paesi alleati – aveva lasciato credere che al vertice Ue di Bruxelles avessero vinto i due paesi finalisti degli europei di calcio. E il differenziale con i bund tedeschi, tornato ai livelli dei momenti più caldi della “euro-guerra”, è lì a certificare che questo è il giudizio inappellabile dei mercati. Lo stesso Monti lo ha ammesso: “sarebbe ardito dire che l’Italia non avrà mai bisogno di questo o di quel fondo, il principio della prudenza induce a non dirlo”. Certo, il nostro premier rimarca la differenza fra lo scudo anti-spread per i paesi “virtuosi”, cioè che hanno conti pubblici non divergenti dalle previsioni – per i quali a fronte di acquisti di titoli sul mercato primario e secondario allo scopo di contenere le fluttuazioni degli spread, basterebbe firmare un “memorandum d’intesa leggero” – e gli aiuti a paesi con “squilibri” (Grecia e Portogallo, mentre l’Irlanda è sulla buona strada) che dovrebbero accettare un “memorandum plus” con intervento della troika. Ma è proprio questo schema che il 20 luglio, al prossimo vertice Ue, rischia di essere spazzato via. E poi: siamo sicuri che il consuntivo 2012, avendo escluso (per fortuna) un ulteriore ritocco dell’Iva, confermi il percorso verso il pareggio di bilancio nel 2013 come promesso in sede comunitaria? Già Ocse (2014) e Fmi (addirittura 2017) hanno detto che l’azzeramento del deficit slitterà, per colpa dei tassi troppo alti che appesantiscono gli oneri sul debito (scommettiamo che si arriva a 100 miliardi a fine anno?) e per un decrescita del pil più accentuata del previsto (ieri il neo-ministro Grilli ha avvalorato la stima di -2% fatta da Bankitalia). E qui siamo a ciò che fa il governo. L’idea di Monti che “ci vorrà del tempo” ma prima o poi le misure del governo “avranno effetti su crescita e occupazione”, somiglia troppo allo stellone berlusconiano per essere presa sul serio. La verità è che non avendo fatto – anzi, non avendo neppure preso in considerazione – l’operazione che da più parti è stata suggerita di una privatizzazione del patrimonio pubblico (con il coinvolgimento obbligatorio del patrimonio privato), non ci sono le condizioni né per abbattere il debito – cosa che deve sostituirsi alla compressione, inevitabilmente fatta con misure recessive, del deficit corrente – né per ricavare risorse significative per fare sviluppo. Le strade finora battute, quella della spending review e della lotta all’evasione, non possono che dare risultati modesti. Nel primo caso perché l’operazione Bondi si traduce in una lotta agli sprechi che è tanto utile moralmente quanto limitata sul piano delle risorse recuperate (ammesso e non concesso che i tagli per 4,2 miliardi indicati come obiettivo quest’anno siano davvero fatti) e sbagliata metodologicamente (il vero obiettivo sono le riforme strutturali per modernizzare e rendere efficiente il sistema-paese, che poi hanno come effetto collaterale la riduzione della spesa). Nel secondo caso, perché gli sforzi dell’ottimo Befera non possono che dare risultati poco più che simbolici (non a caso il capo dell’Agenzia delle Entrate definisce la sua come “opera di deterrenza”). E in effetti, nei primi cinque mesi del 2012 l’andamento degli incassi derivanti da attività di accertamento e controllo hanno sì fatto registrare un incremento dell’8,9%, ma in valore assoluto vuol dire +224 milioni. Per carità, il trend è in netta crescita (nel primo quadrimestre l’incremento era solo del 3,7%, pari a 74 milioni). Ma ben che vada alla fine dell’anno l’effettivo recupero complessivo di tasse non pagate arriverà ad una dozzina di miliardi, su una quarantina di imponibile accertato. Cioè il 10% dell’evasione stimata. Probabilmente per far meglio sarà utile leggersi le proposte indicate da Francesco Delzio in un libro pieno di “provocazioni” stimolanti (“Lotta di tasse”, edito da Rubbettino), specialmente laddove suggerisce di scrivere un nuovo patto sociale a difesa delle classi medie basato su una “tax compliance” che escluda le misure repressive, che si sono verificate poco efficaci e piene di controindicazioni, e invece renda il pagare le tasse più semplice e conveniente. Ma in tutti i casi avendo bene in mente che la piattaforma programmatica per l’uscita dalla recessione e l’apertura di una nuova fase stabile di solida crescita – unica garanzia per rendere duraturo e utile il rigore di bilancio – non può che fondarsi su una forte riduzione della pressione fiscale su imprese e lavoro, e che questa riduzione è illusorio pensare si possa basare sulle rivenienze dalla lotta all’evasione. Concludendo: non è che l’umiliazione subita dall’Italia al vertice di Cannes del novembre 2011 rischia di ripetersi presto?

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