Nuovo governo eletto dal parlamento o dai mercati?
L'ultima umiliazione
Quello che il parlamento dei nominati non è riuscito ad evitaredi Elio Di Caprio - 11 novembre 2011
E’ bastato l’apparire del “mostro” nascosto dello spread ed ecco che improvvisamente il passato prossimo è diventato il passato remoto di guitti e comparse che si agitano invano sul palcoscenico di casa inconsapevoli fino all’ultimo momento che l’agguato dei mercati avrebbero fatto piazza pulita di tutte le improvvisazioni e degli inganni che hanno caratterizzato la guida incerta del nostro Paese negli ultimi tre anni rendendo vano il gioco delle parti tra un Premier ottimista ed un Ministro dell’Economia arcigno e intransigente, incapaci entrambi però di salvare conti e reputazione dell’Italia. Ci dicevano che non avremmo mai fatto la fine della Spagna o della Grecia e invece…
Il giocattolo del berlusconismo si è rotto con il tonfo del disinganno e tutti tra poco vorranno prenderne le distanze, dai conniventi della prima e dell’ultima ora agli immarcescibili avversari che per lunghi anni si sono infilati da soli in una trappola propagandistica che ha rimosso la realtà e non ha evitato all’Italia di correre verso l’abisso con un debito pubblico minimamente scalfito e ridotto tra “prima” e “seconda” Repubblica.
Si è messo finalmente in moto un cambiamento etero diretto, ma il risultato visibile e umiliante per tutti noi è che i mercati esteri hanno sfiduciato insieme il Cavaliere e gli italiani obbedienti e disobbedienti ad un Premier (eletto dal popolo) che nel pieno di una crisi finanziaria drammatica che può arrivare al default del nostro paese fino a compromettere l’ esistenza stessa dell’euro non trova di meglio che rassicurare che tutto va bene perché i ristoranti in Italia sono pieni.
Tutto va bene, nessun pericolo ed allora perché si allarmano i governi esteri da Angela Merkel a Nikolas Sarkozy, allo stesso Obama? Per scaricare sulla piccola Italia indebitata i loro problemi ed i loro deficit? Passare dal dramma alla farsa e ritorno sembra ancora una maledizione tutta italiana. Mentre noi discutevamo ( meglio dire loro discutevano) della nipote di Mubarak rassicurati da Berlusconi e Tremonti che ai problemi seri ci pensavano loro- non eravamo pur sempre il Paese che stava uscendo meglio dalla crisi finanziaria? - lo spread, questo sconosciuto a tanti parlamentari che non ne sanno neppure il significato, era in agguato pronto a colpirci alla prima occasione propizia. Mentre le autorità monetarie europee iniziavano nel giugno scorso a indirizzarci lettere ufficiali e vincolanti di richiamo senza risposta perché decidessimo in fretta su tagli e riforme i leghisti a Pontida parlavano di quote-latte come del più grande problema nazionale in grado di compromettere la sopravvivenza del governo e ponevano con un appunto scritto a mano le loro condizioni ultimative a Silvio Berlusconi. Non sono passati neanche sei mesi e quello che si teme non è il default della Padania, ma il default dell’Italia intera.
Ma al minacciato default finanziario dell’Italia fa da pendant il default già in atto del sistema bipolare della Seconda Repubblica completamente impreparato alle nuove emergenze, neppure capace con un sistema di parlamentari nominati dall’alto di assicurarsene la fedeltà in frangenti drammatici, costretto a farsi commissariare da Giorgio Napolitano per evitare guai peggiori e rimettere in sesto l’immagine di un’Italia umiliata . Come ulteriore contrappasso alle illusioni seminate nell’ultimo decennio su una presunta semplificazione del linguaggio politico legata alla nuova stagione, gli ultimi fotogrammi del pantano in cui ci siamo cacciati e da cui non siamo ancora usciti ci rappresentano l’accavallarsi surreale e confuso di misure che nessuno è in grado di prendere e di capire tra legge finanziaria, legge di stabilità, maxiemendamento alla legge di stabilità in attesa del passo avanti o indietro o laterale o rimandato di Silvio Berlusconi.
L’intervento preventivo di Napolitano a favore di Mario Monti come futuro Presidente del Consiglio di un governo di emergenza ha reso persino inutili le rituali consultazioni da cui dovrebbe scaturire, secondo la prassi del nostro regime parlamentare, l’indicazione del nome del successore di Silvio Berlusconi. Ma siamo ancora in un regime parlamentare se dalla retorica insulsa del governo eletto dal popolo siamo passati direttamente al governo nominato dal Capo dello Stato ( e dai mercati?) e imposto al parlamento dei nominati? Già si prepara il prossimo teatrino tra chi ritiene la strada scelta dal Capo dello Stato come unica via possibile per tamponare e non certo per invertire la deriva finanziaria e chi si indigna che siano i mercati esteri a decidere di quale governo abbiamo bisogno e con quale programma.
Ma la vera umiliazione sarà tutta nostra se in frangenti così drammatici non faremo in tempo con una nuova legge elettorale a procedere ad un serio ricambio della classe politica minimamente rappresentativa che non debba dipendere solo dalle decisioni spartitorie delle segreterie di partito e sia in grado almeno di risparmiarci lo spettacolo (ancora in corso) di approssimazione, di incompetenza e di impotenza del parlamento dei nominati.
Tutto va bene, nessun pericolo ed allora perché si allarmano i governi esteri da Angela Merkel a Nikolas Sarkozy, allo stesso Obama? Per scaricare sulla piccola Italia indebitata i loro problemi ed i loro deficit? Passare dal dramma alla farsa e ritorno sembra ancora una maledizione tutta italiana. Mentre noi discutevamo ( meglio dire loro discutevano) della nipote di Mubarak rassicurati da Berlusconi e Tremonti che ai problemi seri ci pensavano loro- non eravamo pur sempre il Paese che stava uscendo meglio dalla crisi finanziaria? - lo spread, questo sconosciuto a tanti parlamentari che non ne sanno neppure il significato, era in agguato pronto a colpirci alla prima occasione propizia. Mentre le autorità monetarie europee iniziavano nel giugno scorso a indirizzarci lettere ufficiali e vincolanti di richiamo senza risposta perché decidessimo in fretta su tagli e riforme i leghisti a Pontida parlavano di quote-latte come del più grande problema nazionale in grado di compromettere la sopravvivenza del governo e ponevano con un appunto scritto a mano le loro condizioni ultimative a Silvio Berlusconi. Non sono passati neanche sei mesi e quello che si teme non è il default della Padania, ma il default dell’Italia intera.
Ma al minacciato default finanziario dell’Italia fa da pendant il default già in atto del sistema bipolare della Seconda Repubblica completamente impreparato alle nuove emergenze, neppure capace con un sistema di parlamentari nominati dall’alto di assicurarsene la fedeltà in frangenti drammatici, costretto a farsi commissariare da Giorgio Napolitano per evitare guai peggiori e rimettere in sesto l’immagine di un’Italia umiliata . Come ulteriore contrappasso alle illusioni seminate nell’ultimo decennio su una presunta semplificazione del linguaggio politico legata alla nuova stagione, gli ultimi fotogrammi del pantano in cui ci siamo cacciati e da cui non siamo ancora usciti ci rappresentano l’accavallarsi surreale e confuso di misure che nessuno è in grado di prendere e di capire tra legge finanziaria, legge di stabilità, maxiemendamento alla legge di stabilità in attesa del passo avanti o indietro o laterale o rimandato di Silvio Berlusconi.
L’intervento preventivo di Napolitano a favore di Mario Monti come futuro Presidente del Consiglio di un governo di emergenza ha reso persino inutili le rituali consultazioni da cui dovrebbe scaturire, secondo la prassi del nostro regime parlamentare, l’indicazione del nome del successore di Silvio Berlusconi. Ma siamo ancora in un regime parlamentare se dalla retorica insulsa del governo eletto dal popolo siamo passati direttamente al governo nominato dal Capo dello Stato ( e dai mercati?) e imposto al parlamento dei nominati? Già si prepara il prossimo teatrino tra chi ritiene la strada scelta dal Capo dello Stato come unica via possibile per tamponare e non certo per invertire la deriva finanziaria e chi si indigna che siano i mercati esteri a decidere di quale governo abbiamo bisogno e con quale programma.
Ma la vera umiliazione sarà tutta nostra se in frangenti così drammatici non faremo in tempo con una nuova legge elettorale a procedere ad un serio ricambio della classe politica minimamente rappresentativa che non debba dipendere solo dalle decisioni spartitorie delle segreterie di partito e sia in grado almeno di risparmiarci lo spettacolo (ancora in corso) di approssimazione, di incompetenza e di impotenza del parlamento dei nominati.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.