Giustizia a politica
L'occasione di Errani
Invidio Errani. Non sprechi l’occasione. E si ricordi che l’ultimo governo della sinistra cadde perché colpito da accuse penalidi Davide Giacalone - 09 novembre 2012
L’assoluzione di Vasco Errani, perché il fatto non sussiste, è una cosa di cui essere felici. Sapere che il governatore dell’Emilia Romagna, uomo di grande importanza nel Partito democratico, non ha usato fondi pubblici per favorire il fratello, dovrebbe essere confortante per tutti. Accoglierla come una buona notizia deve servire per ragionarne politicamente.
Si aggiunga un’altra notizia: il coordinatore nazionale di Italia Futura, Federico Vecchioni, che conosco e stimo, è stato rinviato a giudizio. Ha tato subito le dimissioni dall’incarico politico (ammesso che possa definirsi tale). Lo ha fatto per “coerenza”, ma forse gli sfugge la conseguenza. Egli dice di non temere nulla e di attendere il riconoscimento della propria innocenza. Glielo auguro. Lo auguro a noi tutti, perché sapere che la vita pubblica è popolata anche da tante persone per bene, al di là delle diverse idee, è cosa di cui rallegrarsi.
C’è un punto formale, che ha sostanza politica: Vecchioni è appena diventato un imputato, mentre Errani lo rimane, così come lo rimane Nichi Vendola, assolto la settimana scorsa. Restano tali fin quando la procura che li accusa, dopo il deposito delle motivazioni, ha la possibilità di appellare la sentenza. E se lo farà lo rimarranno a lungo, certo più in là delle imminenti scadenze elettorali. Cambia qualche cosa che siano stati assolti? Dal loro punto di vista personale sì, perché possono tirare un sospiro di sollievo e riporre fiducia nel corso della giustizia, ma dal punto di vista formale no: restano dei presunti innocenti, come lo è Vecchioni, come lo è anche chi in primo grado riporta una condanna. Il “processo”, in Italia, è fatto di tre gradi di giudizio e la parola definitiva è solo l’ultima. Può non piacere (a me non piace), ma è così.
E allora, se si dice “fuori gli inquisiti e gli imputati dalla politica, impediamo loro di candidarsi” s’intende con questo dire che tali signori devono essere fatti fuori? Se così fosse sarebbe contrario al diritto e protesterei difendendoli, per difendere il diritto. Se vale per loro, vale per tutti? E’ ovvio, perché se non vale per tutti non vale per nessuno. E allora smettiamola di dire fesserie qualunquiste e liberticide. Abbiamo bisogno di una giustizia che funzioni e che abbia tempi accettabili. Non abbiamo bisogno di processi di piazza o di epurazioni moralistiche. La prima cosa è sinonimo di civiltà (che comprende, inevitabilmente, anche l’errore giudiziario), la seconda è incarnazione d’inciviltà.
C’è un altro aspetto, rilevante: se il Tizio viene accusato e imputato, talché le cronache raccontino, ogni giorno, per mesi, i dettagli delle carte d’indagine, senza risparmio di bassezze, mentre il Caio subisce la stessa sorte procedimentale, ma incassa un atteggiamento meno maniacalmente ostile dei media, sicché si attende di conoscere le sentenze che lo riguardano, subiscono, il Tizio e il Caio, lo stesso trattamento? No, perché il primo sarà annientato uno o due lustri prima della sentenza. Se un governatore (neanche)imputato viene richiesto a gran voce e con gran coro di dimissioni, mentre un altro, imputato, no, fa una significativa differenza. Le idee possono essere diverse, non le regole: o vale che il sospettato si allontana dalla vita pubblica o no. La prima cosa, in Italia, equivale a consegnare assemblee elettive e governi alle procure. Quindi trattasi di principio giusto, ma suicida per la democrazia. Anche qui, la soluzione è la giustizia funzionante, non il moralismo imperante.
Un’ultima cosa: dire “se venissi condannato in primo grado mi dimetterei” (come fece Vendola) significa praticare un opaco compromesso fra il diritto e la demagogia giustizialista. Come detto, non cambia nulla. O ti dimetti perché imputato, da subito, o resti perché innocente, fino a prova contraria. La riforma della giustizia si deve fare con le leggi (per tutti), non a cura dell’ufficio stampa e propaganda (per pochi).
Oggi invidio Errani, perché si trova nella condizione e dalla parte giusta (purtroppo è così, da destra non potrebbe, e già solo questo dovrebbe far accapponare la pelle) per far valere le cose qui scritte. Non sprechi l’occasione. E si ricordi che l’ultimo governo della sinistra cadde perché colpito da accuse penali.
Si aggiunga un’altra notizia: il coordinatore nazionale di Italia Futura, Federico Vecchioni, che conosco e stimo, è stato rinviato a giudizio. Ha tato subito le dimissioni dall’incarico politico (ammesso che possa definirsi tale). Lo ha fatto per “coerenza”, ma forse gli sfugge la conseguenza. Egli dice di non temere nulla e di attendere il riconoscimento della propria innocenza. Glielo auguro. Lo auguro a noi tutti, perché sapere che la vita pubblica è popolata anche da tante persone per bene, al di là delle diverse idee, è cosa di cui rallegrarsi.
C’è un punto formale, che ha sostanza politica: Vecchioni è appena diventato un imputato, mentre Errani lo rimane, così come lo rimane Nichi Vendola, assolto la settimana scorsa. Restano tali fin quando la procura che li accusa, dopo il deposito delle motivazioni, ha la possibilità di appellare la sentenza. E se lo farà lo rimarranno a lungo, certo più in là delle imminenti scadenze elettorali. Cambia qualche cosa che siano stati assolti? Dal loro punto di vista personale sì, perché possono tirare un sospiro di sollievo e riporre fiducia nel corso della giustizia, ma dal punto di vista formale no: restano dei presunti innocenti, come lo è Vecchioni, come lo è anche chi in primo grado riporta una condanna. Il “processo”, in Italia, è fatto di tre gradi di giudizio e la parola definitiva è solo l’ultima. Può non piacere (a me non piace), ma è così.
E allora, se si dice “fuori gli inquisiti e gli imputati dalla politica, impediamo loro di candidarsi” s’intende con questo dire che tali signori devono essere fatti fuori? Se così fosse sarebbe contrario al diritto e protesterei difendendoli, per difendere il diritto. Se vale per loro, vale per tutti? E’ ovvio, perché se non vale per tutti non vale per nessuno. E allora smettiamola di dire fesserie qualunquiste e liberticide. Abbiamo bisogno di una giustizia che funzioni e che abbia tempi accettabili. Non abbiamo bisogno di processi di piazza o di epurazioni moralistiche. La prima cosa è sinonimo di civiltà (che comprende, inevitabilmente, anche l’errore giudiziario), la seconda è incarnazione d’inciviltà.
C’è un altro aspetto, rilevante: se il Tizio viene accusato e imputato, talché le cronache raccontino, ogni giorno, per mesi, i dettagli delle carte d’indagine, senza risparmio di bassezze, mentre il Caio subisce la stessa sorte procedimentale, ma incassa un atteggiamento meno maniacalmente ostile dei media, sicché si attende di conoscere le sentenze che lo riguardano, subiscono, il Tizio e il Caio, lo stesso trattamento? No, perché il primo sarà annientato uno o due lustri prima della sentenza. Se un governatore (neanche)imputato viene richiesto a gran voce e con gran coro di dimissioni, mentre un altro, imputato, no, fa una significativa differenza. Le idee possono essere diverse, non le regole: o vale che il sospettato si allontana dalla vita pubblica o no. La prima cosa, in Italia, equivale a consegnare assemblee elettive e governi alle procure. Quindi trattasi di principio giusto, ma suicida per la democrazia. Anche qui, la soluzione è la giustizia funzionante, non il moralismo imperante.
Un’ultima cosa: dire “se venissi condannato in primo grado mi dimetterei” (come fece Vendola) significa praticare un opaco compromesso fra il diritto e la demagogia giustizialista. Come detto, non cambia nulla. O ti dimetti perché imputato, da subito, o resti perché innocente, fino a prova contraria. La riforma della giustizia si deve fare con le leggi (per tutti), non a cura dell’ufficio stampa e propaganda (per pochi).
Oggi invidio Errani, perché si trova nella condizione e dalla parte giusta (purtroppo è così, da destra non potrebbe, e già solo questo dovrebbe far accapponare la pelle) per far valere le cose qui scritte. Non sprechi l’occasione. E si ricordi che l’ultimo governo della sinistra cadde perché colpito da accuse penali.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.