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Public Policy

Quale futuro per Fini?

Lo scontro c'è, le idee no

Dopo lo scontro di ieri, la carriera politica di Fini è di fronte a una svolta

di Davide Giacalone - 23 aprile 2010

Gianfranco Fini è un professionista della politica, ed è per rispetto a questa sua caratteristica che avevo osservato, prima che altri lo sollecitassero in tal senso, l’incompatibilità fra la presidenza della Camera dei Deputati e il ruolo che ha deciso di svolgere. Non si tratta di un’incompatibilità istituzionale, ma, appunto, politica. Quel ruolo, del resto, non può essere invocato per sottrarsi agli oneri dello scontro con gli avversari e poi ignorato quando si decide d’ingaggiare duello con i compagni di partito. Nel suo discorso di ieri, Fini ha sollevato questioni reali, accompagnandole, però, con affermazioni generiche, quando non del tutto sbagliate.

E’ vero che la nostra crescita economica è più lenta di quella di altri Paesi europei, ed è indubbio che a determinarla concorre la strutturazione della spesa pubblica, largamente improduttiva. Ma è anche vero che fu proprio Alleanza Nazionale, da lui guidata, nella legislatura 2001-2006 a difendere quel tipo di andazzo. Ed è singolare che egli scelga, come argomento polemico nel mentre decide di prendere le distanze dalla Lega, il tema delle pensioni, dimenticando che l’introduzione degli scaloni, colpevolmente cancellati dalla sinistra, porta il nome di Roberto Maroni, allora ministro del lavoro.

Ed è paradossale che fra le riforme costituzionali da farsi voglia anche quella del titolo quinto, dove una sciagurata sinistra introdusse un federalismo sgangherato che minaccia di distruggere lo Stato, dimenticando che quella riforma già si fece, con il voto favorevole della Lega, ma fu poi cancellata da un referendum che andò deserto, anche per colpa di chi non combatté a sua difesa. Come è incredibile che voglia ricordare oggi quanto la scuola sia un interesse nazionale e non regionale, visto che questo (come per i trasporti e l’energia) era uno dei contenuti della ricordata riforma, affossata da quella stessa sinistra con cui oggi considera indispensabile dialogare. Quella cui Fini ha dato voce, insomma, è una politica per smemorati. Senza contare la temeraria puntata sul tema dell’immigrazione. L’attuale legge porta il suo nome, quello di Fini, e non prevede affatto che un immigrato che perda il lavoro divenga per questo clandestino.

Dove lo ha letto? Né quell’evento comporta l’allontanamento dei suoi figli da scuola, che sarebbe mostruoso. Al contrario, invece, pretendere di sanare la clandestinità in caso di presenza dei minori significa incentivare la tratta dei bambini. E in quanto ai medici, che a suo dire diverrebbero spie ove segnalassero dei clandestini, gli faccio osservare che già oggi sono tenuti alla denuncia, ma nei confronti dei cittadini italiani: se mi presento senza documenti, chiamano i carabinieri, se mi ritrovo una coltellata nel fianco, fanno denuncia, anche se ho determinate malattie infettive, sono tenuti alla segnalazione. Lo trova sconvolgente? A me sembra normale.

Aveva buone ragioni, Fini, nel rivendicare la libertà di pensiero e di dissenso, ma non ha saputo dare corpo alla richiesta, o l’ha immiserita su questioni assai mal poste. Ciò non toglie il suo diritto di continuare la battaglia intrapresa, come il diritto del Parlamento di non essere oggetto di una contesa interna ad un partito. Al confronto delle idee si deve andare portando delle idee, che ieri sono mancate. Anzi, ha lasciato l’impressione che le idee si cambino come le cravatte, a seconda del colore dell’abito. Le idee presuppongono coerenza, scarseggiando entrambe, nella politica italiana. Ieri, però, non s’è arricchita. Pubblicato su "Il Tempo"

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