Congiunture sfavorevoli per il Pil italiano
L'export va ma i consumi no
Una triste immagine dell'economia nostranadi Enrico Cisnetto - 21 marzo 2011
Export che tira ma consumi flat, import alle stelle, inflazione e tassi in rialzo: con questa congiuntura il pil non può crescere oltre l’1%. Grazie ai recenti dati Istat sulla bilancia commerciale e della Confcommercio sulla domanda interna e il reddito delle famiglie, la fotografia della condizione in cui versa l’economia italiana a 15 mesi dalla fine della grande recessione si è fatta più nitida. E non è una bella immagine, quella che si vede.
Il Paese è letteralmente trascinato da una componente importante ma assolutamente minoritaria della sua struttura produttiva, e cioè quella parte di manifatturiero – che già di per sé, complessivamente vale solo il 30% del pil, nonostante sia il secondo in Europa dopo la Germania – che riesce ad esportare, essendo stata capace di internazionalizzarsi e di rinnovare prodotti e processi produttivi, ed è dunque competitiva. Il ritmo di crescita è alto: oltre il 25% rispetto all’inizio del 2010, quando cominciava l’uscita dalla crisi.
Ma il recupero di quanto perso nel biennio maledetto 2008-2009 è ancora parziale, e comunque il flusso non è tale da compensare la quantità delle importazioni, che crescono ad un tasso ben superiore (+31,3%). In termini di saldi tra import ed export, si salvano solo i comparti delle macchine utensili (+2,5 miliardi) e del tessile-abbigliamento (+761 milioni), mentre a pesare non ci sono solo petrolio e gas (insieme fanno 5,9 miliardi di rosso) ma anche computer (-1,7 miliardi) e autoveicoli (-1,1 miliardi).
Di conseguenza, a gennaio abbiamo realizzato il peggior squilibrio della bilancia commerciale della nostra storia: 6,6 miliardi (contro il rosso di 4 miliardi del gennaio 2010), quasi la metà dell’intero sbilancio europeo (14,8 miliardi). Ma già nel 2010 avevamo pagato il prezzo di un deficit record della bilancia commerciale: 27,3 miliardi (5,9 miliardi l’anno precedente), la cifra annuale più alta mai registrata in termini nominali a prezzi correnti. E la cosa più grave e allarmante è che questo squilibrio non ci sarebbe stato, anzi ci sarebbe stato un avanzo di 25,1 miliardi (contro 36,7 miliardi del 2009) se non ci fosse stata la nostra dipendenza energetica. Questo significa che nel 2010 la bolletta di petrolio e gas naturale ha pesato nell’interscambio per 52 miliardi, più della metà di quanto ci costi il nostro enorme debito pubblico.
A questo si aggiunga il fatto che, secondo le stime dei commercianti, mentre l’inflazione si avvicina pericolosamente al 3% spingendo all’insù i tassi d’interesse, i consumi interni (che pesano sulla struttura del pil per il 60%) non tirano. E non da oggi: la crescita pro-capite è ferma dal 2001, mentre nel periodo 2007-2010 il contributo alla crescita economica della spesa delle famiglie è stato regressivo (-0,34%) perché nello stesso periodo ciascun italiano ha avuto disponibili per i consumi 570 euro all’anno di meno, a parità di potere d’acquisto. E questo nonostante che i disoccupati siano aumentati in misura contenuta perché molti dipendenti di aziende in difficoltà hanno goduto della cassa integrazione (a favore della quale ci siamo giocati quel poco di risorse pubbliche disponibili).
Per questo non si possono che considerare ragionevoli – purtroppo – le previsioni di Confcommercio sulla crescita: +1% quest’anno, +1,2% nel 2012 e 2013. Troppo poco. Non ce lo possiamo permettere.
Il Paese è letteralmente trascinato da una componente importante ma assolutamente minoritaria della sua struttura produttiva, e cioè quella parte di manifatturiero – che già di per sé, complessivamente vale solo il 30% del pil, nonostante sia il secondo in Europa dopo la Germania – che riesce ad esportare, essendo stata capace di internazionalizzarsi e di rinnovare prodotti e processi produttivi, ed è dunque competitiva. Il ritmo di crescita è alto: oltre il 25% rispetto all’inizio del 2010, quando cominciava l’uscita dalla crisi.
Ma il recupero di quanto perso nel biennio maledetto 2008-2009 è ancora parziale, e comunque il flusso non è tale da compensare la quantità delle importazioni, che crescono ad un tasso ben superiore (+31,3%). In termini di saldi tra import ed export, si salvano solo i comparti delle macchine utensili (+2,5 miliardi) e del tessile-abbigliamento (+761 milioni), mentre a pesare non ci sono solo petrolio e gas (insieme fanno 5,9 miliardi di rosso) ma anche computer (-1,7 miliardi) e autoveicoli (-1,1 miliardi).
Di conseguenza, a gennaio abbiamo realizzato il peggior squilibrio della bilancia commerciale della nostra storia: 6,6 miliardi (contro il rosso di 4 miliardi del gennaio 2010), quasi la metà dell’intero sbilancio europeo (14,8 miliardi). Ma già nel 2010 avevamo pagato il prezzo di un deficit record della bilancia commerciale: 27,3 miliardi (5,9 miliardi l’anno precedente), la cifra annuale più alta mai registrata in termini nominali a prezzi correnti. E la cosa più grave e allarmante è che questo squilibrio non ci sarebbe stato, anzi ci sarebbe stato un avanzo di 25,1 miliardi (contro 36,7 miliardi del 2009) se non ci fosse stata la nostra dipendenza energetica. Questo significa che nel 2010 la bolletta di petrolio e gas naturale ha pesato nell’interscambio per 52 miliardi, più della metà di quanto ci costi il nostro enorme debito pubblico.
A questo si aggiunga il fatto che, secondo le stime dei commercianti, mentre l’inflazione si avvicina pericolosamente al 3% spingendo all’insù i tassi d’interesse, i consumi interni (che pesano sulla struttura del pil per il 60%) non tirano. E non da oggi: la crescita pro-capite è ferma dal 2001, mentre nel periodo 2007-2010 il contributo alla crescita economica della spesa delle famiglie è stato regressivo (-0,34%) perché nello stesso periodo ciascun italiano ha avuto disponibili per i consumi 570 euro all’anno di meno, a parità di potere d’acquisto. E questo nonostante che i disoccupati siano aumentati in misura contenuta perché molti dipendenti di aziende in difficoltà hanno goduto della cassa integrazione (a favore della quale ci siamo giocati quel poco di risorse pubbliche disponibili).
Per questo non si possono che considerare ragionevoli – purtroppo – le previsioni di Confcommercio sulla crescita: +1% quest’anno, +1,2% nel 2012 e 2013. Troppo poco. Non ce lo possiamo permettere.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.