Torna lo spauracchio del voto anticipato
L'exit strategy del Cavaliere
La Seconda Repubblica può finire in due modidi Enrico Cisnetto - 26 aprile 2010
Se un’espressione di dissenso, per quanto forte, come quella di Fini verso Berlusconi, scatena una reazione tale da far evocare una crisi di governo, vuol dire che la crisi d’astinenza di “politica” – perché con questa definizione va inquadrata la vicenda che tiene banco nei palazzi romani – aveva raggiunto livelli impensabili. D’altra parte, dal 1994 abbiamo costruito, o consentito che si costruisse, un sistema politico non solo di tipo leaderistico – questa è cosa accaduta in molti paesi occidentali, nei quali ha prevalso l’americanizzazione della politica – ma per di più, caratteristica tutta italiana, imperniato su una persona, la quale è “padrona” di una coalizione e unico collante che tiene assieme (finché ha retto) quella avversa. Ecco, se mai il bipolarismo italico doveva ancora mostrare la sua vera cifra, lo scontro Fini-Berlusconi e il rapido tentativo di Bossi di sfruttarlo per fare il “pieno” si spera servano ad aprire gli occhi a chi si è attardato a credere alle magiche virtù del maggioritario e ai nefandi vizi dei partiti (magari come qualche professore pervicacemente intestardito a confondere il bipolarismo realizzato con quello teorico).
Detto questo, il vero tema è il seguente: può la vicenda in corso far esplodere le contraddizioni del sistema fino al punto di mettere in tempi brevi la parola fine all’esperienza della Seconda Repubblica? Un conto è sperarlo – e io lo spero ardentemente – un altro valutarne razionalmente le probabilità. Risposta difficile. Diciamo che di una cosa sono certo: è molto improbabile che la legislatura duri i famosi “tre anni senza elezioni” che al termine delle Regionali sono stati trasformati in una sorta di mantra della maggioranza di governo per assicurare al Paese – magicamente – tutte quelle riforme strutturali, istituzionali ed economiche, che fin qui, pur promesse, non sono state realizzate. No, a quello slogan su questo giornale erano già state esposte tutte le ragioni di fondato scetticismo che rendevano impossibile quell’ipotesi così virtuosa.
Ora si aggiunge l’altrettanto fondata sensazione che sia altamente improbabile anche lo scenario che in altre circostanze ho titolato di “trascinamento”, cioè quello in cui la legislatura arriva fino in fondo ma in una condizione di stanco passare del tempo senza alcuna realizzazione significativa, senza però che una seria alternativa la metta in mora e senza che le forze centrifughe interne alla maggioranza producano un’implosione. No, ora si ha la netta sensazione che la legislatura sia presto destinata a finire, perché la forza d’urto dello scontro – ripeto, quello scontro che ci appare così duro e decisivo solo perché siamo disabituati, ma che nella Prima Repubblica sarebbe stato assorbito con relativa facilità – provoca conseguenze politiche e istituzionali inimmaginabili.
Tuttavia, c’è modo e modo di finire la legislatura. In particolare, ci sono due opposte modalità – capaci di produrre due opposte conseguenze – che vanno prese seriamente in considerazione. La prima riguarda la possibilità che sia Berlusconi, o Bossi per conto del premier, a portare il Paese alle elezioni anticipate. E’ lo scenario di cui abbiamo lungamente parlato l’anno scorso, quando il Cavaliere, sottoposto ad un attacco mediatico senza precedenti sul terreno della sua vita privata e famigliare, prese prima ad accarezzare l’idea e poi a fortissimamente volere il voto per regolare i conti.
Fu fermato dalla prudenza di Fini – che allora ci fu, dopo alcune sortite che parevano spingerlo fino agli estremi toccati in questa circostanza – dalla chiara anche se pubblicamente taciuta posizione del Quirinale e anche dall’incertezza mostrata da alcuni dei suoi sodali, preoccupati di un clima intorno a Berlusconi che avrebbe potuto anche giocare brutti scherzi in cabina elettorale. Ora il primo e l’ultimo di quei freni è venuto meno, resta solo l’ostacolo del Presidente della Repubblica. Cosa non di poco conto, visto che è il Colle che deve sciogliere le Camere e indire le elezioni.
Ed è certo che Napolitano farà fino all’ultimo ogni tentativo in suo potere per verificare se in parlamento può esserci una maggioranza alternativa. Di quanti voti disporrebbe Fini in una circostanza come quella, che palesemente è assai diversa da quella della votazione nella pletorica direzione nazionale del Pdl (172 persone) per di più convocata insieme ad altre centinaia di non aventi diritto al voto e gestita con logica e piglio padronali? Sarebbero sufficienti, sommati insieme alle attuali opposizioni, per evitare le urne? Difficile dirlo. Ma è chiaro che per Berlusconi, cui spetterebbe comunque l’onere delle dimissioni con richiesta ai suoi di votargli la sfiducia, il rischio sarebbe davvero molto alto.
E una riflessione su questo potrebbe indurlo, al di là delle sparate propagandistiche, a più miti consigli. Ma è chiaro che se l’operazione elezioni anticipate fosse davvero tentata e dovesse davvero riuscire, allora si aprirebbe uno scenario conseguente molto favorevole a Berlusconi e di fatto al prolungamento della vita della Seconda Repubblica. Infatti, quelle elezioni il duo Berlusconi-Bossi le vincerebbe a mani basse, ponendo le basi per un dopo che il leader della Lega non a caso ha già evocato nei giorni scorsi quando ha parlato di Berlusconi al Quirinale e un leghista a palazzo Chigi.
L’altra circostanza in cui l’attuale legislatura potrebbe prematuramente finire è invece legata alla possibilità che Bossi decida davvero di porre fine all’alleanza con il Pdl come ha detto in un’intervista alla Padania che ieri ha fatto fibrillare i palazzi romani.
In questo caso non rompendo conto terzi, ma per il suo di tornaconto: capisce che la gente è stufa di una politica squinternata, perché Fini potrà anche essere additato come traditore ma Berlusconi si becca la sua parte di responsabilità per essere arrivato a consumare l’ennesima rottura con gli alleati, e teme che la crisi economica – per nulla conclusa, come peraltro ripete lo stesso ministro Tremonti – producendo i maggiori danni al Nord esponga la Lega alla critica di essere al governo e non di aver fatto abbastanza per fermarla; così, torna a fare il “partito di lotta” a Roma, facendo il “partito di governo” nelle amministrazioni regionali appena conquistate e in quelle locali.
Insomma, in questo scenario è lui che rompe, e rompe anche con Berlusconi (come nel 1994). Conseguenze? Berlusconi cade rovinosamente, il Pdl si disintegra, ma siccome il Pd non è nelle condizioni di approfittarne si apre uno scenario simil 1992, con vuoti da riempire e la Terza Repubblica da edificare. In questo caso non è detto che le elezioni siano dietro l’angolo, in mezzo per prepararle potrebbe esserci un governo o tecnico o di salute pubblica che procrastina di un anno il voto. Come si vede, in tutti questi scenari l’Udc non è evocata. Se posso dare un consiglio non richiesto, sarebbe bene che uscisse dal torpore post-elettorale e decidesse che partita vuol fare e come. Non sempre giocare di rimessa paga.
Detto questo, il vero tema è il seguente: può la vicenda in corso far esplodere le contraddizioni del sistema fino al punto di mettere in tempi brevi la parola fine all’esperienza della Seconda Repubblica? Un conto è sperarlo – e io lo spero ardentemente – un altro valutarne razionalmente le probabilità. Risposta difficile. Diciamo che di una cosa sono certo: è molto improbabile che la legislatura duri i famosi “tre anni senza elezioni” che al termine delle Regionali sono stati trasformati in una sorta di mantra della maggioranza di governo per assicurare al Paese – magicamente – tutte quelle riforme strutturali, istituzionali ed economiche, che fin qui, pur promesse, non sono state realizzate. No, a quello slogan su questo giornale erano già state esposte tutte le ragioni di fondato scetticismo che rendevano impossibile quell’ipotesi così virtuosa.
Ora si aggiunge l’altrettanto fondata sensazione che sia altamente improbabile anche lo scenario che in altre circostanze ho titolato di “trascinamento”, cioè quello in cui la legislatura arriva fino in fondo ma in una condizione di stanco passare del tempo senza alcuna realizzazione significativa, senza però che una seria alternativa la metta in mora e senza che le forze centrifughe interne alla maggioranza producano un’implosione. No, ora si ha la netta sensazione che la legislatura sia presto destinata a finire, perché la forza d’urto dello scontro – ripeto, quello scontro che ci appare così duro e decisivo solo perché siamo disabituati, ma che nella Prima Repubblica sarebbe stato assorbito con relativa facilità – provoca conseguenze politiche e istituzionali inimmaginabili.
Tuttavia, c’è modo e modo di finire la legislatura. In particolare, ci sono due opposte modalità – capaci di produrre due opposte conseguenze – che vanno prese seriamente in considerazione. La prima riguarda la possibilità che sia Berlusconi, o Bossi per conto del premier, a portare il Paese alle elezioni anticipate. E’ lo scenario di cui abbiamo lungamente parlato l’anno scorso, quando il Cavaliere, sottoposto ad un attacco mediatico senza precedenti sul terreno della sua vita privata e famigliare, prese prima ad accarezzare l’idea e poi a fortissimamente volere il voto per regolare i conti.
Fu fermato dalla prudenza di Fini – che allora ci fu, dopo alcune sortite che parevano spingerlo fino agli estremi toccati in questa circostanza – dalla chiara anche se pubblicamente taciuta posizione del Quirinale e anche dall’incertezza mostrata da alcuni dei suoi sodali, preoccupati di un clima intorno a Berlusconi che avrebbe potuto anche giocare brutti scherzi in cabina elettorale. Ora il primo e l’ultimo di quei freni è venuto meno, resta solo l’ostacolo del Presidente della Repubblica. Cosa non di poco conto, visto che è il Colle che deve sciogliere le Camere e indire le elezioni.
Ed è certo che Napolitano farà fino all’ultimo ogni tentativo in suo potere per verificare se in parlamento può esserci una maggioranza alternativa. Di quanti voti disporrebbe Fini in una circostanza come quella, che palesemente è assai diversa da quella della votazione nella pletorica direzione nazionale del Pdl (172 persone) per di più convocata insieme ad altre centinaia di non aventi diritto al voto e gestita con logica e piglio padronali? Sarebbero sufficienti, sommati insieme alle attuali opposizioni, per evitare le urne? Difficile dirlo. Ma è chiaro che per Berlusconi, cui spetterebbe comunque l’onere delle dimissioni con richiesta ai suoi di votargli la sfiducia, il rischio sarebbe davvero molto alto.
E una riflessione su questo potrebbe indurlo, al di là delle sparate propagandistiche, a più miti consigli. Ma è chiaro che se l’operazione elezioni anticipate fosse davvero tentata e dovesse davvero riuscire, allora si aprirebbe uno scenario conseguente molto favorevole a Berlusconi e di fatto al prolungamento della vita della Seconda Repubblica. Infatti, quelle elezioni il duo Berlusconi-Bossi le vincerebbe a mani basse, ponendo le basi per un dopo che il leader della Lega non a caso ha già evocato nei giorni scorsi quando ha parlato di Berlusconi al Quirinale e un leghista a palazzo Chigi.
L’altra circostanza in cui l’attuale legislatura potrebbe prematuramente finire è invece legata alla possibilità che Bossi decida davvero di porre fine all’alleanza con il Pdl come ha detto in un’intervista alla Padania che ieri ha fatto fibrillare i palazzi romani.
In questo caso non rompendo conto terzi, ma per il suo di tornaconto: capisce che la gente è stufa di una politica squinternata, perché Fini potrà anche essere additato come traditore ma Berlusconi si becca la sua parte di responsabilità per essere arrivato a consumare l’ennesima rottura con gli alleati, e teme che la crisi economica – per nulla conclusa, come peraltro ripete lo stesso ministro Tremonti – producendo i maggiori danni al Nord esponga la Lega alla critica di essere al governo e non di aver fatto abbastanza per fermarla; così, torna a fare il “partito di lotta” a Roma, facendo il “partito di governo” nelle amministrazioni regionali appena conquistate e in quelle locali.
Insomma, in questo scenario è lui che rompe, e rompe anche con Berlusconi (come nel 1994). Conseguenze? Berlusconi cade rovinosamente, il Pdl si disintegra, ma siccome il Pd non è nelle condizioni di approfittarne si apre uno scenario simil 1992, con vuoti da riempire e la Terza Repubblica da edificare. In questo caso non è detto che le elezioni siano dietro l’angolo, in mezzo per prepararle potrebbe esserci un governo o tecnico o di salute pubblica che procrastina di un anno il voto. Come si vede, in tutti questi scenari l’Udc non è evocata. Se posso dare un consiglio non richiesto, sarebbe bene che uscisse dal torpore post-elettorale e decidesse che partita vuol fare e come. Non sempre giocare di rimessa paga.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.