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Eurocrisi

L'Europa o è una cosa seria. O non è

In attesa che i mercati “scoprano le carte”, non si riesce nemmeno a capire come siamo arrivati a questo punto

di Elio Di Caprio - 22 giugno 2012

Manca ancora una narrazione convincente su quel che sta accadendo a quasi quattro anni dall’esplosione della crisi finanziaria globale. Se non si sanno neppure per grandi linee le vere cause dello sfacelo – basta pensare soltanto alle recenti recriminazioni reciproche tra area dollaro e area euro su chi ne abbia le maggiori colpe o responsabilità – come si può pretendere di immaginare un futuro prossimo se non remoto che faccia capire quanto durerà l’era dei sacrifici, quali saranno i popoli e le categorie sociali che ne subiranno i contraccolpi maggiori, chi riuscirà vincitore dal round finale- perché una fine pure ci sarà - di un sommovimento globale che già qualcuno paragona audacemente alle conseguenze di una guerra mondiale non dichiarata? La narrazione popolare più facile è quella fatta propria dagli indignados di tutte le latitudini, da tutti coloro che a turno si ribellano senza far parte di un’unica orchestra per poi scoprire che sotto il manto globale esistono rivendicazioni di carattere nazionale troppo specifiche ed attinenti alla storia politica e sociale dei singoli paesi in crisi - sono tante e diverse le primavere arabe così come tanti e diversi sono gli autunni europei- che difficilmente possono trovare un minimo comun denominatore di contestazione vincente per ribaltare i rapporti di forza internazionale obiettivamente esistenti. E poi contro chi? Contro una speculazione senza volto? Chissà per quanto tempo ancora ragioneremo ( o fantasticheremo) sul famoso nemico invisibile o troppo visibile, se identificato con il capitalismo finanziario internazionale che gioca una partita predatoria tutta sua anche a condizione di affossare l’economia reale, destinato nell’epoca del predominio della tecnica a prevalere sulle logiche degli Stati nazionali nati più di due secoli fa proprio per proteggere in nome della sovranità i popoli in perimetri ben definiti. Ma se la radice di tutti i mali fosse questa e non altra aumenterebbe ancor più il senso di impotenza di ciascuno di noi di fronte ad un disordine che non potrà non aumentare nei prossimi tempi sia con riguardo alle tante azioni e reazioni nazionali o di area alla crisi finanziaria sovrastante sia in ragione dei conflitti sociali interni ai singoli Paesi in tempi di aspettative decrescenti. I popoli non muoiono e non moriranno e troveranno un nuovo equilibrio di coesistenza più o meno pacifica, ma nessuno sa ancora quale sarà e quando verrà fuori il punto di equilibrio dopo la guerra non guerreggiata tra area dollaro e area euro e con il rafforzarsi del terzo incomodo cinese che detiene ancora gran parte dei titoli del debito pubblico statunitense. Seguire le informazioni, le logiche o le suggestioni è come inseguire il filo di Arianna in un nuovo labirinto di cui non si sa chi ha la chiave. E’ così che solo negli ultimi mesi – ma altre suggestioni sopravverranno- si è passati dal considerare l’Italia come il seme maligno che avrebbe potuto, e ancora può, far crollare l’euro mettendo a repentaglio così l’economia mondiale al ben più allarmante scenario di una Cina che non riesce a crescere ai ritmi passati minando l’intero circuito finanziario mondiale sempre più interdipendente. L’Italia importante come la Cina per gli equilibri globali? E la Germania allora che sembra divenuto il recalcitrante convitato di pietra in tutti i consessi internazionali? Qualcosa evidentemente non torna tra informazioni, logiche e suggestioni che ci permettano di capire la direzione in cui va il mondo o il nostro Paese nell’ambito delle aree più vaste a cui è associato, da quella europea con i rischi di non ritorno se dovesse fallire l’euro a quella euro-atlantica che sembra ancora riassumere nelle sue contraddizioni una sorta di destino occidentale comune da difendere. Non per nulla c’è già chi arriva ad auspicare, per ora senza fondamento, la costituzione degli Stati Uniti dell’Occidente, più che gli Stati Uniti d’Europa. C’è però ancora una bella differenza tra decadenza dell’Italia, decadenza dell’Europa o decadenza del modello di sviluppo euro atlantico a trazione statunitense a cui l’Europa si è assuefatta da decenni non riuscendo a declinare per conto suo una convincente autonomia né con l’euro e neppure con l’Europa annacquata a 26. La crisi dei debiti privati e sovrani ha da quattro anni messo a nudo la fragilità della costruzione monetaria europea con il risveglio improvviso del mostro dello spread, ma proprio a proposito dell’Europa, al di là delle suggestioni sull’implosione o meno dell’euro e a causa di chi, qualche conto va fatto se nel 2012 tutti si chiedono cosa mai potrà fare la Germania e non l’Europa per risolvere la crisi delegando di fatto una funzione di supremazia alla nazione tedesca che non mancherà di esercitarla anche in futuro. A tanto si è ridotta l’Europa che voleva invece imbrigliare la Germania post-riunificazione? Uscire dalla gabbia dorata dell’euro ( altro che “Alba dorata “ dei greci…) potrà presto diventare una tentazione irresistibile per gli Stati troppo indebitati o per la stessa Germania. Ma è una soluzione? Troppo facile dirlo adesso, ma che logica mai poteva esserci alla fondazione dell’euro se nel momento i cui si dettava come condizione irrinunciabile che il debito pubblico dei singoli Stati non superasse il 60% del PIL si è accettato che l’Italia entrasse con un debito superiore al 100%, seguita a ruota in una gara surreale dalla Spagna di Aznar? In un decennio nulla è cambiato per l’Italia se non in peggio e tutto è cambiato per gli equilibri interni dell’euro visto che l’Italia e gran parte dei paesi dell’eurozona si trovano ora di fronte all’alternativa di seguire i diktat economici della Germania o di converso a non poter far nulla per trattenere la Germania se decidesse essa stessa di affossare o far affossare l’euro ed andare per conto proprio. Nel giro dell’ultimo anno sono andati in fumo tutti i progetti di sovranità paritaria degli Stati europei con il rischio fondato che si smembri quel tanto di coesione europea che si era costruita faticosamente negli ultimi 50 anni. Colpa del capitalismo finanziario anglosassone che gioca a fare soldi con i soldi, indebitandosi continuamente, cattivo esempio per quei paesi dell’area mediterranea che ne hanno seguito le orme mentre l’austera Germania preferiva consolidare passo per passo la propria economia reale? Vedremo cosa ne uscirà nei prossimi mesi o giorni, ma se è in gioco una nuova ripartizione dei poteri mondiali a rigor di logica non ha neppure torto Angela Merkel a volere un’Europa seria ( ovviamente a guida tedesca) l’unica in grado di competere con le altre aree sviluppate del pianeta. O l’Europa è una cosa seria o non è : è questo l’impietoso bivio a cui siamo di fronte, al di là delle rimostranze crescenti contro l’egoismo dei tedeschi.

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