Non si può che esprimere scetticismo
Lettera aperta a Padoa-Schioppa
Non si giudica la Finanziaria in sè, ma il clima in cui è questa stata varatadi Enrico Cisnetto - 29 settembre 2006
Stamattina alle 10,30 il governo dovrebbe varare – il condizionale è d’obbligo, come sempre peraltro in questi casi – la prima Finanziaria di questa legislatura. Dunque, quando questo articolo sarà disponibile, il testo della legge di bilancio avrà visto la luce, dopo una nottata che si preannuncia movimentata, e non rimarrà altro tempo se non quello della battaglia politica dentro il consiglio dei ministri. Sarebbe dunque improprio “tirare per la giacca” Tommaso Padoa-Schioppa, anche perché già lo hanno fatto in troppi negli ultimi tempi. Tuttavia, non è tempo perso ricordare al ministro dell’Economia che è nelle sue mani, principalmente se non solo nelle sue mani, la possibilità che si vari una manovra che inizi a risolvere in modo strutturale i gravi problemi di cui soffre l’Italia da troppo tempo.
Lo scetticismo, lo consentirà il Ministro, è d’obbligo. Esso deriva da una campagna elettorale in cui non solo si è mancato di dire la verità al Paese, ma si è addirittura promesso il non promettibile in nome di una raccolta del consenso esasperata da un sistema politico che fa della contrapposizione frontale la sua sola ragion d’essere. Poi è stato rafforzato dalla debolezza numerica e dalla fragilità politica della maggioranza, cui ha fatto da sponda un’opposizione urlante che ha accusato il governo sia di essere poco rigoroso (“inadempienti con Bruxelles”) sia del suo contrario (“volete lacrime e sangue dagli italiani”). Infine si è consolidato, lo scetticismo, con il progressivo allontanarsi del dibattito fra le forze politiche di maggioranza dall’impianto, pienamente condivisibile, del Dpef. Il braccio di ferro sull’entità della manovra prima ancora che si entrasse nel merito, l’uscita dal suo perimetro di importanti voci di risanamento e di riforma come quella della previdenza e il progressivo spostamento del suo baricentro dalle riforme con risparmi sulla spesa (“non genericamente tagli”, ha giustamente sostenuto Padoa-Schioppa) all’interventismo fiscale sia ai fini di (presunta) equità sia per far tornare i conti, hanno fatto il resto.
Naturalmente questo scetticismo è ancorato al pre-Finanziaria, cioé a quella fase che ne precede il varo da sempre caratterizzata dal braccio di ferro dei ministri della spesa con il titolare di Bilancio e Tesoro, dall’ostilità degli enti locali e dalle minacce di categorie e sindacati. Dunque, non stiamo valutando una legge di cui solo oggi – forse – conosceremo il testo, stiamo giudicando il clima nel quale si è preparata. Che mai come questa volta, però, è molto indicativo. Di cosa? Prima di tutto del fatto che l’orizzonte di ampie riforme su cui costruire una politica economica e sociale di legislatura si è maledettamente ristretto. Inoltre, che la componente riformista rischia di contare meno della sinistra-sinistra, nonostante rappresenti i due terzi della coalizione. Infine, che la mancanza di un progetto condiviso e le spinte massimaliste hanno creato il terreno favorevole a provvedimenti che se non saranno punitivi per alcune categorie sociali certamente appariranno come tali, tanto da indurre Mastella a minacciare il voto contrario dell’Udeur perchè si “azzanna il ceto medio”. Per esempio, mentre non sappiamo quali saranno le componenti della manovra dedicate allo sviluppo se non il taglio del cuneo fiscale – peraltro spalmato in due tempi, a quanto pare – si parla di iniziative sgradite alle imprese industriali (Tfr) e a quelle artigiane e commerciali (studi di settore), tanto che ieri sera Confindustria, Confartigianato e Confcommercio hanno espresso perplessità e sfiducia.
Allora, tra massimalisti all’attacco e riformisti silenti, con palazzo Chigi disponibile alla mediazione politica a qualunque costo, è del tutto evidente che le residue speranze di una Finanziaria davvero di “risanamento & sviluppo” sono tutte riposte nell’uomo che i giornali hanno ribattezzato Tps. A cui non ci sentiamo di dare consigli se non uno: non firmi una Finanziaria che non sia alla sua altezza. Sappia, Ministro, che pur non avendo alle spalle alcuna forza politica, lei può far pesare la sua grande credibilità internazionale, e che quest’ultima, per i “galleggiatori”, non vale meno dei diktat di chi sta al governo senza averne la cultura.
Pubblicato sul Messaggero del 29 settembre 2006
Lo scetticismo, lo consentirà il Ministro, è d’obbligo. Esso deriva da una campagna elettorale in cui non solo si è mancato di dire la verità al Paese, ma si è addirittura promesso il non promettibile in nome di una raccolta del consenso esasperata da un sistema politico che fa della contrapposizione frontale la sua sola ragion d’essere. Poi è stato rafforzato dalla debolezza numerica e dalla fragilità politica della maggioranza, cui ha fatto da sponda un’opposizione urlante che ha accusato il governo sia di essere poco rigoroso (“inadempienti con Bruxelles”) sia del suo contrario (“volete lacrime e sangue dagli italiani”). Infine si è consolidato, lo scetticismo, con il progressivo allontanarsi del dibattito fra le forze politiche di maggioranza dall’impianto, pienamente condivisibile, del Dpef. Il braccio di ferro sull’entità della manovra prima ancora che si entrasse nel merito, l’uscita dal suo perimetro di importanti voci di risanamento e di riforma come quella della previdenza e il progressivo spostamento del suo baricentro dalle riforme con risparmi sulla spesa (“non genericamente tagli”, ha giustamente sostenuto Padoa-Schioppa) all’interventismo fiscale sia ai fini di (presunta) equità sia per far tornare i conti, hanno fatto il resto.
Naturalmente questo scetticismo è ancorato al pre-Finanziaria, cioé a quella fase che ne precede il varo da sempre caratterizzata dal braccio di ferro dei ministri della spesa con il titolare di Bilancio e Tesoro, dall’ostilità degli enti locali e dalle minacce di categorie e sindacati. Dunque, non stiamo valutando una legge di cui solo oggi – forse – conosceremo il testo, stiamo giudicando il clima nel quale si è preparata. Che mai come questa volta, però, è molto indicativo. Di cosa? Prima di tutto del fatto che l’orizzonte di ampie riforme su cui costruire una politica economica e sociale di legislatura si è maledettamente ristretto. Inoltre, che la componente riformista rischia di contare meno della sinistra-sinistra, nonostante rappresenti i due terzi della coalizione. Infine, che la mancanza di un progetto condiviso e le spinte massimaliste hanno creato il terreno favorevole a provvedimenti che se non saranno punitivi per alcune categorie sociali certamente appariranno come tali, tanto da indurre Mastella a minacciare il voto contrario dell’Udeur perchè si “azzanna il ceto medio”. Per esempio, mentre non sappiamo quali saranno le componenti della manovra dedicate allo sviluppo se non il taglio del cuneo fiscale – peraltro spalmato in due tempi, a quanto pare – si parla di iniziative sgradite alle imprese industriali (Tfr) e a quelle artigiane e commerciali (studi di settore), tanto che ieri sera Confindustria, Confartigianato e Confcommercio hanno espresso perplessità e sfiducia.
Allora, tra massimalisti all’attacco e riformisti silenti, con palazzo Chigi disponibile alla mediazione politica a qualunque costo, è del tutto evidente che le residue speranze di una Finanziaria davvero di “risanamento & sviluppo” sono tutte riposte nell’uomo che i giornali hanno ribattezzato Tps. A cui non ci sentiamo di dare consigli se non uno: non firmi una Finanziaria che non sia alla sua altezza. Sappia, Ministro, che pur non avendo alle spalle alcuna forza politica, lei può far pesare la sua grande credibilità internazionale, e che quest’ultima, per i “galleggiatori”, non vale meno dei diktat di chi sta al governo senza averne la cultura.
Pubblicato sul Messaggero del 29 settembre 2006
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.