Che la sinistra sia una vera “alternativa” di governo
Le sirene del populismo
Il PD deve mirare alla ricostruzione di un progetto per il Paese attraverso cui guidare la societàdi Tommaso Visone - 16 dicembre 2008
“È opportuno, è conveniente, è politicamente utile che nella cultura e nella pratica del Partito democratico si sviluppi anche una componente populista?”. Secondo Edmondo Berselli, che ha dedicato all"interrogativo una riflessione su “La Repubblica” del 25 ottobre 2008, il populismo “interpretato con intelligenza da sinistra” può essere un utile strumento per “attaccare la destra sul suo terreno e con realistiche possibilità di successo”. L"articolo in questione risulta veramente interessante per un duplice ordine di ragioni: in primis sprona il Partito Democratico a percorrere ex novo i sentieri del populismo ignorando (consapevolmente?) notevoli manifestazioni dello stesso già sviluppatesi nel Pd sin dalla sua nascita. In secundis contiene in sé buona parte delle analisi e delle conseguenti idealità “distorte” che, sin dal 1994, circolano negli ambienti di centrosinistra.
Per analizzare questi due punti sarà opportuno definire in partenza che cos"è il populismo, problema che Berselli risolve indicando degli epifenomeni (radicalità, parlare alla pancia della società, ecc.) sostenuti dalla seguente ratio : “a rigor di termini, l"ideologia e la vocazione populista si realizzano nell"intenzione di trasformare immediatamente in leggi la cosiddetta volontà popolare”. Volendo delineare in maniera più accurata questo aspetto si evidenzierà come il populismo sia “essenzialmente una mentalità, una concezione della società che porta a vedere nel popolo l"unico titolare della sovranità politica e l"unico depositario delle virtù positive, ad esaltare i valori di semplicità ed onestà tipici di un uomo comune idealizzato, a diffidare del potere e soprattutto di chi lo esercita professionalmente, a combattere tutto ciò che al popolo è estraneo e a reclamare forme di controllo diretto dal basso dell"operato delle infide élites, quali i referendum, le leggi di iniziativa popolare”, ecc.
Sempre secondo Marco Tarchi, a cui si deve la definizione testé adottata, il populismo non è necessariamente un fenomeno negativo: può avere una sua utilità per denunciare le carenze del sistema politico e nello spingere i cittadini verso un maggior controllo dell"operato della classe dirigente. “I problemi” per lo studioso toscano “sorgono quando i populisti raggiungono l"area del potere, perché la loro tendenza all"eccessiva semplificazione dei problemi complessi può condurre ad un"azione governativa inefficiente e troppo venata di demagogia”.
Ora, venendo all"intervento di Berselli, si può evidenziare come, nonostante i rimproveri di quest"ultimo, il Partito Democratico sin dalla sua nascita non si sia limitato solo a “rivendicazioni intellettuali, civili e filosofiche.” Dalla scelta dei colori del partito all"idealizzazione del ricorso alla società civile nel periodo costituente, dalla strategia del dialogo “a scatola chiusa” alle parole - con le quali Veltroni sembrava rispondere in brevissimo tempo a Berselli - del segretario nazionale alla manifestazione del Circo Massimo (es. “l’Italia è un paese migliore della destra che lo governa”): tutto questo indica chiaramente come il Pd abbia già fatto suoi alcuni elementi populistici. Certo sono tratti di un populismo diverso rispetto a quello di centro destra, in cui il demos in questione è prettamente quello di centrosinistra (e qui ha ragione Berselli nell"evidenziare come l"azione e le tematiche del Pd convincano i già convinti).
Questo fa leggere in maniera differente la scelta delle stesse tematiche “filosofiche” discusse dalla dirigenza del partito all"interno dell"arena politica, scelta dettata dall"esigenza di compattare un"area/base di elettorato ancora priva di una comune weltanschaaung e non di certo da quella di strappare consensi ad un centrodestra fortemente beneficiato dalle divisioni interne alla stessa opposizione. Fermo restando il fatto dell"esistenza anteriore al 25 ottobre di un populismo interno al Pd e di una lettura critica poco convincente del tentativo (comunque fallito) strategico veltroniano, bisognerà sottolineare come l"articolo di Berselli vada oltre la rivendicazione di un populismo generico ma ne indichi anche i caratteri ed il modello. L"ambizione dell"editorialista di “La Repubblica” è quella di superare la destra rubandole la strategia. Giungere alla vittoria parlando alla pancia dei cittadini battendo Berlusconi grazie al suo stesso stile (od a qualcosa di molto simile).
Leggere nuovamente, nel 2008, queste analisi con le inerenti proposte rende la misura della crisi in cui si dibatte la sinistra italiana, la quale non riesce ancora a fare tesoro delle sue sconfitte e della profonda lezione dei suoi maestri. Scriveva Carlo Rosselli nel 1926 “Perché fummo battuti? Ecco la domanda fondamentale che dobbiamo porci e che esige una chiara risposta. Il sapersi rendere ragione della sconfitta è già un primo passo sulla via della rivincita”.
Quello evidenziato da Rosselli resta, a ottantadue anni di distanza, il vero punto debole della gauche nostrana. Infatti buona parte di essa, dal 1994, ritiene di aver perso per non essere riuscita a parlare ai cittadini con la crudezza e l"efficacia della retorica berlusconiana, per essere stata troppo dedita all" accademia nelle sue analisi politiche, per aver proposto - e non subito dalla società civile - una visione unitaria e generale della società (da qui il continuo appello alla concretezza e ad un pragmatismo che Natalino Irti ha giustamente stigmatizzato come “soggettivismo occasionalistico”). Si tratta di un"analisi profondamente distorta che non vede come la sinistra abbia perso dignità e consensi principalmente grazie alla mancata reazione qualitativa al contesto creato dalla fine della “Prima Repubblica”. A partire dalle considerazioni fallaci di cui si è fatto cenno - in molti casi strumentali al mantenimento di posizioni di potere altrimenti indifendibili - si è instaurata una prassi di rincorsa al ribasso (sia sul piano dello stile che su quello dei contenuti) sulla scia di un centrodestra la cui caratura media, culturale ed istituzionale, sarebbe eufemistico definire come “mediocre”.
Conseguentemente si è aggravato il completo discredito di una classe politica che, sia pur uscita in maniera eterogenea da “Tangentopoli”, aveva sopra ogni altro compito quello di rafforzare e difendere la dignità delle istituzioni ed il ruolo della politica nella nostra società. Il lessico, l"agenda e le regole della politica italiana sono andate scadendo fino ad oggi nel silenzio generale dei governi i quali, dando prova di cinica ignavia civile, non si sono interessati a questa esiziale deriva salvo aggravare saltuariamente la situazione con interventi dettati da ben altre logiche. Prova ne è l"attuale legge elettorale, definita dallo stesso creatore “una porcata”, sopravvissuta già all"alternanza di governo destra-sinistra. Chi, dopo gli ultimi quattordici anni (e dopo un esempio del genere), parla ancora di superiorità morale a sinistra non sa quello che dice o fa della retorica demagogica.
Ai sostenitori di questa vulgata sfugge il motivo sostanziale per cui l"elettorato non si sposta a sinistra che è, in nuce, il seguente: sono anni che le coalizioni o i partiti di quell"area politica non costituiscono una vera “alternativa” di governo allo sfascio civile, morale e culturale che non Berlusconi, ma la maggioranza, più o meno silenziosa, degli italiani (con in testa le loro classi dirigenti) ha causato nel tempo all"Italia. Berlusconi stesso non è che un epifenomeno (sia pure caratterizzante e profondamente nocivo) di questa lunga distorsione della vita civile e democratica italiana che ha forti radici, oltre che nella sempreverde alternanza tra familismo amorale e forcaiolismo dell"opinione pubblica, nei meccanismi di gestione e conquista del potere adottati da parte delle élites italiane a partire dagli anni della “Prima Repubblica”: meccanismi che solo oggi, una volta sprecate le occasioni storiche di “rivoluzione” (si intende la rivoluzione “come effetto” di cui scriveva Norberto Bobbio), mostrano tutta la loro pesante e terribile eredità nella distanza comunicativa tra classe politica e cittadini unita al collasso dell"identità nazionale e dei valori costituzionali.
Se il Pd ritiene di voler rispondere a tutto questo, dunque, non può ascoltare le sirene del populismo, del quale siamo ormai da tempo la terra eletta dopo l"America, ma deve insistere nella ricostruzione di un progetto per il Paese che faccia a meno della “pancia” del popolo non tanto nella valutazione dei suoi bisogni, ma nella selezione e nell"ideazione delle politiche pubbliche. Non si tratta di usare “sangue, polmoni e cuore” se non per sostenere un ragionamento di rottura qualitativa con la pochezza politica dei governi del passato: un ragionamento dotato di una visione generale e complessa, scevro dalle semplificazioni del populismo ed attento alle potenzialità sociali ed umane dell"Italia.
Se l"attuale dirigenza (con essa non si intende solo il segretario ma anche i “notabili influenti”) del Pd non si ritiene all"altezza di disegnare e sostenere un programma del genere si faccia da parte e utilizzi quegli strumenti che, saggiamente, sono previsti dallo statuto del partito stesso per creare un ricambio che possa valorizzare le migliori forze innovative presenti all"interno di un progetto istituzionalmente ben delineato come quello del Partito Democratico. Per quest"ultimo la vera sfida oggi non dovrebbe concernere l"inseguire Berlusconi sul terreno a lui proprio, bensì il ritrovarsi intorno ad un serio e ragionato orientamento politico comune da sottoporre all"attenzione del Paese come un"opportunità per il suo stesso futuro. Si ritiene, infatti, che una forza politica degna di questo nome sia tale solo se elabora e propone un modello attraverso cui guidare la società lungo gli impervi sentieri dell"avvenire.
Per analizzare questi due punti sarà opportuno definire in partenza che cos"è il populismo, problema che Berselli risolve indicando degli epifenomeni (radicalità, parlare alla pancia della società, ecc.) sostenuti dalla seguente ratio : “a rigor di termini, l"ideologia e la vocazione populista si realizzano nell"intenzione di trasformare immediatamente in leggi la cosiddetta volontà popolare”. Volendo delineare in maniera più accurata questo aspetto si evidenzierà come il populismo sia “essenzialmente una mentalità, una concezione della società che porta a vedere nel popolo l"unico titolare della sovranità politica e l"unico depositario delle virtù positive, ad esaltare i valori di semplicità ed onestà tipici di un uomo comune idealizzato, a diffidare del potere e soprattutto di chi lo esercita professionalmente, a combattere tutto ciò che al popolo è estraneo e a reclamare forme di controllo diretto dal basso dell"operato delle infide élites, quali i referendum, le leggi di iniziativa popolare”, ecc.
Sempre secondo Marco Tarchi, a cui si deve la definizione testé adottata, il populismo non è necessariamente un fenomeno negativo: può avere una sua utilità per denunciare le carenze del sistema politico e nello spingere i cittadini verso un maggior controllo dell"operato della classe dirigente. “I problemi” per lo studioso toscano “sorgono quando i populisti raggiungono l"area del potere, perché la loro tendenza all"eccessiva semplificazione dei problemi complessi può condurre ad un"azione governativa inefficiente e troppo venata di demagogia”.
Ora, venendo all"intervento di Berselli, si può evidenziare come, nonostante i rimproveri di quest"ultimo, il Partito Democratico sin dalla sua nascita non si sia limitato solo a “rivendicazioni intellettuali, civili e filosofiche.” Dalla scelta dei colori del partito all"idealizzazione del ricorso alla società civile nel periodo costituente, dalla strategia del dialogo “a scatola chiusa” alle parole - con le quali Veltroni sembrava rispondere in brevissimo tempo a Berselli - del segretario nazionale alla manifestazione del Circo Massimo (es. “l’Italia è un paese migliore della destra che lo governa”): tutto questo indica chiaramente come il Pd abbia già fatto suoi alcuni elementi populistici. Certo sono tratti di un populismo diverso rispetto a quello di centro destra, in cui il demos in questione è prettamente quello di centrosinistra (e qui ha ragione Berselli nell"evidenziare come l"azione e le tematiche del Pd convincano i già convinti).
Questo fa leggere in maniera differente la scelta delle stesse tematiche “filosofiche” discusse dalla dirigenza del partito all"interno dell"arena politica, scelta dettata dall"esigenza di compattare un"area/base di elettorato ancora priva di una comune weltanschaaung e non di certo da quella di strappare consensi ad un centrodestra fortemente beneficiato dalle divisioni interne alla stessa opposizione. Fermo restando il fatto dell"esistenza anteriore al 25 ottobre di un populismo interno al Pd e di una lettura critica poco convincente del tentativo (comunque fallito) strategico veltroniano, bisognerà sottolineare come l"articolo di Berselli vada oltre la rivendicazione di un populismo generico ma ne indichi anche i caratteri ed il modello. L"ambizione dell"editorialista di “La Repubblica” è quella di superare la destra rubandole la strategia. Giungere alla vittoria parlando alla pancia dei cittadini battendo Berlusconi grazie al suo stesso stile (od a qualcosa di molto simile).
Leggere nuovamente, nel 2008, queste analisi con le inerenti proposte rende la misura della crisi in cui si dibatte la sinistra italiana, la quale non riesce ancora a fare tesoro delle sue sconfitte e della profonda lezione dei suoi maestri. Scriveva Carlo Rosselli nel 1926 “Perché fummo battuti? Ecco la domanda fondamentale che dobbiamo porci e che esige una chiara risposta. Il sapersi rendere ragione della sconfitta è già un primo passo sulla via della rivincita”.
Quello evidenziato da Rosselli resta, a ottantadue anni di distanza, il vero punto debole della gauche nostrana. Infatti buona parte di essa, dal 1994, ritiene di aver perso per non essere riuscita a parlare ai cittadini con la crudezza e l"efficacia della retorica berlusconiana, per essere stata troppo dedita all" accademia nelle sue analisi politiche, per aver proposto - e non subito dalla società civile - una visione unitaria e generale della società (da qui il continuo appello alla concretezza e ad un pragmatismo che Natalino Irti ha giustamente stigmatizzato come “soggettivismo occasionalistico”). Si tratta di un"analisi profondamente distorta che non vede come la sinistra abbia perso dignità e consensi principalmente grazie alla mancata reazione qualitativa al contesto creato dalla fine della “Prima Repubblica”. A partire dalle considerazioni fallaci di cui si è fatto cenno - in molti casi strumentali al mantenimento di posizioni di potere altrimenti indifendibili - si è instaurata una prassi di rincorsa al ribasso (sia sul piano dello stile che su quello dei contenuti) sulla scia di un centrodestra la cui caratura media, culturale ed istituzionale, sarebbe eufemistico definire come “mediocre”.
Conseguentemente si è aggravato il completo discredito di una classe politica che, sia pur uscita in maniera eterogenea da “Tangentopoli”, aveva sopra ogni altro compito quello di rafforzare e difendere la dignità delle istituzioni ed il ruolo della politica nella nostra società. Il lessico, l"agenda e le regole della politica italiana sono andate scadendo fino ad oggi nel silenzio generale dei governi i quali, dando prova di cinica ignavia civile, non si sono interessati a questa esiziale deriva salvo aggravare saltuariamente la situazione con interventi dettati da ben altre logiche. Prova ne è l"attuale legge elettorale, definita dallo stesso creatore “una porcata”, sopravvissuta già all"alternanza di governo destra-sinistra. Chi, dopo gli ultimi quattordici anni (e dopo un esempio del genere), parla ancora di superiorità morale a sinistra non sa quello che dice o fa della retorica demagogica.
Ai sostenitori di questa vulgata sfugge il motivo sostanziale per cui l"elettorato non si sposta a sinistra che è, in nuce, il seguente: sono anni che le coalizioni o i partiti di quell"area politica non costituiscono una vera “alternativa” di governo allo sfascio civile, morale e culturale che non Berlusconi, ma la maggioranza, più o meno silenziosa, degli italiani (con in testa le loro classi dirigenti) ha causato nel tempo all"Italia. Berlusconi stesso non è che un epifenomeno (sia pure caratterizzante e profondamente nocivo) di questa lunga distorsione della vita civile e democratica italiana che ha forti radici, oltre che nella sempreverde alternanza tra familismo amorale e forcaiolismo dell"opinione pubblica, nei meccanismi di gestione e conquista del potere adottati da parte delle élites italiane a partire dagli anni della “Prima Repubblica”: meccanismi che solo oggi, una volta sprecate le occasioni storiche di “rivoluzione” (si intende la rivoluzione “come effetto” di cui scriveva Norberto Bobbio), mostrano tutta la loro pesante e terribile eredità nella distanza comunicativa tra classe politica e cittadini unita al collasso dell"identità nazionale e dei valori costituzionali.
Se il Pd ritiene di voler rispondere a tutto questo, dunque, non può ascoltare le sirene del populismo, del quale siamo ormai da tempo la terra eletta dopo l"America, ma deve insistere nella ricostruzione di un progetto per il Paese che faccia a meno della “pancia” del popolo non tanto nella valutazione dei suoi bisogni, ma nella selezione e nell"ideazione delle politiche pubbliche. Non si tratta di usare “sangue, polmoni e cuore” se non per sostenere un ragionamento di rottura qualitativa con la pochezza politica dei governi del passato: un ragionamento dotato di una visione generale e complessa, scevro dalle semplificazioni del populismo ed attento alle potenzialità sociali ed umane dell"Italia.
Se l"attuale dirigenza (con essa non si intende solo il segretario ma anche i “notabili influenti”) del Pd non si ritiene all"altezza di disegnare e sostenere un programma del genere si faccia da parte e utilizzi quegli strumenti che, saggiamente, sono previsti dallo statuto del partito stesso per creare un ricambio che possa valorizzare le migliori forze innovative presenti all"interno di un progetto istituzionalmente ben delineato come quello del Partito Democratico. Per quest"ultimo la vera sfida oggi non dovrebbe concernere l"inseguire Berlusconi sul terreno a lui proprio, bensì il ritrovarsi intorno ad un serio e ragionato orientamento politico comune da sottoporre all"attenzione del Paese come un"opportunità per il suo stesso futuro. Si ritiene, infatti, che una forza politica degna di questo nome sia tale solo se elabora e propone un modello attraverso cui guidare la società lungo gli impervi sentieri dell"avvenire.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.