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Gli strascichi della crisi Pirelli -Telecom

Le scuse amorali di Tronchetti Provera

Devianze ci sono state ma convincere gli azionisti che si è ben amministrato è sfacciato

di Davide Giacalone - 24 aprile 2007

Tronchetti Provera chiede scusa, scegliendo sede, tempi ed argomenti che peggiori non sarebbe stato possibile trovare. Si rivolge agli azionisti di Pirelli, come se esistesse un foro morale separato, una legge buona per amministrare le aziende anche se arreca danno alla collettività. Si rivolge a chi ha investito i propri denari, come se l’avere messo il soldo dia maggiore legittimazione ad incassare le scuse che non l’essere cittadini di un Paese che da quelle deviazioni è stato infestato.

Si rivolge a chi ha perso buona parte di quei quattrini e tenta di spiegare che la sua amministrazione è tata buona, il che rasenta l’incredibile perché alle deviazioni si sono sommate la confusione strategica e la gestione approssimativa, talché risulta avventuroso immaginare cosa sarebbe mai potuto succedere se, a giudizio di Tronchetti Provera, le cose fossero andate male. E chiede scusa non per il profondo pozzo nel quale precipitavano rifiuti di vario genere, ma per il “danno d’immagine” che ne è derivato. Sono parole che stanno a quelle di un capitano d’industria come quelle di un praticone estetista a quelle di un quotato cardiochirurgo. Naturalmente non si è risparmiato la solita storiella della “parte lesa”, e non so quanti anni dovranno passare, in questo Paese di giustizia scassata, perché qualcuno gli spieghi che la parte danneggiata è l’azienda, la persona giuridica, non chi l’amministrava. Nel suo caso specifico, quello del signor Marco Tronchetti Provera, egli è la parte ledente. Vuoi per eventuale complicità con gli spioni (cosa che spetta alla magistratura e non a noi accertare, e posto che egli non è neanche indagato), vuoi per l’incapacità di accorgersi di cosa accadeva nella stanza accanto alla sua, talora nella sua stessa stanza, e comunque con uomini e strutture da lui scelti e da lui pagati.

Se le aziende che amministra fossero sue, se dipendessero dai suoi capitali, se, insomma, fosse una faccenda di famiglia, sarebbe ragionevole porgere le scuse ai parenti e manifestare nuovi propositi per il futuro. Ma si tratta di società quotate in Borsa, dove i suoi capitali coprono solo una percentuale minima del patrimonio e dove dovrebbero valere regole ferree di trasparenza e severità nei controlli. Essendo, sia Telecom Italia che Pirelli, la dimostrazione di quanto tutto questo sia lasco e relativo, rappresentano altrettanti esempi di disfacimento morale del mercato. A fronte di questo le parole tronchettiane ed il supporto di Confindustria, la tiritera della morale fatta agli altri, sono solo futili ed inutili cose.

E’ vero, però, che ci sono state interferenze ed indebite intromissioni della politica, che noi abbiamo sempre denunciato. Ma sarebbe da ciechi non rendersi conto che quelle ulteriori devianze sono frutto degli errori commessi da chi ha amministrato Telecom. E possiamo discutere con passione su quale sia il dosaggio delle responsabilità, ma non possiamo consentire che a dar lezioni sia chi ha causato il disastro.

Le scuse di Tronchetti Provera, insomma, sono tutte interne al familismo amorale descritto da Carlo Tullio Altan, tutte interne al male profondo che rode la forza e la ricchezza del Paese. Possiamo essergli grati per averle porte, se non altro perché adesso la cosa non è chiara solo a chi si rifiuta di guardarla in modo obiettivo.

www.davidegiacalone.it

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