Il tetto retributivo ai dipendenti pubblici
Le retribuzioni (elevate) dello Stato
Maggiore efficienza nel servizio al cittadino, non tetti demagogicidi Davide Giacalone - 14 dicembre 2007
La poca chiarezza del linguaggio tradisce la poca trasparenza dei concetti, così come dei processi politici. C’è agitazione, nella maggioranza, per quel che riguarda il tetto retributivo da imporsi ai (pochi) dipendenti pubblici che sono assai ben pagati. Forse a causa della retribuzione elevata qualcuno li chiama manager, e qui comincia la confusione. I manager gestiscono le aziende, non fanno carriera nello Stato. Un manager si definisce “pubblico” quando opera in un’azienda la cui proprietà è pubblica, sia statale che in mano ad enti locali. In questo caso si deve distinguere: se si tratta d’imprese che operano in un mercato concorrenziale si deve privatizzarle, venderle; se operano in monopolio allora c’è poco da essere dei grandi manager per farle guadagnare, quindi non c’è motivo di pagarli troppo.
Diversa è la faccenda che riguarda l’amministrazione statale in senso stretto. In questo caso a rivoltarsi contro il tetto sono stati gli stessi che affiancano i ministri, a cominciare dai capi di gabinetto che sperano sempre di fare il salto verso una qualche autorità od amministrazione che garantisca loro redditi ragguardevoli. Ma non è questa la stortura, perché l’ambizione è sempre la benvenuta, il punto è che quelli che ci riescono guadagnano sproporzionatamente di più di quel che intascano i loro omologhi europei. Insomma, siamo un Paese che paga poco i poliziotti ma strapaga il loro capo. E quando paghiamo profumatamente i membri delle autorità non teniamo conto che a quelli, una volta esaurito l’incarico, si apre il ricco mercato delle consulenze private, dove rivendere, più che lecitamente, quel che hanno imparato. Insomma ragioniamo come uno Stato statico, dove arrivati in cima si ritira il premio e poi si passa a fare i mantenuti in pensione, mentre dovremmo rivoluzionare l’idea di carriera ed ammettere che dall’alto si esce anche per andare a lavorare, mica solo a riposare. Inoltre, serve a poco pagare profumatamente i vertici se poi si appiattiscono i redditi della truppa e si nega ogni premio, economico, al merito ed all’impegno. Potete pagare a milionate un direttore generale, ma la macchina che guida resterà ferma o andrà caracollando se gli addetti ai motori prendono la stessa miseria sia che siano dei geni o dei lavativi. Tutta questa discussione sui “tetti” ha il sapore sgradevole della demagogia, del voler far vedere che si riesce ad essere rigorosi con i pochi (che saranno poi premiati con altri incarichi). Mentre si sente il bisogno di maggiore serietà ed efficienza nel rendere il servizio al cittadino, quindi nel far funzionare la catena operativa dal primo all’ultimo anello.
www.davidegiacalone.it
Diversa è la faccenda che riguarda l’amministrazione statale in senso stretto. In questo caso a rivoltarsi contro il tetto sono stati gli stessi che affiancano i ministri, a cominciare dai capi di gabinetto che sperano sempre di fare il salto verso una qualche autorità od amministrazione che garantisca loro redditi ragguardevoli. Ma non è questa la stortura, perché l’ambizione è sempre la benvenuta, il punto è che quelli che ci riescono guadagnano sproporzionatamente di più di quel che intascano i loro omologhi europei. Insomma, siamo un Paese che paga poco i poliziotti ma strapaga il loro capo. E quando paghiamo profumatamente i membri delle autorità non teniamo conto che a quelli, una volta esaurito l’incarico, si apre il ricco mercato delle consulenze private, dove rivendere, più che lecitamente, quel che hanno imparato. Insomma ragioniamo come uno Stato statico, dove arrivati in cima si ritira il premio e poi si passa a fare i mantenuti in pensione, mentre dovremmo rivoluzionare l’idea di carriera ed ammettere che dall’alto si esce anche per andare a lavorare, mica solo a riposare. Inoltre, serve a poco pagare profumatamente i vertici se poi si appiattiscono i redditi della truppa e si nega ogni premio, economico, al merito ed all’impegno. Potete pagare a milionate un direttore generale, ma la macchina che guida resterà ferma o andrà caracollando se gli addetti ai motori prendono la stessa miseria sia che siano dei geni o dei lavativi. Tutta questa discussione sui “tetti” ha il sapore sgradevole della demagogia, del voler far vedere che si riesce ad essere rigorosi con i pochi (che saranno poi premiati con altri incarichi). Mentre si sente il bisogno di maggiore serietà ed efficienza nel rendere il servizio al cittadino, quindi nel far funzionare la catena operativa dal primo all’ultimo anello.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.