La rottura Marchionne-Marcegaglia
Le mani libere
Il buon alibi dell'impolitico uomo dal maglione bludi Enrico Cisnetto - 04 ottobre 2011
C’è una relazione tra la decisione della Fiat di uscire da Confindustria a fine anno e la recente posizione a dir poco ruvida nei confronti del governo di Emma Marcegaglia? Teoricamente no, visto che si tratta della formalizzazione di una scelta già annunciata tempo fa, quando Confindustria era semmai fin troppo appiattita su Berlusconi. Ma è la coincidenza dei tempi – in cui va messa anche l’uscita anti-casta di Della Valle che tanto fa discutere – a rendere invece plausibile l’esistenza di un nesso. Infatti Marchionne, che ribadisce oggi ciò che farà tra tre mesi, per quanti ami farsi credere naif, non poteva non sapere che la sua uscita sarebbe stata utilizzata dal governo per aprire il fuoco della polemica nei confronti della “ingrata” Marcegaglia. Cosa che ieri è puntualmente successa.
Dal ministro Sacconi in giù, molti esponenti della maggioranza hanno fatto rilevare come la rottura Marchionne-Marcegaglia sia avvenuta sull’applicazione dell’articolo 8 della manovra d’agosto – che consente alle imprese di negoziare con i sindacati regole più favorevoli su organici, orari, flessibilità – su cui la Confindustria è stata accusata di tradimento perché avrebbe aperto alla Cgil, notoriamente frenante su questo punto, sottoscrivendo l’accordo interconfederale del 28 giugno. Ma, anche ammesso che non sia vero quanto replica la presidente di Confindustria – e cioè che la firma dell’accordo che ha dopo tanto tempo recuperato la Cgil all’unità con Cisl e Uil non contrasta con il dettato dell’articolo 8 – questa valutazione comunque stona con il fatto che la rottura Marchionne l’aveva decisa e annunciata mesi fa, quando il provvedimento non esisteva ancora.
Inoltre le intese raggiunte a Pomigliano e Mirafiori in deroga ai contratti sono rese retroattive proprio dall’articolo 8, e questo per Fiat è un fatto acquisito. Dunque, perché denunciare pericoli che, anche ammesso che esistano, non possono riguardare la Fiat?
Insomma l’impolitico Marchionne, che plaude a Della Valle fino ad azzardare un paragone con Napolitano, ha fatto una mossa politica. Che ha inteso rafforzare annunciando l’avvio (futuro) di due produzioni in Italia, una a Mirafiori (un suv con il marchio Jeep della Chrysler) e l’altra ad Avellino (un nuovo motore Alfa). Scelte che fanno piacere – sperando siano quelle definitive, vista la girandola di ipotesi che hanno fatto perdere un po’ di credibilità a questi annunci – ma che comunque non sono tali da consolidare l’italianità della Fiat nella fase della sua unione, che molti pensano sarà presto una vera e propria fusione, con la Chrysler.
Ecco, è proprio questo defilarsi dall’Italia che rischia di essere il vero motivo della mossa di Marchionne: rompere con Confindustria evocando che in Italia nemmeno più l’associazione degli industriali tutela gli interessi di una multinazionale come quella da lui guidata, annunciare comunque che intende fare qualcosa di nuovo in due stabilimenti come segno di buona volontà ma tenersi le mani libere e avere precostituito un buon alibi per quando dovrà (vorrà) spostare definitivamente cuore, cervello e braccia a Detroit.
Dal ministro Sacconi in giù, molti esponenti della maggioranza hanno fatto rilevare come la rottura Marchionne-Marcegaglia sia avvenuta sull’applicazione dell’articolo 8 della manovra d’agosto – che consente alle imprese di negoziare con i sindacati regole più favorevoli su organici, orari, flessibilità – su cui la Confindustria è stata accusata di tradimento perché avrebbe aperto alla Cgil, notoriamente frenante su questo punto, sottoscrivendo l’accordo interconfederale del 28 giugno. Ma, anche ammesso che non sia vero quanto replica la presidente di Confindustria – e cioè che la firma dell’accordo che ha dopo tanto tempo recuperato la Cgil all’unità con Cisl e Uil non contrasta con il dettato dell’articolo 8 – questa valutazione comunque stona con il fatto che la rottura Marchionne l’aveva decisa e annunciata mesi fa, quando il provvedimento non esisteva ancora.
Inoltre le intese raggiunte a Pomigliano e Mirafiori in deroga ai contratti sono rese retroattive proprio dall’articolo 8, e questo per Fiat è un fatto acquisito. Dunque, perché denunciare pericoli che, anche ammesso che esistano, non possono riguardare la Fiat?
Insomma l’impolitico Marchionne, che plaude a Della Valle fino ad azzardare un paragone con Napolitano, ha fatto una mossa politica. Che ha inteso rafforzare annunciando l’avvio (futuro) di due produzioni in Italia, una a Mirafiori (un suv con il marchio Jeep della Chrysler) e l’altra ad Avellino (un nuovo motore Alfa). Scelte che fanno piacere – sperando siano quelle definitive, vista la girandola di ipotesi che hanno fatto perdere un po’ di credibilità a questi annunci – ma che comunque non sono tali da consolidare l’italianità della Fiat nella fase della sua unione, che molti pensano sarà presto una vera e propria fusione, con la Chrysler.
Ecco, è proprio questo defilarsi dall’Italia che rischia di essere il vero motivo della mossa di Marchionne: rompere con Confindustria evocando che in Italia nemmeno più l’associazione degli industriali tutela gli interessi di una multinazionale come quella da lui guidata, annunciare comunque che intende fare qualcosa di nuovo in due stabilimenti come segno di buona volontà ma tenersi le mani libere e avere precostituito un buon alibi per quando dovrà (vorrà) spostare definitivamente cuore, cervello e braccia a Detroit.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.