Le bugie di Berlusconi sul Pil
Dopo il voto, ci vuole un’iniziativa che tuteli l’autonomia della statistica ufficialedi Donato Speroni - 27 marzo 2006
Silvio Berlusconi continua a ripetere le stesse bugie sulle statistiche ufficiali. Nell’intervista al Mattino pubblicata domenica 26 ha affermato: “La crescita zero è un’invenzione ridicola perché l’Istat non considera il 27% di economia sommersa”.
Questa affermazione contiene una doppia falsità. L’Istat sottopone a continuo monitoraggio l’economia sommersa. Nella nota diffusa il 22 settembre 2005 si formula un’ipotesi massima del 16,7% rispetto al Pil. Il calcolo si riferisce al 2003, ma le variazioni annue sono minime, con una punta più alta del 17,7% nel 1997 e una minima di 15,8 nel 1992.
Si tratta, ripetiamo, di un’ipotesi massima, che fa parte di una “forchetta” avvalorata dagli studiosi tra il 14,8 e appunto il 16,7%. La panzana del 27% gira da anni (ne scrissi già nel 2001 quando il presidente della Confindustria Antonio D’Amato cercava di avvalorarla contro il parere di tutti i suoi autorevoli consiglieri economici) e si deve a un certo professor Friedrich Schneider dell’università di Linz, il quale parametra i suoi calcoli sulla dimensione del circolante, sulla base della convinzione che “il nero” si paga in contanti e quindi la quantità del contante è un indicatore della dimensione dell’economia sommersa.
La tesi di Schneider è contestata da tutti gli studiosi (tra l’altro collocherebbe il nostro reddito nazionale pro capite sopra la media dell’area euro), ma si può ancora capire che in campagna elettorale il “premier” non vada tanto per il sottile. Quello che invece è totalmente e sicuramente falso è che l’economia sommersa –almeno quel 15 -17% riconosciuto dall’Istat, non faccia parte della contabilità nazionale cioè del calcolo del prodotto interno lordo. E’ incluso nei calcoli, infatti dal 1987, quando il Pil fu appositamente rivalutato, con una metodologia poi adottata anche dagli altri paesi europei. E’ difficile pensare che gli illustri economisti che circondano il “premier”, da Renato Brunetta a Giulio Tremonti, non gli abbiano spiegato queste cose.
Ancor più peregrina appare la tesi che il sommerso possa essere una giustificazione della dinamica economica. Potrebbe essere vero solo se fosse cresciuto vertiginosamente negli ultimi due anni, trasformando mezza Italia in un sobborgo di Napoli (l’area dove il sommerso d’impresa è presumibilmente più diffuso). Se fosse così, il “premier” dovrebbe chiedere al suo ministro dell’Economia come mai ha tollerato una tale espansione dell’evasione senza far nulla.
Non è il primo caso di distorsione dei dati. Abbiamo già assistito e commentato qualcosa di simile in relazione al calcolo delle Ula, le unità di lavoro a tempo pieno. C’è da sperare che questa sia l’ultima campagna elettorale in cui si assiste a queste falsificazioni, che l’Istat subisce senza poter replicare. Dopo le elezioni, sarà bene riunire quanti credono nella “magistratura del dato” come fonte del buon governo per promuovere un’iniziativa politica a tutela della statistica ufficiale.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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