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Addio idraulico polacco e infermiere rumeno

Lavoro: buone nuove dall’allargamento

Alla fine hanno avuto ragione i Paesi più aperti che hanno lasciato fare il mercato

di Paolo Bozzacchi - 08 febbraio 2006

Una gradita sorpresa. Vi ricordate le preoccupazioni che destava l’allargamento dell’Unione europea dal punto di vista delle potenziali sottratte opportunità di lavoro per i cittadini dell’Ue15? Ebbene, a meno di due anni dall’ampliamento dei confini comunitari, sembrano già definitivamente scomparse.

La Commissione europea ha pubblicato una relazione che mostra anzitutto come i flussi siano stati piuttosto contenuti, e come la mobilità dei lavoratori provenienti dagli Stati membri dell’Europa centrale e orientale verso l’Ue15 (appunto i famosi idraulici polacchi e infermieri romeni), ha avuto sostanzialmente effetti positivi. I nuovi lavoratori europei hanno colmato lacune del mercato del lavoro e contribuito a un migliore risultato economico europeo.

A giovare di più del fenomeno i Paesi che non hanno applicato alcuna restrizione agli ingressi, ovvero Regno Unito, Svezia e Irlanda, che hanno fatto registrare una forte crescita economica, insieme a una caduta della disoccupazione e un aumento dell’occupazione. Nei paesi dove vigono norme transitorie (tra cui l’Italia), gli ingressi regolari hanno prodotto crescita, ma a fianco ad essa si sono registrati alti livelli di lavoro nero o indipendente fittizio.

In tutti i paesi europei, comunque, i cittadini dei nuovi Stati membri (UE10) rappresentano meno dell’1% della manodopera, escluse Austria (1,4% nel 2005) e Irlanda (3.8 % nel 2005). I flussi di lavoratori immigrati relativamente più consistenti si registrano verso l’Irlanda dei cui lusinghieri risultati economici sono stati un importante fattore. I lavoratori UE10 sono muniti di qualifiche assai richieste, e, secondo la “Relazione sul funzionamento delle disposizioni transitorie” la percentuale di lavoratori non qualificati è molto inferiore al suo equivalente nazionale.

Secondo il trattato di adesione, firmato nel 2003, gli Stati membri devono decidere entro il 30 aprile 2006 se togliere alla libera circolazione dei lavoratori nell’UE le restrizioni nazionali introdotte nel maggio 2004 dai vecchi Stati membri (UE15 – ma Irlanda, Svezia e Regno Unito esclusi) per i lavoratori degli 8 nuovi paesi dell’Europa centrale e orientale dell’UE. E l’orientamento sembra essere quello di dare fiducia al mercato.

E l’Italia? Accetterà passivamente o si muoverà in modo autonomo? A suo tempo il governo Berlusconi decise di adottare un regime normativo transitorio e mantenere il sistema nazionale di rilascio dei permessi di lavoro, aumentando semplicemente le quote relative agli otto paesi nuovi membri. Il risultato di questa politica è stato che il 40% di quote per i lavoratori dell’est europeo non è stato utilizzato. Ma non sarà semplicemente che nell’Unione europea il lavoro nero è più presente dove il costo per le imprese per unità lavorativa è più alto e i controlli più blandi?

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