Sbagli e correttezze delle Germania
La versione di Angela
Il problema è europeo e lo si risolverebbe aumentando l'integrazione, federalizzando i debiti e cedendo sovranitàdi Davide Giacalone - 12 febbraio 2012
Scegliere fra default economico e default democratico, fra la bancarotta dei conti e quella delle istituzioni, non è un bivio sensato. Eppure è quello che hanno di fronte i greci. Nessuno s’illuda che sia un problema esclusivamente loro: come la crisi del debito ha dimostrato d’essere contagiosa, così lo sarà l’ipotesi che quel male possa essere curato imponendo rinunce alla sovranità. Qui in Italia si va avanti per estremismi e isterismi: se prima era considerato irresponsabile negare che s’era definitivamente rovinati (e non lo eravamo) ora sembra essere un crimine negare che siamo salvi (e non lo siamo). Il problema era ed è rimasto europeo, era ed è irrisolto.
Adesso un po’ tutti scrivono che il governo tedesco sta esagerando e che è necessario riveda le proprie posizioni.
In tal senso il nostro governo ha ricevuto un importante sostegno da quello statunitense. Quando noi descrivemmo le conseguenze di quella politica sbagliata, puntando il dito contro uno squilibrato asse franco-tedesco, ci sentivamo rispondere che il problema era l’Italia e il suo ripugnante governo. Voluto dagli elettori, ma già in quel passaggio le menti superiori avevano accantonato l’amore per la democrazia. Ora che tutti se la prendono con la Merkel, forse perché inguaribilmente bastian contrario, mi vien voglia di descrivere le sue ragioni. La versione di Angela. Capirle serve a comprendere dove si trova l’errore. La versione nobile si descrive con un vecchio assunto del diritto, compitato in latino: pacta sunt servanda, i patti (e i contratti) si rispettano. Attestandosi a difesa del patto, sottoscritto a Maastricht, nel 1992, la signora Merkel si mette dalla parte del diritto. Impostata così la cosa, del resto, non ha alcun senso denunciare un danno alla democrazia, perché sarebbe come dire che è democratico firmare una cosa e farne un’altra, stabilire come devono essere tenuti e conti e poi tradirli a piacimento. La forza del governo tedesco sta proprio in quel principio. La sua debolezza si trova in un dettaglio: quando furono loro a sfondare i parametri reclamarono, assieme ai francesi, che non vi fossero sanzioni.
Poi c’è la versione prosaica, anche questa significativa: prima della riunificazione tedesca il pil dell’Italia cresceva più della Germania, ora (da tempo) è il contrario; all’inizio di questo secolo la spesa pubblica aveva, nei due paesi, lo stesso peso percentuale (48), dieci anni dopo loro l’hanno tagliata di sei punti, mentre la nostra è rimasta immutata. Detto in modo diverso: loro hanno fatto riforme capaci di aumentare la produttività e diminuire il peso dello Stato, noi no. Prendo i nostri due paesi per semplicità, ma si potrebbe allargare il confronto ad altri, Francia compresa. Il ragionamento della Merkel è: dati gli sforzi che abbiamo fatto (vogliamo parlare dei loro salari minimi e della tutela dei lavoratori?) oggi ne traiamo un beneficio, finanziando il nostro debito a tassi inferiori all’inflazione, perché mai dovremmo rinunciarci, andando incontro a chi non è stato capace di fare altrettanto e se l’è goduta? E’ qui che il rigore economico, la maniacalità bilancistica, diventa rigore morale. Ed è un terreno sul quale è difficile darle torto. Eppure sbaglia. L’errore strutturale sta nel trattato di Maastricht, o, meglio, nel non essere stati conseguenti nell’aggiornarlo e farlo crescere, come pure era stato allora scritto.
Dopo molti anni d’integrazione dei mercati si coltivò l’illusione che una moneta unica avrebbe potuto surrogare uno Stato unico, fino a portare all’odierno incubo. L’errore politico sta nel credere che la Germania possa prosperare sommergendo gli altri, ovvero ergendosi a esempio cui ispirarsi. In realtà prospera proprio perché si trova dentro l’Ue e Uem, che con la propria condotta rischia di sfasciare. La versione di Angela, come si vede, non è per niente banale, né riducibile alla voglia (pur presente, e del resto legittima) di farne il vessillo della propria campagna elettorale. Non basta dire che sbaglia, si deve dire dove e perché, altrimenti sembra quasi che si voglia perseverare in un’Europa in cui l’Italia allarga il proprio insostenibile debito pubblico e la Grecia bara nei bilanci, tanto i tassi d’interesse sono bassi.
La cura, però, non può consistere nel seppellire la democrazia greca e ridurre quella italiana a protettorato in lunga recessione. Il problema è europeo, e lo si scioglie aumentando l’integrazione, federalizzando i debiti, cedendo sovranità, il tutto in sedi istituzionali e collegiali. Per ora, invece, si procede seguendo i proclami tedeschi (lanciati da chi, trovandosi a est, non ha vissuto il lungo e doloroso ripensamento che ha portato a cercare nell’Europa il rimedio alle tentazioni pangermaniche) e concedendo alla Bce di far quel che non si dice. Si crede di guadagnare tempo, invece lo si spreca.
In tal senso il nostro governo ha ricevuto un importante sostegno da quello statunitense. Quando noi descrivemmo le conseguenze di quella politica sbagliata, puntando il dito contro uno squilibrato asse franco-tedesco, ci sentivamo rispondere che il problema era l’Italia e il suo ripugnante governo. Voluto dagli elettori, ma già in quel passaggio le menti superiori avevano accantonato l’amore per la democrazia. Ora che tutti se la prendono con la Merkel, forse perché inguaribilmente bastian contrario, mi vien voglia di descrivere le sue ragioni. La versione di Angela. Capirle serve a comprendere dove si trova l’errore. La versione nobile si descrive con un vecchio assunto del diritto, compitato in latino: pacta sunt servanda, i patti (e i contratti) si rispettano. Attestandosi a difesa del patto, sottoscritto a Maastricht, nel 1992, la signora Merkel si mette dalla parte del diritto. Impostata così la cosa, del resto, non ha alcun senso denunciare un danno alla democrazia, perché sarebbe come dire che è democratico firmare una cosa e farne un’altra, stabilire come devono essere tenuti e conti e poi tradirli a piacimento. La forza del governo tedesco sta proprio in quel principio. La sua debolezza si trova in un dettaglio: quando furono loro a sfondare i parametri reclamarono, assieme ai francesi, che non vi fossero sanzioni.
Poi c’è la versione prosaica, anche questa significativa: prima della riunificazione tedesca il pil dell’Italia cresceva più della Germania, ora (da tempo) è il contrario; all’inizio di questo secolo la spesa pubblica aveva, nei due paesi, lo stesso peso percentuale (48), dieci anni dopo loro l’hanno tagliata di sei punti, mentre la nostra è rimasta immutata. Detto in modo diverso: loro hanno fatto riforme capaci di aumentare la produttività e diminuire il peso dello Stato, noi no. Prendo i nostri due paesi per semplicità, ma si potrebbe allargare il confronto ad altri, Francia compresa. Il ragionamento della Merkel è: dati gli sforzi che abbiamo fatto (vogliamo parlare dei loro salari minimi e della tutela dei lavoratori?) oggi ne traiamo un beneficio, finanziando il nostro debito a tassi inferiori all’inflazione, perché mai dovremmo rinunciarci, andando incontro a chi non è stato capace di fare altrettanto e se l’è goduta? E’ qui che il rigore economico, la maniacalità bilancistica, diventa rigore morale. Ed è un terreno sul quale è difficile darle torto. Eppure sbaglia. L’errore strutturale sta nel trattato di Maastricht, o, meglio, nel non essere stati conseguenti nell’aggiornarlo e farlo crescere, come pure era stato allora scritto.
Dopo molti anni d’integrazione dei mercati si coltivò l’illusione che una moneta unica avrebbe potuto surrogare uno Stato unico, fino a portare all’odierno incubo. L’errore politico sta nel credere che la Germania possa prosperare sommergendo gli altri, ovvero ergendosi a esempio cui ispirarsi. In realtà prospera proprio perché si trova dentro l’Ue e Uem, che con la propria condotta rischia di sfasciare. La versione di Angela, come si vede, non è per niente banale, né riducibile alla voglia (pur presente, e del resto legittima) di farne il vessillo della propria campagna elettorale. Non basta dire che sbaglia, si deve dire dove e perché, altrimenti sembra quasi che si voglia perseverare in un’Europa in cui l’Italia allarga il proprio insostenibile debito pubblico e la Grecia bara nei bilanci, tanto i tassi d’interesse sono bassi.
La cura, però, non può consistere nel seppellire la democrazia greca e ridurre quella italiana a protettorato in lunga recessione. Il problema è europeo, e lo si scioglie aumentando l’integrazione, federalizzando i debiti, cedendo sovranità, il tutto in sedi istituzionali e collegiali. Per ora, invece, si procede seguendo i proclami tedeschi (lanciati da chi, trovandosi a est, non ha vissuto il lungo e doloroso ripensamento che ha portato a cercare nell’Europa il rimedio alle tentazioni pangermaniche) e concedendo alla Bce di far quel che non si dice. Si crede di guadagnare tempo, invece lo si spreca.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.