Il fascicolo speciale di Micromega sulla destra
La sinistra che spera in Fini
Più retorica che critica nelle nuove aperturedi Elio Di Caprio - 16 marzo 2010
Chi l’avrebbe mai detto che, nell’anno di grazia 2010 una rivista culturale doc di sinistra come MicroMega avrebbe dedicato un fascicolo speciale alla destra (ed alla libertà) interrogandosi su quello che bolle in pentola nell’ammucchiata berlusconiana che da quindici anni sembra esprimere e riassumere l’orientamento prevalente degli italiani?
Cosa non si farebbe per trovare una via d’uscita dal berlusconismo vista l’impotenza e la rissosità della sinistra! Tanto vale allora andare a scandagliare con qualche provocazione le contraddizioni sempre più evidenti del PDL che fanno presumere una diaspora più o meno annunciata dei seguaci di Gianfranco Fini.
In altri tempi si sarebbe richiesto un certificato d’origine ai “finiani”intervistati dal mensile di Flores D’Arcais, si sarebbe preteso da loro un giuramento preventivo sui valori della Resistenza e dell’antifascismo prima di consentirgli di esprimere la propria opinione, non si sarebbe mai ammesso che la destra ha avuto anch’essa una cultura propria che ha influenzato tanti filoni del pensiero di sinistra non appiattito sulla totalitaria adesione al marxismo. Finalmente si ammette ( a fatica) che la cultura in sé non è un punto di vista, ha un perenne valore di ricerca che supera le etichette di destra e sinistra che storicamente gli sono state appiccicate nel corso degli ultimi due secoli. Basterebbe questa considerazione per non stupirsi più di tanto ed accettare che le vicende politiche dei singoli Paesi, e quindi anche dell’Italia, subiscano ondate di destra o di sinistra (o presunte tali) perfettamente spiegabili con le contingenze storiche.
Certo si fa fatica ad identificare il berlusconismo con la destra (quale?) che ogni tanto emerge dalle viscere, più che dal cervello degli italiani- questa è almeno la vulgata prevalente- e rende smarrita una sinistra che per anni ha vissuto di rendita sulle “verità” storiche del marxismo.
E’ possibile che i tempi siano tanto cambiati che per uscire dall’ipoteca berlusconiana conviene fare affidamento, più che sul “popolo viola” e su Antonio Di Pietro, sulla dialettica e sulle contraddizioni interne del centro destra? Se marxismo e antifascismo servono poco a spiegare e comunque non sono stati gli argini invalicabili che avrebbero dovuto o potuto impedire l’esondazione del berlusconismo e del leghismo nella società italiana una ragione ci deve pure essere, qualcosa di molto profondo è sfuggito alle analisi di coloro che si sorprendono del consenso al centro destra a tal punto da considerare più della metà degli italiani come degli sprovveduti o degli ingenui, per non dire altro.
Forse il vero interrogativo che dovremmo porci è come mai da quasi un secolo passiamo da un integralismo all’altro, dal fascismo alla lunga stabilizzazione democristiana ( accompagnata peraltro dall’integralismo ideologico della sinistra marxista fino al ’68 ed oltre), per finire quindi alla normalizzazione berlusconiana di questi ultimi anni.
L’alternativa in tutti e tre i casi sarebbe stata il progressivo sfilacciamento della società italiana, la rissosità inconcludente delle fazioni, l’impotenza delle opposizioni ad offrire un’alternativa unitaria. E’ stata finora proprio la tendenza all’integralismo, al regime con classi dirigenti inamovibili ad aver impedito in Italia, a differenza degli altri Paesi europei occidentali, una normale dialettica tra maggioranza ed opposizione, a vedere nell’altro il nemico e non l’avversario, a correre sul carro del vincitore di turno che rischia di rimanere al potere per un tempo insopportabilmente lungo o a prenderne in tempo le distanze per acconciarsi agli scenari futuri.
Poteva e può essere diversamente? E’ ancora questa la sfida che ci fa continuamente oscillare tra il regime e il vuoto che viene continuamente riempito di false promesse di riforme impossibili. Del resto basta pensare ai tempi ed ai modi con cui è avvenuto in Italia il fantomatico passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica per riconoscere che solo da noi per innescare un cambiamento (violento o comunque non di velluto) della classe dirigente si è dovuto aspettare la caduta del muro di Berlino. In nessun altro paese dell’ovest Europa un tale elemento esterno ha giocato un ruolo così importante e prodotto un mutamento così repentino : le classi dirigenti di altre democrazie occidentali, compresa quella tedesca- la più esposta in una terra di frontiera da guerra fredda- con o senza muro di Berlino hanno tranquillamente e senza traumi continuato il loro percorso di alternanza e di avvicendamento democratico, adeguandosi ai mutati scenari internazionali. Noi invece continuiamo a pagare il prezzi del trauma con una transizione infinita.
Come liberarsi a questo punto del giocattolo del berlusconismo ormai diventato troppo ingombrante, così sembra, a destra come a sinistra, radicatosi oltre ogni aspettativa sull’onda delle tendenze integraliste che hanno segnato la storia italiana per quasi un secolo? Siamo di nuovo ad un altro tornante tra il regime e il vuoto?
Le analisi della sinistra che pensa risultano sempre mancanti di qualche tassello importante tanto da spingere una rivista come Micromega ad esplorare a destra cosa è rimasto di fascismo – l’eterna dannazione- nelle pieghe del potere berlusconiano e del suo presunto carisma. I seguaci di Fini fanno da sponda alle nuove analisi e magari certa sinistra potrà scoprire che lì, proprio tra loro, si annidano i semi di un nuovo antifascismo di marca 2010.
Ritornano le vecchie ossessioni, ma forse gli esegeti alla Micromega dovrebbero soffermarsi su altri elementi interpretativi cominciando a scandagliare in altre direzioni, non solo a destra, come fa l’ultimo numero della rivista, per capire di più. Dovrebbero partire dalla propria famiglia ideologica e dalle sue contraddizioni. Forse riconoscerebbero quanto del loro stesso radicamento più che quarantennale nel dopoguerra italiano sia dipeso proprio dalle suggestioni totalitarie e integraliste seminate per venti anni dal fascismo storico. Ma è più comodo rincorrere le solite litanie retoriche piuttosto che fare una seria autocritica. Gli italiani (e i fascisti) sono sempre gli altri, eppure non resta che sperare negli ex fascisti per ribaltare Berlusconi…
Cosa non si farebbe per trovare una via d’uscita dal berlusconismo vista l’impotenza e la rissosità della sinistra! Tanto vale allora andare a scandagliare con qualche provocazione le contraddizioni sempre più evidenti del PDL che fanno presumere una diaspora più o meno annunciata dei seguaci di Gianfranco Fini.
In altri tempi si sarebbe richiesto un certificato d’origine ai “finiani”intervistati dal mensile di Flores D’Arcais, si sarebbe preteso da loro un giuramento preventivo sui valori della Resistenza e dell’antifascismo prima di consentirgli di esprimere la propria opinione, non si sarebbe mai ammesso che la destra ha avuto anch’essa una cultura propria che ha influenzato tanti filoni del pensiero di sinistra non appiattito sulla totalitaria adesione al marxismo. Finalmente si ammette ( a fatica) che la cultura in sé non è un punto di vista, ha un perenne valore di ricerca che supera le etichette di destra e sinistra che storicamente gli sono state appiccicate nel corso degli ultimi due secoli. Basterebbe questa considerazione per non stupirsi più di tanto ed accettare che le vicende politiche dei singoli Paesi, e quindi anche dell’Italia, subiscano ondate di destra o di sinistra (o presunte tali) perfettamente spiegabili con le contingenze storiche.
Certo si fa fatica ad identificare il berlusconismo con la destra (quale?) che ogni tanto emerge dalle viscere, più che dal cervello degli italiani- questa è almeno la vulgata prevalente- e rende smarrita una sinistra che per anni ha vissuto di rendita sulle “verità” storiche del marxismo.
E’ possibile che i tempi siano tanto cambiati che per uscire dall’ipoteca berlusconiana conviene fare affidamento, più che sul “popolo viola” e su Antonio Di Pietro, sulla dialettica e sulle contraddizioni interne del centro destra? Se marxismo e antifascismo servono poco a spiegare e comunque non sono stati gli argini invalicabili che avrebbero dovuto o potuto impedire l’esondazione del berlusconismo e del leghismo nella società italiana una ragione ci deve pure essere, qualcosa di molto profondo è sfuggito alle analisi di coloro che si sorprendono del consenso al centro destra a tal punto da considerare più della metà degli italiani come degli sprovveduti o degli ingenui, per non dire altro.
Forse il vero interrogativo che dovremmo porci è come mai da quasi un secolo passiamo da un integralismo all’altro, dal fascismo alla lunga stabilizzazione democristiana ( accompagnata peraltro dall’integralismo ideologico della sinistra marxista fino al ’68 ed oltre), per finire quindi alla normalizzazione berlusconiana di questi ultimi anni.
L’alternativa in tutti e tre i casi sarebbe stata il progressivo sfilacciamento della società italiana, la rissosità inconcludente delle fazioni, l’impotenza delle opposizioni ad offrire un’alternativa unitaria. E’ stata finora proprio la tendenza all’integralismo, al regime con classi dirigenti inamovibili ad aver impedito in Italia, a differenza degli altri Paesi europei occidentali, una normale dialettica tra maggioranza ed opposizione, a vedere nell’altro il nemico e non l’avversario, a correre sul carro del vincitore di turno che rischia di rimanere al potere per un tempo insopportabilmente lungo o a prenderne in tempo le distanze per acconciarsi agli scenari futuri.
Poteva e può essere diversamente? E’ ancora questa la sfida che ci fa continuamente oscillare tra il regime e il vuoto che viene continuamente riempito di false promesse di riforme impossibili. Del resto basta pensare ai tempi ed ai modi con cui è avvenuto in Italia il fantomatico passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica per riconoscere che solo da noi per innescare un cambiamento (violento o comunque non di velluto) della classe dirigente si è dovuto aspettare la caduta del muro di Berlino. In nessun altro paese dell’ovest Europa un tale elemento esterno ha giocato un ruolo così importante e prodotto un mutamento così repentino : le classi dirigenti di altre democrazie occidentali, compresa quella tedesca- la più esposta in una terra di frontiera da guerra fredda- con o senza muro di Berlino hanno tranquillamente e senza traumi continuato il loro percorso di alternanza e di avvicendamento democratico, adeguandosi ai mutati scenari internazionali. Noi invece continuiamo a pagare il prezzi del trauma con una transizione infinita.
Come liberarsi a questo punto del giocattolo del berlusconismo ormai diventato troppo ingombrante, così sembra, a destra come a sinistra, radicatosi oltre ogni aspettativa sull’onda delle tendenze integraliste che hanno segnato la storia italiana per quasi un secolo? Siamo di nuovo ad un altro tornante tra il regime e il vuoto?
Le analisi della sinistra che pensa risultano sempre mancanti di qualche tassello importante tanto da spingere una rivista come Micromega ad esplorare a destra cosa è rimasto di fascismo – l’eterna dannazione- nelle pieghe del potere berlusconiano e del suo presunto carisma. I seguaci di Fini fanno da sponda alle nuove analisi e magari certa sinistra potrà scoprire che lì, proprio tra loro, si annidano i semi di un nuovo antifascismo di marca 2010.
Ritornano le vecchie ossessioni, ma forse gli esegeti alla Micromega dovrebbero soffermarsi su altri elementi interpretativi cominciando a scandagliare in altre direzioni, non solo a destra, come fa l’ultimo numero della rivista, per capire di più. Dovrebbero partire dalla propria famiglia ideologica e dalle sue contraddizioni. Forse riconoscerebbero quanto del loro stesso radicamento più che quarantennale nel dopoguerra italiano sia dipeso proprio dalle suggestioni totalitarie e integraliste seminate per venti anni dal fascismo storico. Ma è più comodo rincorrere le solite litanie retoriche piuttosto che fare una seria autocritica. Gli italiani (e i fascisti) sono sempre gli altri, eppure non resta che sperare negli ex fascisti per ribaltare Berlusconi…
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.